Fondazione Critica Liberale   'Passans, cette terre est libre' - Abbiamo scelto come logo la fotografia d'un autentico 'Albero della Libertà ancora vivente. È un olmo che fu piantato nel 1799 dai rivoluzionari della Repubblica Partenopea, Luigi Rossi e Gregorio Mattei, a Montepaone Superiore, paese dello Jonio catanzarese. La scritta &lequo;passans ecc.» era qualche volta posta sotto gli 'Alberi della Libertà' in Francia.
 
Direttore: Enzo Marzo

Dal 1969 la voce del pensiero laico e liberale italiano e della tradizione politica che difende e afferma le libertà, l'equità, i diritti, il conflitto.

"Critica liberale" segue il filo rosso che tiene assieme protagonisti come Giovanni Amendola e Benedetto Croce, Gobetti e i fratelli Rosselli, Salvemini ed Ernesto Rossi, Einaudi e il "Mondo" di Pannunzio, gli "azionisti" e Bobbio.

volume XXIV, n.232 estate 2017

territorio senza governo - l'agenda urbana che non c'è

INDICE

taccuino
.
67. paolo bagnoli, la nostra preoccupazione
68. coordinamento democrazia costituzionale, appello alla mobilitazione per una legge elettorale conforme alla Costituzione
106. comitati unitari per il NO al “rosatellum”, l’imbroglio degli imbrogli
.
territorio senza governo
.
69. giovanni vetritto, l’italia del “non governo” locale
73. pierfranco pellizzetti, alla ricerca del civismo perduto
79. antonio calafati, le periferie delle metropoli italiane
84. paolo pileri, molta retorica, pochi fatti
86. giovanni vetritto, post-marxisti inutili
88. valerio pocar, primo comandamento: cementificare
.
astrolabio
.
89. riccardo mastrorillo, finanziare sì, ma come?
.
GLI STATI UNITI D'EUROPA
.
93. sarah lenderes-valenti, la risorsa più grande
94. luigi somma, le democrazie invisibili
97. claudio maretto, la discontinuità paga
.
castigat ridendo mores
.
100. elio rindone, basta con l’onestà!
.
l'osservatore laico
.
103. carla corsetti, il principio di laicità
107. gaetano salvemini, abolire il concordato
.
terrorismo e religione
109. pierfranco pellizzetti, jihad combattuta alla john wayne
114. alessandro cavalli,quattro cerchi
.
lo spaccio delle idee
117. gianmarco pondrano altavilla, cari liberisti, chi conosce un buon medium?
118. luca tedesco, savoia o borbone? lo storico è un apolide
119. gaetano pecora, ernesto rossi, “pazzo malinconico”
.
78.92.102. spilli de la lepre marzolina
116. la lepre marzolina, di maio ’o statista
.
.
.
Critica liberale può essere acquistata anche on line attraverso il sito delle Edizioni Dedalo con transazione crittografata e protetta.
.A ROMA IL FASCICOLO PUO' ESSERE ACQUISTATO ANCHE PRESSO L'EDICOLA DEI GIORNALI IN PIAZZA DEL PARLAMENTO.
.
Il numero di “Critica liberale” può essere acquistato nelle seguenti librerie:
&&&&&&&&&& PIEMONTE &&&&&&&&&&
BORGOMANERO
EP, v.le marazza, 10  galleria principe
VERBANIA
MARGAROLI, corso mameli, 55
&&&&&&&&&& LOMBARDIA &&&&&
ASSAGO
INTERNET, via verdi, 8
BRESCIA
CENTRO, via di vittorio, 7/c
CENTRO, via galvani, 6 c/d (SAN ZENO)
MILANO
PUCCINI, via boscovich, 61
EMME ELLE, via marsala, 2
FELTRINELLI, corso buenos aires, 33/35
FELTRINELLI, via u. foscolo, 1/3
FELTRINELLI, via manzoni, 12
PUCCINI, c.so buenos aires, 42
TADINO, via tadino, 18
&&&&&&&&&& VENETO &&&&&&&&&&
TREVISO
CANOVA, piazzetta lombardi, 1
VICENZA
GALLA, c.so palladio, 11
GALLA LIBRACCIO, corso palladio, 12
&&&&&&&&&& TRENTINO ALTO ADIGE&&
TRENTO
RIVISTERIA, via s. vigilio, 23
&&&&&&&&&& EMILIA-ROMAGNA &&
BOLOGNA
FELTRINELLI, via dei mille, 12/abc
PARMA
FELTRINELLI, strada farini, 17
RAVENNA
FELTRINELLI, via diaz, 4-6-8
REGGIO EMILIA
UVER, viale e. simonazzi, 27
UVER, via maestri del lavoro, 10/b
&&&&&&&&&& UMBRIA &&&&&&&&&&
TERNI
ALTEROCCA, corso cornelio tacito, 29
&&&&&&&&&& LAZIO &&&&&&&&&&
ROMA
EDICOLA GIORNALI, piazza del parlamento
FELTRINELLI, largo torre argentina, 5
&&&&&&&&&& PUGLIE &&&&&&&&&&
BARI
FELTRINELLI, via melo, 119



