Fondazione Critica Liberale   'Passans, cette terre est libre' - Abbiamo scelto come logo la fotografia d'un autentico 'Albero della Libertà ancora vivente. È un olmo che fu piantato nel 1799 dai rivoluzionari della Repubblica Partenopea, Luigi Rossi e Gregorio Mattei, a Montepaone Superiore, paese dello Jonio catanzarese. La scritta &lequo;passans ecc.» era qualche volta posta sotto gli 'Alberi della Libertà' in Francia.
 
Direttore: Enzo Marzo

Dal 1969 la voce del pensiero laico e liberale italiano e della tradizione politica che difende e afferma le libertà, l'equità, i diritti, il conflitto.

"Critica liberale" segue il filo rosso che tiene assieme protagonisti come Giovanni Amendola e Benedetto Croce, Gobetti e i fratelli Rosselli, Salvemini ed Ernesto Rossi, Einaudi e il "Mondo" di Pannunzio, gli "azionisti" e Bobbio.

volume XXIV, n.232 estate 2017

territorio senza governo - l'agenda urbana che non c'è

INDICE

taccuino
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67. paolo bagnoli, la nostra preoccupazione
68. coordinamento democrazia costituzionale, appello alla mobilitazione per una legge elettorale conforme alla Costituzione
106. comitati unitari per il NO al “rosatellum”, l’imbroglio degli imbrogli
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territorio senza governo
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69. giovanni vetritto, l’italia del “non governo” locale
73. pierfranco pellizzetti, alla ricerca del civismo perduto
79. antonio calafati, le periferie delle metropoli italiane
84. paolo pileri, molta retorica, pochi fatti
86. giovanni vetritto, post-marxisti inutili
88. valerio pocar, primo comandamento: cementificare
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astrolabio
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89. riccardo mastrorillo, finanziare sì, ma come?
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GLI STATI UNITI D'EUROPA
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93. sarah lenderes-valenti, la risorsa più grande
94. luigi somma, le democrazie invisibili
97. claudio maretto, la discontinuità paga
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castigat ridendo mores
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100. elio rindone, basta con l’onestà!
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l'osservatore laico
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103. carla corsetti, il principio di laicità
107. gaetano salvemini, abolire il concordato
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terrorismo e religione
109. pierfranco pellizzetti, jihad combattuta alla john wayne
114. alessandro cavalli,quattro cerchi
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lo spaccio delle idee
117. gianmarco pondrano altavilla, cari liberisti, chi conosce un buon medium?
118. luca tedesco, savoia o borbone? lo storico è un apolide
119. gaetano pecora, ernesto rossi, “pazzo malinconico”
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78.92.102. spilli de la lepre marzolina
116. la lepre marzolina, di maio ’o statista
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Critica liberale può essere acquistata anche on line attraverso il sito delle Edizioni Dedalo con transazione crittografata e protetta.
.A ROMA IL FASCICOLO PUO' ESSERE ACQUISTATO ANCHE PRESSO L'EDICOLA DEI GIORNALI IN PIAZZA DEL PARLAMENTO.
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comitato di presidenza onoraria
Mauro Barberis, Piero Bellini, Daniele Garrone, Sergio Lariccia, Pietro Rescigno, Gennaro Sasso, Carlo Augusto Viano, Gustavo Zagrebelsky.

* Hanno fatto parte del Comitato di Presidenza Onoraria: Norberto Bobbio (Presidente), Vittorio Foa, Alessandro Galante Garrone, Giancarlo Lunati, Italo Mereu, Federico Orlando, Claudio Pavone, Alessandro Pizzorusso, Stefano Rodotà, Paolo Sylos Labini. Ne ha fatto parte anche Alessandro Roncaglia, dal 9/2014 al 12/2016.
 
