gim cassano
Nessun commentoDato che successivamente Francesco Somaini (in un messaggio pubblicato unitamente ad una mia primissima risposta sul “blog” del Circolo Rosselli di Milano), ha sviluppato una serie di osservazioni che specificano in termini politici il documento approvato a Volpedo, criticando la risposta data dal sottoscritto, per Alleanza Lib-Lab, al messaggio rivolto da Riccardo Nencini al mondo laico e liberale (vedi su Spazio Lib-Lab, http://www.spazioliblab.it/?p=3099), trovo opportuna una risposta in un qualche modo unica.
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Sin dal titolo, il documento finale di Volpedo IV propone la “necessità di unire la galassia socialista e libertaria”. E, più avanti: “ci pare sempre più improcrastinabile, infatti, l’esigenza della formazione di una Sinistra plurale ed aperta: una Sinistra socialista, democratica, laica, libertaria, ecologista, e con una forte tensione europeistica ed internazionalista”. Ed ancora: “Per questo riteniamo fondamentale fare in modo che la galassia di associazioni, di aggregazioni, e di gruppi di ispirazione socialista e libertaria che si è venuta variamente organizzando in varie parti d’Italia, al Nord come al Sud, si metta nella condizione di far sentire in modo più coeso la propria voce…”
Dopodichè, e senza che in alcuno di questi passaggi, né in alcuna altra parte del testo, nella quasi ecumenica descrizione di questa Sinistra dai tanti aggettivi, venga una sola volta usato il termine “liberale”, si invitano ad “una sorta di patto d’unità di azione” diversi soggetti politici e culturali di ispirazione socialista che si auspica vogliano partecipare a costruirla; ed, insieme a questi, Alleanza Lib-Lab.
Che è, notoriamente e dichiaratamente (basta leggere lo Statuto pubblicato sul sito, o i numerosi interventi ivi apparsi, od ancora, il testo del mio intervento per Volpedo IV, tratto da un intervento dal titolo “Tra liberalismo e socialismo”: http://www.spazioliblab.it/?p=2719 ) un’associazione di evidente carattere liberale-socialista-liberalsocialista.
E’ probabile che il termine “liberale” risulti fortemente indigesto almeno ad alcuni tra i destinatari dell’appello, e che si sia preferito l’infingimento del termine “libertario”: cosa perfettamente legittima per chi voglia così definir se stesso, ma non quando si voglia cercare di descrivere una sinistra aperta e plurale al cui processo di costruzione, tutto da percorrere, si propone la partecipazione di laici, liberali, liberalsocialisti come quelli che hanno dato origine ad Alleanza Lib-Lab, purchè non vengano definiti col loro nome. Premesso che è per noi inimmaginabile condividere processi politico-culturali che non si svolgano nella chiarezza e nel reciproco rispetto, va detto che chiarezza e rispetto iniziano dal rappresentare le cose, le persone, i gruppi, col loro nome, senza imporre ad altri nomi ed etichette che non appartengono loro, come il fascismo che italianizzava nomi, cognomi o toponimi.
Quindi, delle due l’una: o l’appello è rivolto erroneamente all’Associazione che rappresento, oppure lo è nella presunzione che questa sia disponibile a camuffarsi sotto il termine di “libertaria” pur di non esser sgradita ad alcuni, il che è quanto di più distante dai nostri metodi e dalle nostre intenzioni si possa immaginare.
Ma non si tratta di una questione semantica e formale, oppure di galateo politico e culturale: si tratta di una questione sostanziale. In diversi interventi di più che autorevoli esponenti di alcune delle associazioni cui è indirizzato il documento di Volpedo IV è stata più volte sostenuta con chiarezza la tesi dell’incompatibilità tra concezioni socialiste e concezioni liberali, avendo identificato queste ultime con le tesi liberiste. Ne consegue che nell’opinione di costoro, orientati ad accogliere gli aspetti deterministi del marxismo e a vedere la conflittualità unicamente in termini di scontro di classe, e che evidentemente conoscono poco il pensiero liberale e le sue evoluzioni, un socialismo che non voglia tradire se stesso può accogliere dal pensiero liberale la difesa radicale dei diritti della persona-individuo nelle sue scelte di pensiero, di credenze, di stili di vita (appunto, in termini libertari) ma non confrontarsi sull’impianto metodologico, empirico, relativista e non determinista del liberalismo.
Che è invece la strada che ha consentito le costruzioni liberalsocialiste. E sarebbe opportuno, al riguardo, ricordare la critica serrata che Carlo Rosselli condusse nei confronti del marxismo. Se queste concezioni ebbero un torto, fu quello di essere in anticipo sui tempi, e coltivate in un paese -l’Italia- che non costituiva per esse il miglior terreno di coltura, come osserviamo ancora oggi. Ma credo che i fatti -e la storia- non ne abbiano inficiato la carica innovatrice.