sue
 
newsletter

Iscriviti a RadioLondra
la newsletter di Critica

 
libelli

 
network







 
partner





 
home chi siamo cosa facciamo link cerca nel sito
comitato di presidenza onoraria
Mauro Barberis, Piero Bellini, Daniele Garrone, Sergio Lariccia, Pietro Rescigno, Gennaro Sasso, Carlo Augusto Viano, Gustavo Zagrebelsky.

* Hanno fatto parte del Comitato di Presidenza Onoraria: Norberto Bobbio (Presidente), Vittorio Foa, Alessandro Galante Garrone, Giancarlo Lunati, Italo Mereu, Federico Orlando, Claudio Pavone, Alessandro Pizzorusso, Stefano Rodotà, Paolo Sylos Labini. Ne ha fatto parte anche Alessandro Roncaglia, dal 9/2014 al 12/2016.
 
05.02.2018

copia-incolla

Lo spazio dei lettori.
Eventi, segnalazioni, convegni...

guido ortona - [referendum elettorale] un referendum contro la democrazia

guido ortona - [referendum elettorale] un referendum contro la democrazia

Nessun commento
Si prega di fare circolare questo documento il pilargamente possibile. Il prossimo referendum elettorale non sta suscitando l'allarme che dovrebbe. C'chi convinto che non si raggiunga il quorum, e chi non si rende conto della gravitdella situazione. Che il quorum non venga raggiunto probabile ma tutt'altro che garantito, data l'adesione al sdel partito democratico e dato l'interesse oggettivo di Berlusconi alla vittoria dei s entrambi i fattori potranno produrre molta propaganda diretta e occulta. Alla gravitdella situazione che conseguirebbe da una vittoria dei si dedicato tutto il resto di questo testo. 1. Su cosa si vota. Come non abbastanza noto, si voterper tre referendum. Uno un referendum civetta, finalizzato al raggiungimento del quorum per gli altri due; in esso si chiede di proibire le candidature di una stessa persona in picircoscrizioni. Con gli altri due, uno per la Camera e uno per il Senato, si chiede che l'attuale cospicuo premio di maggioranza, sufficiente a far raggiungere il 55% dei seggi a chi ha la maggioranza relativa, vada non pialla coalizione, ma alla singola lista che ottenga la maggioranza relativa. Apparentemente cambia poco rispetto alla situazione attuale. Ma in realtsi tratterebbe di una sostanziosa riduzione della democrazia, come verrargomentato pisotto. 2. Referendum e sistema maggioritario. A prima vista, ciche il referendum vorrebbe ottenere la struttura parlamentare tipica di un sistema maggioritario: meno partiti che nel proporzionale (tendenzialmente due), e una maggioranza con molti seggi e formata da una coalizione di pochissimi partiti, possibilmente anzi da uno solo. Ciche i promotori del referendum dicono infatti di volere che i partiti attuali si coalizzino in due (o eventualmente pi ma meglio due) partiti "veri", caratterizzati al loro interno da monolitismo decisionale. Questo ridurrebbe il peso dei do ut des interni alla compagine governativa, e quindi produrrebbe maggiore governabilit Cito dal sito del comitato promotore: "il sistema elettorale risultante dal referendum spingerebbe gli attuali soggetti politici a perseguire, sin dalla fase preelettorale, la costruzione di un unico raggruppamento, rendendo impraticabili soluzioni equivoche ed incentivando una significativa ristrutturazione del sistema partitico. Si aprirebbe, per l’Italia, una prospettiva tendenzialmente bipartitica, con conseguente eliminazione della frammentazione dentro le coalizioni". Vedremo che cifalso; ma anche se fosse vero sarebbe tutt'altro che auspicabile. 