05.02.2018

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noi votiamo così

mill colorni - ghersi - cassano - ande - colla

1 commento

felice mill colorni

Concordo ovviamente sul fatto che l’obiettivo prioritario di questa campagna elettorale sia battere definitivamente B e il forzaleghismo. Non stupirà però chi abbia letto la mia “letterina di fine anno (e di fine ventennio)”, e le polemiche e le repliche alle obiezioni seguite alla sua pubblicazione (si può ritrovare tutto nel sito di Critica liberale o nel mio), che io mi auguri, come esito di queste elezioni, una maggioranza parlamentare formata da Pd e lista Monti, anziché l’“autosufficienza” della coalizione guidata dal Pd, come auspicato nell’“orientamento” diffuso da Critica. Penso che sarebbe stato molto più opportuno limitarsi a dare la stessa indicazione espressa da “Libertà e Giustizia” «a favore di una delle formazioni politiche che si impegnano a contrastare questa destra inetta e illiberale che ancora ci minaccia», indicazione in cui avremmo potuto riconoscerci tutti. Visti anche i candidati nella mia circoscrizione, io sono orientato a votare per il Pd alla Camera e per la lista Monti al Senato.

In sintesi, non credo che alcun singolo Stato delle dimensioni degli attuali Stati europei possa permettersi scelte autonome nel campo delle politiche economiche, se non diventando parte di uno Stato federale europeo attualmente inesistente. In assenza di una tale federazione, sul piano meramente statale credo che non si possa fare per ora molto di più che tentare di evitare una catastrofe alla greca. Anche per questo, per usare la figura retorica introdotta proprio da Vendola, credo sia preferibile che Bersani abbia Monti come sua badante piuttosto che (il solo) Vendola, che reputo troppo incline alla tentazione di imporre alla futura maggioranza iniziative solo propagandistiche in campo economico, destinate sicuramente a rivelarsi a breve insostenibili a livello meramente statale se in controtendenza rispetto al resto dell’Ue, e quindi alla fine controproducenti anche rispetto al loro scopo; ma pronto d’altra parte in cambio di ciò – presumo – a qualunque compromesso al ribasso con il Pd in materia di laicità e diritti civili (e, per conseguenza, di nessuna garanzia, neppure in questo campo, rispetto al totale agnosticismo della lista Monti in materia di laicità e all’eterogeneità assoluta di posizioni individuali che vi si riscontra).

Questa è una delle tre ragioni – non però la più importante – per cui, qualora fosse sostanzialmente certa sulla base degli ultimi sondaggi la vittoria del premio di maggioranza alla Camera da parte del Pd, in astratto potrei addirittura, candidati permettendo, votare per la lista Monti anche alla Camera. Anche perché credo che la maggior parte delle critiche che vengono mosse a Monti sottostimino immensamente le dimensioni del disastro ereditato dalla destra populista e l’inevitabilità di farvi fronte con provvedimenti che sono risultati iniqui ma che sono stati anche largamente obbligati date le circostanze. Non lo farò solo perché, al momento, è imprevedibile fin dove possa arrivare l’ipotizzata “rimonta” di B. Solo ed esclusivamente per questo motivo, alla Camera sono orientato, come detto, a votare per il Pd.

C’è peraltro un altro motivo contingente per cui non potrei comunque votare per la lista Monti alla Camera nella mia regione: trattandosi di una formazione del tutto eterogenea, soprattutto per quel che riguarda i diritti civili legati alla laicità, nella mia regione – il Friuli-Venezia Giulia – potrei votarla, come penso farò, solo al Senato, dove il candidato capolista, e verosimilmente eleggibile, è un parlamentare uscente del Pd fra i più svegli della zona (messo alla porta in ossequio all’ottusa regola populista del limite dei mandati, identico per capaci e incapaci, onesti e disonesti  – almeno finché non colti proprio con le mani nel sacco); ma, quand’anche la possibilità di una rimonta di B fosse fuori discussione, non potrei comunque fare altrettanto alla Camera, dove è candidato come capolista un clericale talebano del comitato “Scienza e Fede”, che avrebbero fatto bene a estradare verso l’Udc da cui proviene. Per la Camera, come detto, è soprattutto l’incertezza sulle chances di B che mi costringe a votare per il Pd, qui peraltro rappresentato da candidati clericali solo più moderati del succitato talebano – ma di fronte al rischio di un ritorno di B voterei con convinzione anche per Topo Gigio o Paperino, che se non altro risulterebbero meno ridicoli e screditati. Se non vi fosse alcun rischio di resurrezione di B, nella mia regione alla Camera non voterei né per il Pd né per la lista Monti: potrei dare un voto meramente dichiarativo a qualcuna delle formazioni toppo piccole per poter superare lo sbarramento, oppure annullare direttamente la scheda.