Oggi, siamo al passaggio di un’epoca. Occorre ripensare alle molte certezze alle quali siamo stati abituati, sia in campo liberale, che socialista. Sappiamo bene, o perlomeno sospettiamo, che il welfare su cui si era costituita la base sociale delle economie industriali avanzate è venuto meno, e che molto difficilmente potrà esser sostenuto nei termini degli ultimi decenni. Sappiamo che l’asse atlantico, culturalmente eurocentrico, che aveva sconfitto i totalitarismi del XX° secolo, è anch’esso venuto meno, per esser sostituito da relazioni con aree culturali profondamente diverse dalla nostra. Sappiamo che i rischi per la pace non arrivano più dal conflitto latente tra due blocchi che, comunque fosse, condividevano una medesima concezione della razionalità: le scelte sovietiche erano prevedibili dagli analisti americani esattamente come quelle americane da parte degli analisti sovietici. Oggi, non è più così: le variabili nei comportamenti del mondo islamico, dell’estremo Oriente, sono infinite e molto meno prevedibili. Sappiamo che i canoni stessi della democrazia rappresentativa e parlamentare si stanno trasformando in tutti quei Paesi che pure hanno avuto la fortuna di conoscerla. Il rapporto tra capitale e lavoro si riarticola tra un capitale estremamente mobile e senza vincoli di frontiere ed un lavoro per definizione legato ai luoghi fisici nei quali si vive. E, all’interno delle singole società, la lotta tra capitale e lavoro non spiega più, essa da sola, conflittualità che assumono aspetti del tutto nuovi, non prevedibili e non previsti sino a pochi decenni fa. I giovani di oggi sanno che il loro futuro sarà molto meno garantito, più problematico e meno assistito da sicurezze di quello dei loro padri. L’esplodere delle tecnologie moderne, la delocalizzazione di interi settori produttivi o di loro parti importanti, rischiano di produrre nelle società avanzate una disoccupazione strutturale e di massa, specie giovanile.
Tutto ciò imporrà l’adeguamento dei nostri modi di pensare ed imporrà strade nuove per preservare e mantenere vitali, oltre che i livelli di benessere, anche le grandi conquiste della civiltà europea, che a partire dall’illuminismo si è iniziato a considerare tra loro strettamente interdipendenti: la tolleranza, le libertà, la democrazia, la giustizia sociale.
E’ una grande scommessa culturale, che probabilmente sta ancora attendendo i suoi attori. Ma ritengo che le premesse del pensiero liberale e di quello socialista possano costituire una buona base di partenza per iniziare a dare queste risposte, sol che si abbia la capacità di guardare avanti senza gli schermi ereditati dal passato.
Se in vista di ciò, occorre, e noi conveniamo su questo punto, una sinistra aperta e plurale, su cosa dovrebbero costruirsi pluralità ed apertura se non sul confronto tra la visione non messianica e non dogmatica del socialismo democratico ed una moderna concezione liberale, considerata non solo nell’accoglierne in termini valoriali qualche aspetto, ma nella sua carica innovatrice e non deterministica, nel suo essere non-ideologia, nella sua capacità di affermare concetti anche profondamente diversi da quelli che i suoi detrattori considerano a torto come dogmi del pensiero liberale? Basti ricordare, al riguardo, come le politiche del socialismo democratico avviate dal secondo dopoguerra in avanti presero le mosse dalle intuizioni di due liberali “eretici”, ma liberali, come Keynes e Beveridge. O forse per pluralità si intendono solo le tante sfumature della storia del pensiero socialista?
L’intervento scritto che ho inviato per Volpedo IV muove da queste considerazioni, e va in questa direzione.
In quanto alla proposta di “patto di unità d’azione”, a parte i ricordi che tale infelice locuzione suscita in chi la associa all’avvio della bipolarizzazione proprietaria della politica italiana, essendo io convinto che questa sia una discussione tra persone serie, intellettualmente oneste, e che si stimano a vicenda, una tale dizione è possibile solo ove sussista, oltre ad una reciproca affinità e rispetto politico e culturale, una comunanza di strategie ed obbiettivi. Sul primo aspetto, ho detto qualcosa.
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Sul secondo aspetto, dirò adesso, venendo al commento fortemente critico di Francesco Somaini alla mia risposta di adesione al messaggio che il Segretario del PSI, Riccardo Nencini, ha rivolto al mondo laico e liberale.
In Italia siamo alla fine, fallimentare, malinconica e vergognosa di un ciclo politico e culturale che ha indirizzato il Paese su strade antitetiche a quelle verso le quali si era indirizzata una Repubblica unitaria dal punto di vista della coesione sociale e territoriale, fondata sull’innesto della democrazia sociale e dei relativi diritti-doveri sulle forme politiche ed i canoni dello Stato Liberale (che sono tutt’altro che sovrastruttura).