3. Maggioritario, referendum e governabilit E' possibile che ci siano degli elettori (e lettori, scusate il gioco di parole) che credono in buona fede che ciche i promotori del referendum dicono di volere sia auspicabile. Si sbagliano: la ricerca politologica, sia empirica che teorica, smentisce che il risultato della riduzione del numero dei partiti corrisponda a una maggiore governabilit Qui sotto riferisco molto brevemente, e schematicamente, i principali risultati di questa ricerca. Quanto ad oggi sappiamo a proposito delle differenze di governabilit(fra paesi analogamente sviluppati) imputabili alla differenza di sistema elettorale sostanzialmente quanto segue. 1. I governi dei sistemi maggioritari durano pia lungo. Questo probabilmente l'unico vero vantaggio di un sistema maggioritario. Tuttavia, non detto che una maggiore durata sia sempre un vantaggio. Una lunga durata pucorrispondere a una scarsa contendibilit e quindi a scarsi 1 incentivi a governare bene. In ogni caso, come vedremo altre caratteristiche desiderabili pisostanziali non sembrano essere associate alla maggiore durata. 2. Un sistema elettorale maggioritario associato a una spesa pubblica inferiore rispetto a un sistema proporzionale. Naturalmente, non c'nessun motivo nempirico nteorico (in particolare non c'nessuna dimostrazione in questo senso nella scienza economica) per cui cicorrisponda a una maggiore efficienza del governo; e del resto i guai prodotti da decenni di privatizzazioni e di riduzione dell'intervento pubblico in economia sono sotto gli occhi di tutti. 3. Il passaggio dal sistema maggioritario a quello proporzionale non produce un aumento della spesa pubblica. Inoltre, il caso opposto (forse unico) di passaggio dal proporzionale al maggioritario, e ciol'Italia negli anni 90, non ha probabilmente propiziato una riduzione della spesa pubblica. Dico probabilmente perchle saltuarie riduzioni che si sono avute sono assai pifacilmente ascrivibili ai vincoli europei, ma non si puescludere che in parte siano anche effetto del cambiamento di sistema elettorale. 4. La minore spesa pubblica di un sistema maggioritario dovuta interamente alla minore frammentazione del sistema politico. Questo un punto molto importante. Dato e tutt'altro che concesso che una riduzione della spesa pubblica sia auspicabile, essa si produrrebbe solo se il passaggio al sistema maggioritario corrispondesse effettivamente a una riduzione del numero di decisori. Non affatto certo che cisi verificherebbe davvero. Una ricerca in corso presso il mio dipartimento (scaricabile come working paper n. 138 del dipartimento POLIS dell'Universitdel Piemonte Orientale dal sito http://polis.unipmn.it) porta a concludere che probabilmente sufficiente che i partiti coalizzati mantengano un'autonomia anche relativamente limitata perchla governabilitpossa essere inferiore a quella di un sistema proporzionale. Sul piano empirico, un'altra ricerca ha dimostrato che nel caso dell'Italia la frammentazione non si ridotta con il passaggio dal proporzionale al maggioritario nel 1993 (si veda il working paper n. 60, scaricabile dal sito di cui sopra). Alcune caratteristiche specifiche della struttura politica italiana implicano inoltre ulteriori difficoltper questa ipotetica riduzione del numero di soggetti decisori; mi permetto di rinviare nuovamente a un working paper del citato dipartimento POLIS, il n.115. Mi scuso per queste autocitazioni, ma se intervengo sul referendum perchda molti anni la mia ricerca verte proprio sui sistemi elettorali. 5. In un sistema maggioritario la spesa pubblica piindirizzata a favorire interessi locali e particolari, mentre in un sistema proporzionale pigeneralistica. Soprattutto nell'Italia di oggi, questa una caratteristica negativa del sistema maggioritario ovviamente di grande importanza. E' lecito sospettare che alcuni sostenitori del maggioritario (e del referendum) siano tali appunto per questo motivo. 