Considero però molto più importanti della prima la seconda e la terza delle ragioni per cui mi auguro una coalizione fra Pd e lista Monti, e non mi auguro invece minimamente una maggioranza autosufficiente della coalizione guidata da Bersani, ma invece la sconfitta di B e un risultato non deludente delle liste Monti. La seconda ragione riguarda il rischio di catastrofe che si aprirebbe se i consensi conseguiti dalla lista Monti andassero sprecati in più regioni per il mancato raggiungimento della soglia dell’8% necessaria a produrre un risultato utile in ciascuna regione per il Senato, e al tempo stesso il centrosinistra non riuscisse a conquistare il premio di maggioranza senatoriale né in Lombardia né in Campania né in Sicilia: in questo caso, il centrosinistra, se pure fosse stato in grado di conseguire il premio di maggioranza alla Camera, non potrebbe formare una maggioranza parlamentare se non alleandosi o con B o con Grillo. Uno scenario politico da incubo che certamente non tarderebbe a provocare una catastrofe geopolitica, economica e sociale dalle proporzioni e dalle conseguenze impensabili.

La terza ragione, la più importante di tutte, riguarda le regole del gioco e le riforme elettorali e costituzionali. Soprattutto in questo campo, il Pci/Pds/Ds/Pd ha storicamente sempre dato il peggio di sé e ha sempre mostrato il massimo dell’arroganza e del disprezzo per le minoranze quando si è sentito più forte. L’assoluta disinvoltura in materia di regole e la drammatica carenza di cultura delle regole, ampiamente dimostrata da questo partito attraverso tutti gli anni di fango del berlusconismo, lo porterebbe facilmente a optare per un’ennesima riproposizione, e forse per la costituzionalizzazione, del tendenziale bipolarismo che ha contrassegnato la funesta stagione della cosiddetta “seconda repubblica”. E se non solo la maggioranza di Bersani risultasse autosufficiente, ma se, come tutti i sondaggi suggeriscono, riuscisse anche alla coalizione di B di riacchiappare saldamente la seconda posizione, distanziando di molto la lista Monti, la tentazione di rianimare per l’ennesima volta B e il suo partito, per spartirsi con questo avversario indebolito il potere politico e di sottogoverno anche negli anni a venire, si farebbe fortissima per il Pd: e del resto questo orientamento, perfettamente in linea con la ventennale sciagurata politica del Pd in questo campo, è già chiaramente trapelato da varie dichiarazioni dello stesso Bersani; ed è perfettamente in linea – e quindi perfettamente smerciabile agli elettori – con venti o trent’anni di sproloqui sulla “democrazia compiuta” che consisterebbe nel superamento della democrazia parlamentare in favore dell’elezione diretta, in un modo o in un altro, dell’esecutivo; e per di più giustificabile politicamente con l’obiettivo comune a Pd e B di far fuori prima di tutto il grillismo, non sconfiggendolo nelle urne ma cambiando le regole del gioco, se quest’ultimo movimento si piazzasse al terzo posto.

Obbligare il Pd a una coalizione con la lista Monti non basterebbe purtroppo a mettere in sicurezza la Costituzione dagli assalti ispirati alla ciarlataneria populista “anticastale” – in realtà antiparlamentare – degli anni di fango, ma renderebbe con ogni probabilità impossibile l’ennesimo “inciucio” sulle regole del gioco fra Pd e partito o coalizione di B, scongiurando almeno il pericolo di accordi fra di loro in questo campo sopra la testa di tutti gli altri, che comportassero una riproposizione forzosa del funesto bipolarismo o del bipartitismo di questi anni ripugnanti, e tenendo aperta per il futuro la permeabilità del sistema politico alla partecipazione di forze (almeno inizialmente) minori – sola realistica possibilità quest’ultima, come l’esperienza del nefasto diciottennio berlusconiano ha ormai ampiamente dimostrato, per consentire la futura rappresentanza nel sistema politico anche di forze politiche potabili: laiche o liberali (o ambientaliste, o socialiste, ecc.) per quanto minoritarie. Dopo ormai più di trent’anni di vita da straniero in patria, troverei intollerabile continuare a non essere minimamente rappresentato, neppure alla lontana, nelle istituzioni rappresentative della Repubblica, a ogni livello, anche nel prevedibile futuro.