A questo si sovrappone l’evidente incapacità di governo dell’economia e della finanza pubblica, che a più riprese ha rischiato, nelle scorse settimane, di far precipitare l’Italia in una crisi finanziaria generata in buona parte dalla sfiducia dei mercati nei confronti della credibilità della nostra politica. Questi ultimi aspetti hanno fatto sì che Confindustria e tutto il mondo delle imprese voltassero le spalle ad un governo che riteneva, non del tutto a torto, che da quel versante dovesse pur venirgli una qualche ragione di gratitudine.
Questo è l’epilogo, fallimentare per il Paese, del ciclo caratterizzato, anche negli intervalli nei quali ha governato il centrosinistra, dal dominio culturale di questa destra. Ma, nel determinare non pochi connotati di questo epilogo, ed in modo particolare l’incertezza di un’alternativa ed i dubbi sulle capacità di questa nell’affrontare la situazione, hanno avuto rilievo anche le cedevolezze e le incongruenze delle attuali forze di opposizione: quelle di un PD inguaribilmente cedevole e rinunciatario, incapace di definire una politica qualsivoglia, ed anche quelle parolaie delle forze più tradizionalmente di sinistra. La truffa del cosiddetto referendum anti-porcellum, che non avrà altro effetto che quello di lasciar le cose come stanno in un caso, o di riportarci al Mattarellum nell’altro, ne è l’ultimo esempio.
La visione triforcuta dell’Ulivo dimostra bene quanti e quali siano i limiti che il dominio culturale della destra ha fatto sì che le forze di opposizione si siano esse stesse cuciti addosso: partiti leaderistici o peggio carismatici, nei quali il dibattito è assente, e dove è eresia parlar di correnti, e tra i quali il dibattito è centrato sulle tattiche, i posizionamenti, le inclusioni e le esclusioni. Assente del tutto, in essi, ogni forma di pensiero critico; assente del tutto, tra di essi, ogni proposta da fare agli italiani per convincerli di essere in grado di condurre il Paese su un percorso nuovo.
Non è un caso se nel proliferare di formule e tattiche che il centrosinistra ha prodotto in questi tre anni non si sia una sola volta sentito parlare dell’unica cosa seria da fare: l’assunzione onesta di responsabilità, da concretare nella proposta agli italiani di un patto di governo con gli italiani, nel quale si chiedano pesi e sacrifici non iniquamente ripartiti, a fronte della rimessa in carreggiata ed in movimento, non solo negli aspetti economici e finanziari, del Paese. In altre parole, qualcosa di simile a quanto la classe dirigente dell’ultimo dopoguerra, politica e non, di maggioranza e di opposizione, seppe fare nello scrivere la Costituzione e nell’avviare la ricostruzione e la ripresa. Ma quello dei pesi e dei sacrifici non è argomento che piaccia ad alcuno, ed è questo lo scoglio che un’opposizione che voglia domani governare credibilmente dovrà saper affrontare, se non vorrà venir meno al suo ruolo di guida. Di tutto ciò, almeno al momento, non si vede traccia.
Molte cose devono dunque esser ripensate, e credo che si debba comprendere come un centrosinistra che si caratterizzi sulla perenne scomposizione e ricomposizione dello stesso mazzo di carte abbia ben poche possibilità di essere l’artefice dell’avvio di un nuovo ciclo. Non sarà certo dall’intesa tra coloro che hanno affossato il Referendum Passigli (unica possibilità praticabile di riforma della legge elettorale per via referendaria) per regalarci o la riconferma del “porcellum” per inammissibilità, o il ripristino del Mattarellum, che gli italiani possano percepire l’avvio di un nuovo ciclo: piuttosto, il perpetuarsi, tra alterne vicende, del vecchio.
Non è un caso se in questo coro di finte certezze sia assente ogni voce di stampo liberale e socialista. Voci che, per le ragioni dette sopra, avrebbero al riguardo non poche cose da dire, ed in termini molto critici nei confronti di un’opposizione la cui dialettica oscilla tra rinunciatari e parolai. Ma, a guardar bene, non è neanche logico lamentar l’assenza di queste voci, quando non esiste un’area politica che possa rappresentarle. E, a questo punto, il fatto che il Segretario del PSI abbia lanciato un messaggio per avviare un percorso teso a costruire quest’area è, a mio modesto parere, cosa largamente positiva.
Ma ecco piovere critiche, non nuove, al fatto che da parte mia si consideri il PSI dell’aborrito Nencini come indispensabile a realizzare questa costruzione.