6. Se per efficienza intendiamo capacitdi fornire beni e politiche pubbliche reali, allora non c'prova di una maggiore efficienza del sistema maggioritario. E' questo il risultato del famoso studio di Lijphart del 1994, che a mia conoscenza nessuno ha osato mettere in discussione. Lijphart intende per efficienza la capacitdi produrre servizi pubblici essenziali, come quelli destinati alla tutela della famiglia, o politiche pubbliche essenziali, come la difesa delle minoranze, o di ottenere buoni risultati nelle variabili nacroeconomiche, come la crescita del PIL e l'andamento della disoccupazione; e trova che "il senso comune ha torto quando ritiene che ci siano reciproci vantaggi e svantaggi nel maggioritario e nel proporzionale. La migliore prestazione del proporzionale per quanto riguarda la rappresentativitnon controbilanciata da una peggiore prestazione per quanto riguarda la governabilit[governmental effectiveness]." 2 Se quindi fosse vero che la vittoria dei sequivale all'introduzione di un sistema maggioritario, cisarebbe piche sufficiente per essere fermamente contrari. In realtci sarebbe una differenza significativa, e in peggio: e cioche il maggioritario obbliga almeno a chiedere il voto sui singoli candidati, e quindi obbliga i partiti a presentare dei candidati almeno un po' credibili. Col sistema che si verrebbe a creare i nomi dei candidati sarebbero irrilevanti, e ciapre alla strada al massimo di rappresentanza delle lobbies economicamente potenti e al minimo di rappresentanza dei cittadini. 4. Un "errore" fondamentale. Anche ammesso -erroneamente, come abbiamo visto- che (a) il referendum porti veramente a una struttura maggioritaria e (b) che tale logica sia auspicabile, rimane comunque un errore logico fondamentale nell'argomentazione dei promotori del referendum; talmente evidente da far ritenere praticamente impossibile che sia stato commesso in buona fede. L'errore il seguente: non c'alcuna garanzia che la riduzione nominalistica del numero dei partiti corrisponda a una riduzione effettiva del numero delle fazioni e quindi dei decisori. Al contrario, la possibilitdi condurre le trattative fondamentali prima delle elezioni, cioal momento di scegliere le candidature, e del tutto al riparo dall'opinione pubblica, darebbe uno spazio enorme ai ricatti, ai do ut des delle diverse lobbies e soprattutto alla pura e semplice corruzione. Come scrivono in uno studio del 2007 Persson, Roland e Tabellini (autori probabilmente non simpatetici con le idee dell'autore di questo testo), "perchun partito che rappresenta diversi gruppi presenti nella societdovrebbe comportarsi in modo diverso da una coalizione che rappresenta gli stessi gruppi?" In effetti, i vari gruppi di pressione avrebbero tutto l'interesse a mantenere, e anzi ad aumentare, la propria autonomia, onde massimizzare il loro potere di ricatto, sopratutto quello occulto. Anzichavere molti partiti avremo insomma molte correnti; l'unica differenza che oggi un elettore puscegliere che partito votare all'interno della coalizione, mentre se vincono i squesto potere gli sarsottratto. I promotori del referendum sono coscienti di ci non a caso parlano di dare la maggioranza dei voti alla lista che ha la maggioranza relativa, e sostengono che ciporter"tendenzialmente" a un sistema bipartitico. In sostanza, assisteremo (o meglio, non assisteremo, perchavverral riparo della vista degli elettori) a una complicatissima rete di ricatti, manovre, accordi sottobanco, ecc., al termine della quale agli elettori verrpresentato un pacchetto "prendere o lasciare". La trattativa vera avverrcomunque prima delle elezioni; in aperto contrasto con lo spirito della democrazia, per cui gli elettori votano i loro rappresentanti e poi questi rappresentanti trattano per formare una maggioranza. Questo nel caso che i partiti si coalizzino; se non lo fanno lo scenario ancora peggiore. 