gim cassano
Nessun commentoC’è una via maestra, in democrazia, per dare una risposta civile all’inciviltà ed alle menzogne e demagogia profuse dal premier nelle proprie scialbe interviste in TV “urbi et orbi”, con le quali chiede, più che un voto per la Moratti e Lettieri, quasi neanche citati, un voto contro Pisapia e De Magistris ai ballottaggi di Milano e Napoli.
Questa via è quella di andare a votare per Pisapia e De Magistris, considerando questi messaggi per quello che sono: le convulsioni irrazionali di un signore che non sa più cosa dire, se non parlare di se stesso e denigrare chi gli si oppone. Questi messaggi televisivi me ne ricordano da vicino altri di queste settimane: quelli del suo amico Gheddafi. Accomunati dal mezzo, che consente di comunicare visivamente dal chiuso di un bunker o, in questo caso, dal riparo di studi ben isolati dalla folla e dai prevedibili fischi che ne proromperebbero. Accomunati dal non dire o proporre nulla, ma dal limitarsi a minacciare vendette l’uno o, l’altro, a far emergere l’irrazionale di timori ancestrali, in un guazzabuglio nel quale si mescolano rossi, sinistra violenta, “zingari”, moschee. Accomunati dall’insulto nei confronti dell’avversario politico.
Su una cosa possiamo convenire con Berlusconi: quelle di Milano e Napoli sono sfide cruciali.
Napoli era data per probabilmente persa al primo turno dagli stessi esponenti del centrosinistra. Dobbiamo leggere il prevalere del candidato De Magistris su Morcone al primo turno come se in questo si fossero configurate le “vere” primarie del centrosinistra, in luogo di quelle indette senza idee, celebrate nei brogli, annullate nelle polemiche. Il voto per De Magistris al primo turno indica la volontà di oltre un quarto dei napoletani di avere un sindaco che non abbia nulla a che fare con figuri come Cosentino e con interessi poco limpidi, ed al tempo stesso nulla in comune con il sistema di governo locale bassoliniano. Il voto per De Magistris al secondo turno misurerà la capacità dell’intero centrosinistra di far prevalere una ragione di ordine superiore rispetto alle vicende dei singoli partiti o gruppi di interesse.
Ma, per il significato anche simbolico che ricopre, la partita cruciale è quella di Milano. Vi si gioca una partita che non è soltanto politica in termini di schieramenti. E’ anche molto più profonda, e tocca le radici culturali, prepolitiche, del modo d’essere di una comunità: Croce avrebbe parlato di “storia morale”. Da un lato una tradizione civica e municipale, che si fonda sulla realistica attenzione alle necessità, ai bisogni, alla pratica del ben governare, al saper costruire l’ambiente per una cultura aperta, cosmopolita, (basti ricordare Toscanini, Strehler, Grassi, Bottoni, il BBPR, e ne dimentico tantissimi), alla concretezza, al non escludere nessuno. Una Milano laica, civile, che ha prodotto periferie decorose, servizi, trasporti pubblici funzionanti, innovazione, ricchezza, senso civico e capacità inclusiva.
Le amministrazioni di destra hanno cercato di cancellare tutto questo. Nella loro azione si è mostrato un senso di revanche e ripulsa nei confronti di tutto quanto avevano prodotto amministrazioni tradizionalmente caratterizzate da spinte riformiste. In conformità a quanto accadeva nel resto del Paese, si sono alimentate le paure e gli odii; si è affermato il dominio dei furbi, il potere di clans familistici o di gruppi di sodali (basti pensare al sistema formigoniano o al clan La Russa-Ligresti) ha creato cupole politico-affaristiche che alternano il controllo della politica a quello del territorio e dei relativi affari immobiliari, ed ha trasformato la stessa destra. La vicenda dell’Expo è diventata, da occasione irripetibile per una città di rappresentar se stessa e le proprie capacità, una camera di compensazione di interessi immobiliari e finanziari, nella quale si rischia la paralisi. Furbizia condita da abbondanti dosi di malcostume politico sono divenuti la regola: le firme false, Nicole Minetti, il Trota, ne sono esempi. Le fatiche della cultura, considerate roba da parrucconi, sono state sostituite da “eventi” solitamente ben retribuiti e dei quali non resta alcuna traccia il giorno dopo. Le questioni dei servizi, la politica della casa, i programmi di assistenza, non sono più stati ritenuti uno dei parametri della qualità dell’azione amministrativa, ma fardelli dei quali occuparsi con fastidio e limitandovi risorse ed attenzione, in quanto non finalizzati a quegli interessi di cui si cercava il consenso e dai quali proveniva il sostegno. Si è misurato il concetto di “modernità” su un’idea di Milano che la ha fatta precipitare nella graduatoria italiana per la qualità della vita.
La vittoria di Pisapia alle primarie ha premiato la figura che appariva ed era più organica a quel modo di concepire la città e l’azione amministrativa che sopra è stata indicata. In questo senso, Pisapia è stato l’interprete ideale di una visione di Milano nella quale ha potuto riconoscersi non solo quella parte di sinistra in cui Pisapia ha militato, ma anche quella tradizione democratica, laico-liberale e socialista che, pur offuscata in questi ultimi anni, vi è sempre stata presente.
Fin qui, si sarebbe potuto trattare di un confronto tra due visioni della città, di grande rilievo amministrativo e culturale, ma pur sempre riguardante la città. Ma l’incapacità amministrativa della Moratti e l’inconsistenza del suo programma (non serve un programma per i cittadini, quando si tratti di assegnare fette di potere, di affari, di arre, e per il resto limitarsi alle pulsioni irrazionali, alle feste, al panem et circenses,all’immagine) per un verso, e l’aver ritenuto cosa utile il ricorso al consueto gioco della candidatura del premier ad una carica elettiva che mai verrà onorata per l’altro, hanno prodotto il risultato di confrontare un’idea di città e per la città con null’altro che la frenesia berlusconiana di spostare la discussione su altri temi che oggi lo ossessionano dall’altro, trasformando il confronto in uno scontro.
Così è avvenuto il miracolo che la Milano civile e democratica potesse dare contemporaneamente un ceffone, anzi una “sleppa”, alla grigia Moratti, a Berlusconi ed a tutto quel che interessatamente loro gravita intorno. Adesso, occorre completare l’opera, assicurando la vittoria a Pisapia e De Magistris, e dicendo NO a Berlusconi. Il quale, incautamente ha rappresentato la probabilità della della propria sconfitta con l’affermare, anzi invocare: “Milano non sarà una Stalingrado”. Appunto, Milano come Stalingrado: il punto di svolta della seconda guerra mondiale.
{ Pubblicato il: 22.05.2011 }