In sostanza, si afferma che il PSI non sia, per ragioni di cultura e comportamenti politici, un soggetto funzionale alla costruzione di un’area politica di convergenza tra mondo liberale e mondo socialista: guarda caso, si tratta di un atteggiamento, contro il quale ho combattuto finchè possibile, analogo a quello che coloro che hanno poi costituito Sinistra Ecologia e Libertà ebbero nei confronti del PSI di allora. A motivo di ciò, si adducono le stesse argomentazioni di allora: moderatismo, strumentalità, e via dicendo.
Poi si afferma, mettendo per un momento il naso in casa altrui (e stranamente in modo del tutto speculare alle obiezioni di alcuni che, da parte liberale, temono di essere fagocitati dal PSI) la sostanziale irrilevanza dell’area liberale e liberalsocialista che, sia pur di fronte al piccolo PSI, si vedrebbe ridotta ad un ruolo ancillare nei suoi confronti. E’ questa una valutazione del tutto gratuita, che presuppone un giudizio di incoerenza politica e culturale nei confronti di quei soggetti di estrazione laico-liberale che dovessero convergere su questa proposta, e che non si riducono solo all’Associazione che presiedo. E, come conclusione, si auspica che questa, che è appena stata definita come poco rilevante, prenda le distanze dal PSI, per convergere su quel “patto di unità d’azione” che da Volpedo è stato proposto.
A queste considerazioni sfugge la gravità della situazione, e sfugge come oggi si presenti quella che probabilmente resta come l’ultima occasione possibile per la costruzione di un’area liberale-socialista-liberalsocialista autonoma in termini politici. Ove si prescinda dal rapporto con il PSI, questa non è neanche immaginabile, e non solo per considerazioni tattiche e di forza e capacità di presenza.
Se mi è consentito esser questa volta io a mettere il naso in casa altrui, pur essendo vero che il mondo socialista non si esaurisce nel solo PSI, è ben vero che questo partito ne rappresenta di gran lunga la componente più significativa, e l’unica dotata di un’organizzazione, e mi pare che quella parte di mondo socialista-libertario cui pensa Francesco, ed a cui si rivolge il documento di Volpedo, non sia in grado di procedere alla costruzione della vagheggiata sinistra aperta e plurale, se non all’interno di un rapporto di collaborazione, anche dialettica, col PSI.
Ove se ne voglia prescindere, come scrive l’amico Somaini considerando il PSI come un soggetto inadatto alla bisogna, non da escludere a priori, ma da considerare non più che, eventualmente, utilmente addittivo, l’inevitabile sbocco ne sarebbe una posizione di pura testimonianza critica all’interno del variegato mondo socialista; o altrimenti non resterebbe altro che cercare un rapporto più o meno organico con SEL; cosa che peraltro alcuni sostengono apertamente.
Ma questa ha sempre dichiarato, sin dai tempi del suo avvio, e nei quali il sottoscritto ne era parte, la propria autosufficienza e di essere interessata ad una presenza socialista, purchè operata da gruppi non rilevanti e da stemperare nel calderone e nell’applausometro carismatico, e purchè non si configurasse in una presenza organizzata in quanto tale; e soprattutto, a condizione che non si parlasse di PSI. Inutile, poi, parlare di presenze di matrice liberale…. E l’atteggiamento di autosufficienza mi sembra oggi acuito: il forcone a tre punte ne è una manifestazione.
Sono posizioni che mi paiono inconcludenti, e che non possiamo condividere. Alleanza Lib-Lab, sin dal proprio convegno di Napoli (febbraio 2010) ha premesso ad ogni altra prospettiva la necessità che si crei, all’interno del centrosinistra, un’area politica specificatamente liberale e socialista, che oggi manca, e che non può d’altra parte trovar rappresentanza in alcuna delle attuali componenti del centrosinistra. E che oggi la visione triforcuta del centrosinistra rende ancor più necessaria. Ed abbiamo individuato nel PSI il veicolo naturale per avviare questo ragionamento. Ovviamente, ho apprezzato ed accolto con favore il messaggio rivolto da Nencini al mondo laico e liberale. Respingere ciò in nome di una discussione interna al mondo socialista che sovente, in reazione alla terza via, tende a far proprie visioni più che datate, che considerano il termine modernità come una bestemmia e che rifuggono -come visto sopra- da un aperto rapporto con il mondo laico e liberale, mi pare una strada che darà forse ad alcuni ampie soddisfazioni ideologiche, ma che viene meno all’esigenza di esser presenti agli appuntamenti che segneranno la fine dell’età berlusconiana.
Per queste ragioni, e concludendo, mentre considero importante proseguire nel confronto e nei rapporti con gli amici del Gruppo di Volpedo, non ritengo possa parlarsi di un patto di unità d’azione o di qualcosa che gli assomigli.
02-10-2011.
{ Pubblicato il: 25.09.2011 }