5. Altri scenari. Sono infatti possibili tre scenari. Il piprobabile, come abbiamo visto, che i diversi partiti si uniscano in coalizioni. Questo scenario pufacilmente evolvere in un secondo, molto pipreoccupante. Le potenti lobbies rappresentate dai e al comando nei grandi partiti-coalizioni avranno tutto l'interesse a mettersi d'accordo per spartirsi il potere, invece di rischiare a ogni elezione di perderlo. La grande coalizione diventerfacilmente una coalizione di centro, che si identifichersempre picon lo stato, anche perchsarfacilmente in grado di cooptare le frange necessarie a garantire la maggioranza. C'quindi un rischio reale che il sistema evolva verso un sistema a partito unico, qualcosa a metfra la Democrazia Cristiana e il PCUS. Infine, possibile che i partiti non si coalizzino, come auspicato da Veltroni. In tal caso un partito col 30 % dei voti o anche meno governercon la maggioranza assoluta, grazie al voto di una maggioranza composta in buona parte da parlamentari che nessuno ha eletto; una situazione che si presta a ogni sorta di degenerazione, e sulla cui validitcostituzionale lecito nutrire seri dubbi. Sull'aspetto della costituzionalittorneremo pisotto. 6. Altri problemi. L'aspetto pipropriamente liberticida di una possibile vittoria dei squindi la sottrazione agli elettori di gran parte del potere di scelta dei loro rappresentanti. Ma ci sono altri elementi pericolosi. 3 Il primo l'ulteriore distacco che si creerebbe fra classe politica (o "casta"; il termine sempre meno improprio) e popolo. Abbiamo visto che la segretezza delle trattative sulla formazione delle liste spiana la strada al controllo delle lobbies (fra cui quelle criminali) sulla politica. Ma un altro risultato sarebbe l'apertura di un abisso fra la societcivile e i maneggi della politica. Si tratta di qualcosa di molto pericoloso per la democrazia. Come risulta dai sondaggi, fra tutti i paesi dell'Europa Occidentale l'Italia giadesso quello in cui la democrazia gode del minore appoggio popolare. E' facile prevedere che quando le alleanze fra i partiti si faranno interamente all'oscuro oppure governerda solo un partito col 30% dei voti questo prestigio scenderulteriormente. L'abolizione del voto di preferenza (che, bene ricordare, non verrebbe reintrodotto se vincessero i "si") ha tolto agli elettori la possibilitdi scegliere il loro candidato preferito, e ci a giudizio unanime, ha contribuito potentemente a far sche i candidati vengano "calati dall'alto", e che vengano sentiti come estranei. Se vincono i "si", agli elettori verrtolto anche il diritto di scegliere il partito preferito. E' ovvio che cifarulteriormente aumentare il distacco fra elettori e candidati. Nel breve periodo, un corollario di quanto sopra l'ulteriore indebolimento dell'opposizione; infatti ovvio che la battaglia che il partito democratico avrcombattuto contro la democrazia gli farperdere ulteriormente consenso. E un paese senza opposizione un paese in cui la democrazia non funziona tanto bene. Il secondo la coerenza fra la proposta del referendum e la strategia berlusconiana. Berlusconi afferma che chi ha la maggioranza deve governare da solo, senza lacci e lacciuoli; i sostenitori del referendum dicono la stessa cosa: a chi ha la maggioranza relativa, anche molto limitata, bisogna dare la maggioranza assoluta, in modo che possa governare da solo. Il sostegno del "si" porta insomma molta acqua al mulino di Berlusconi; l'incoerenza fra l'appoggio al "si" e la critica al personalismo di Berlusconi palese. Citra l'altro rende la posizione del Partito Democratico nella migliore delle ipotesi incomprensibile. Infine, a seguito della scomparsa del premio di maggioranza alle coalizioni, le soglie di sbarramento risulterebbero alzate: 4% alla camera e addirittura 8% al senato. La soglia al senato ovviamente troppo alta, sia rispetto alla necessitdi mantenere un'effettiva rappresentativitsia rispetto agli standard mondiali. Inoltre, questa differenza di soglie aggraverebbe il principale difetto della legge attuale, e ciola possibilitdi una maggioranza diversa fra le due camere. 7. Un po' di economia. Ma allora, perch Perchc'chi favorevole al s Naturalmente c'chi lo perchgli conviene: a molte lobbies politiche, economiche e mafiose conviene che ci sia meno democrazia. E ciovvio: democrazia vuol dire in primo luogo "una testa un voto", e quindi in linea di principio, se funziona bene, in contrasto con gli interessi di chi preferirebbe "un euro un voto". Ma credo che ci sia anche chi crede in buona fede che sia meglio ridurre (e di molto, come abbiamo visto) la democrazia per motivi non egoistici. Questi motivi sono economici; l'idea che un sistema pidecisionista contribuirebbe a togliere molti degli impedimenti che ostacolano la crescita economica del nostro paese. Questo argomento ha apparentemente qualche fondamento, ma in realtsbagliato, per due motivi fondamentali. Il primo che la democrazia un valore in s anche economico. Come diceva a suo tempo Sylos Labini, e senza assolutamente volere denigrare i ragionieri, la differenza fra l'economia e la ragioneria che la ragioneria considera solo i costi e i guadagni monetari, mentre l'economia considera anche quelli non monetizzabili. Ora, la pesante riduzione della democrazia che conseguirebbe alla vittoria dei "si" avrebbe ovviamente effetti deleteri sulla qualitdella vita di tutti, in termini di emarginazione, di immiserimento, di corruzione diffusa, di perdita di cultura, di asservimento ai potenti. Questi sono tutti costi, per evitare i quali vale la pena pagare qualche decimo di punto di crescita del PIL. Ammesso che lo si paghi; e vengo al secondo errore di chi pensa che meno democrazia equivalga a piricchezza. E' vero che esistono esempi in cui la dittatura (al netto dei costi di cui sopra) ha portato a una maggiore crescita del PIL, come la Germania di Hitler o la Francia di De Gaulle, ma ce ne sono altri, come l'Argentina e la Grecia, in cui avvenuto il contrario. Non esiste una 4 letteratura conclusiva su quando l'autoritarismo conviene e quando no (parliamo sempre solo del punto di vista ragionieristico); o forse esiste ma io non la conosco. E' certo perche molto dipende dalla capacitcon cui i vari potentati economici e le varie mafie riuscirebbero a impossessarsi di quote di potere per usarle per i propri interessi, e da quanto questi interessi sono in contrasto con gli interessi dell'economia nazionale. Oggi in Italia entrambi i fattori opererebbero molto probabilmente contro lo sviluppo dell'economia. E' possibile che qualcuno, penso soprattutto nel PD, voglia in buona fede allontanarsi da un sistema bene o male democratico per avvicinarsi a un sistema pifascista (dando a questo termine il significato tecnico che esso ha), onde avere un miglioramento dell'economia; ma molto probabilmente si sbaglia. 8. Un po' di geografia e un po' di storia. E' utile ricordare che la maggioranza dei paesi democratici adotta un sistema proporzionale; che in Europa solo tre paesi adottano un sistema maggioritario, e cioil Regno Unito, la Bielorussia e la Francia (quest'ultima pera doppio turno); e che la maggioranza degli studiosi di scienza della politica ritiene che il sistema proporzionale sia preferibile a quello maggioritario. (Chi fosse eventualmente interessato ai dati a suffragio di queste affermazioni li troverin un mio articolo apparso nel settembre del 2007 sulla rivista elettronica Costituzionalismo, scaricabile dal sito http://www.costituzionalismo.it/articolo.asp?id=251). Soprattutto, interessante notare che il premio di maggioranza pochissimo usato; oltre che in Italia esiste solo in Grecia e a Malta. A Malta tuttavia il premio viene concesso solo quando un partito ha gila maggioranza assoluta dei voti, ma non dei seggi; e in Grecia per avere diritto al premio di maggioranza un partito o una coalizione di partiti deve avere almeno il 41.5% dei voti. La possibilitche si avrebbe in Italia di passare dal 30% dei voti o meno al 55% dei seggi non ha riscontro nella geografia elettorale. Ha perriscontro nella storia. La legge elettorale che risulterebbe dalla vittoria dei "si" ricorda abbastanza da vicino la legge Acerbo del 1923, pensata per garantire una larga maggioranza a Mussolini; essa infatti prevedeva che per avere il premio di maggioranza (che avrebbe portato ai due terzi dei seggi) sarebbe stato sufficiente il 25% dei voti. 9. Un po' di diritto costituzionale. Il testo che risulterebbe dal referendum suscita fondati dubbi di costituzionalit vedremo che la sua ammissione da parte della Corte Costituzionale non li inficia. L'articolo 56 per la Camera e gli articoli 57 e 58 per il Senato stabiliscono infatti che i deputati e i senatori sono eletti a suffragio universale diretto. Non si parla di parlamentari non eletti (ovviamente con l'eccezione dei senatori a vita) e quindi non sembra vi sia spazio per un premio di maggioranza. Il problema esiste anche con la legge attuale, ma se vincessero i "si" aumenterebbe il numero di parlamentari non eletti. Custodire la costituzione un dovere anche dei politici, e quindi i politici che favoriscono il "si" tradiscono probabilmente il loro mandato. Ma allora perchla corte costituzionale ha dichiarato il referendum ammissibile? Leggiamo nella sentenza (punto 6): "Questa corte puspingersi soltanto sino a valutare un dato di assoluta oggettivit quale la permanenza di una legislazione elettorale applicabile, a garanzia della stessa sovranitpopolare, che esige il rinnovo periodico degli organi rappresentativi. Ogni ulteriore considerazione deve seguire le vie normali di accesso al giudizio di costituzionalitdelle leggi" (sottolineatura aggiunta). Questo passo la conclusione di un lungo ragionamento che in sostanza significa: la Corte pusolo verificare che la eventuale abrogazione non crei dei "buchi" nella legislazione. Non puinvece valutare nel merito la costituzionalitdella struttura risultante; perchpossa fare cila legge risultante dovressere impugnata nelle forme dovute. 10. E' giusto non andare a votare. Bisogna quindi che i "si" non vincano. L'elettore contrario al "si" puscegliere se votare no o non andare a votare. Come noto, se i contrari possono comportarsi in modo unanime conviene non andare a votare. Curiosamente, tuttavia, diffusa l'idea che non andare a votare sia immorale. Questo penultimo paragrafo volto a sfatare questa idea. Porto quattro argomenti. 5 a) Essendo in gioco la democrazia -perchquesta la posta in palio- non bisogna andare tanto per il sottile. b) In uno stato di diritto esistono il lecito e l'illecito, non il "vale" e "non vale". Se la legge consente di trarre vantaggio dal non andare a votare, non c'motivo di non farlo. c) Se i contrari non vanno a votare, ciequivale a dire che il "si" per vincere deve avere la maggioranza non dei votanti ma degli aventi diritto. Poichil referendum una garanzia per il caso che il Parlamento deliberi contro la volontdella maggioranza degli elettori, cinon sembra sbagliato. d) Non andare a votare non costituisce necessariamente una scelta tattica. Io per esempio sono molto contrario a che una norma cosimportante per la democrazia come una riedizione della legge Acerbo venga approvata da una platea di elettori disinformati sulla base di un testo elaborato a colpi di bianchetto. In altri termini, il rifiuto di votare pubenissimo essere una scelta politica, di pari dignitche l'essere per il so per il no. Stando cosle cose, non vero che la possibilitdi non votare dia un indebito vantaggio al "no"; invece vero che l'esistenza di due gruppi di contrari al "s fa sche se questi gruppi non si coordinano siano i "s ad avere un vantaggio indebito. Mi spiego con un esempio numerico. Supponiamo che ci siano quattro gruppi di elettori: quelli che non vanno a votare perchsi disinteressano, che sono il 24.9% degli elettori; quelli che non vanno a votare perchsono contro il referendum (e quindi a fortiori sono contro il "si"), che sono il 25%; quelli che sono per il no, che sono il 25%; e quelli che sono per il s che sono il 25.1%. Se i due ultimi gruppi vanno a votare il "si" vince, nonostante che il "no" abbia l'appoggio di quasi due terzi degli elettori che hanno operato una scelta, e il "si" solo di appena pidi un quarto degli elettori totali. Un risultato di questo tipo, palesemente ingiusto, puessere evitato solo se i contrari al referendum, in contrasto con la loro preferenza reale, vanno a votare per il "no", oppure se i fautori del "no", in contrasto con la loro preferenza reale, non vanno a votare. Non c'alcun motivo per cui la prima alternativa sia pigiusta eticamente della seconda. La legge attuale fatta male: contiene una grossa ambiguit e cioappunto che non considera che ci sono due tipi di elettori contrari alla proposta, quelli che sono per il no e quelli che sono contro il referendum. Fino a quando non sarmodificata -per esempio imponendo che il "si" per vincere debba avere il voto del 50% piuno degli aventi diritto, oppure che debba avere il 50% piuno dei voti espressi ma anche il voto di almeno il 25% piuno degli aventi diritto (che la condizione minima attuale per la vittoria del s- non c'alcun motivo, nmorale, npolitico, nlegale per lasciare che questa ambiguitavvantaggi i "s. 11. Conclusioni. la vittoria del "s al referendum creerebbe un serio pericolo per la democrazia. Il raggiungimento del quorum improbabile, ma possibile; molto dipenderda quanto i partiti principali e i mezzi di informazione che a loro fanno riferimento si impegneranno. La strategia migliore per chi sia contrario al "s non andare a votare; non c'alcun motivo per non farlo. [Guido Ortona, professore ordinario di Scelte Collettive, facoltdi Scienze Politiche, Universitdel Piemonte Orientale, gicoordinatore nazionale dei Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale Confronto quantitativo di sistemi elettorali (2003-2005) e Uso di metodologie simulative per la scelta del sistema elettorale (2005-2007).Commenti e suggerimenti sono benvenuti. guido.ortona@sp.unipmn.it]

{ Pubblicato il: 16.05.2009 }




Stampa o salva l'articolo in PDF

Nessun commento