Per quel che riguarda le elezioni regionali, dove vince il candidato che ottiene la maggioranza relativa, se fossi un elettore lombardo, non avrei esitazioni a votare per Umberto Ambrosoli, che pure ha inopinatamente e maldestramente messo in ombra in questa campagna elettorale la sua caratterizzazione distinta da quella di gran parte della sua coalizione (con vantaggio diretto di Albertini e indiretto – e ben maggiore – per la destra populista uscente). Una sua (difficile) vittoria consentirebbe di spazzar via la coalizione berlusconiano-leghista proprio nella sua roccaforte, accelerandone potenzialmente di molto il definitivo disfacimento anche a livello nazionale.

Senza alcun entusiasmo, e al solo fine di sconfiggere una coalizione uscente berlusconiano-leghista (con aggiunta di Udc), credo che voterò per la candidata del centrosinistra anche alle regionali della mia regione, che si terranno un paio di mesi dopo le politiche. Riservandomi ovviamente una decisione definitiva quando saranno note liste e candidati presenti.

Non potrei invece fare altrettanto se fossi un elettore laziale (dove tra l’altro la sconfitta della destra è più scontata e ha comunque un ruolo molto meno cruciale che in Lombardia), dato il comportamento totalmente indifendibile del centrosinistra in quella regione: dal pieno coinvolgimento nello scandalo della gestione dei fondi del Consiglio regionale fino al modo – del tutto subalterno alla ciarlataneria populista dominante – di porre sullo stesso piano («Sono tutti uguali»?) i ladri (salvati poi, per lo più, con candidature al Parlamento) e chi li aveva denunciati, cioè i due consiglieri radicali uscenti. La tentata alleanza fra radicali e Storace – campione assoluto di malgoverno regionale e di clericofascismo – mi impedirebbe però di votare anche per la lista radicale (qui e altrove: per le ragioni indicate in un mio recente commento a uno “spillo” del sito di Critica liberale).

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LIVIO GHERSI  Un voto per il cambiamento

Negli Stati in cui gli ordinamenti liberaldemocratici sono consolidati, l'alternanza delle forze politiche al governo è considerata fisiologica. In particolare, quando un Governo ha malgovernato, o ha creato al Paese più problemi di quanti non ne abbia risolti, non c'è partita: il Corpo elettorale si rivolge allo schieramento politico alternativo e lo mette alla prova. Anche in Italia, quindi, dopo la crisi del 2011, l'esito dovrebbe essere scontato. Il Corpo elettorale dovrebbe concedere un turno di riposo allo schieramento di Centrodestra, che si è diviso politicamente e non ha saputo garantire la tenuta dei conti pubblici. Tanto più che il Centrodestra, dopo cinque tornate elettorali (1994, 1996, 2001, 2006, 2008), schiera per la sesta volta consecutiva il medesimo leader: Silvio Berlusconi. E' un po' troppo anche per gli Italiani moderati e pazienti.
Si fa fatica a credere che il dibattito elettorale s'incentri sulla possibilità di restituire ai contribuenti il gettito dell'IMU corrisposta per la prima casa. Al riguardo, il problema non è soltanto quello della copertura finanziaria. I giornalisti che pongono le domande ed i politici che espongono i propri rispettivi programmi, sembrano perdere di vista il contesto generale. Con legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, è stata modificata in modo rilevante la Costituzione della Repubblica italiana; in particolare, è stato completamente riformulato l'articolo 81 Cost. e sono stati introdotti cambiamenti sostanziali nell'articolo 119 Cost.. Quest'ultimo riguarda la finanza regionale e locale e, tanto per capire la sua importanza, è quello che sta a fondamento della legge di delegazione legislativa in materia di federalismo fiscale (legge n. 42/2009), con tutti i decreti legislativi che ne sono scaturiti. Per chi si fosse distratto, la riforma costituzionale ci vincola a tenere in ordine i conti pubblici e vale non soltanto per lo Stato, ma anche per le Regioni e gli Enti locali. Il contesto generale è caratterizzato anche dal trattato "sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria", detto, nel linguaggio giornalistico, del "Fiscal compact". E' stato sottoscritto dal Governo presieduto da Mario Monti il 2 marzo 2012 e ratificato, in tutta fretta, dal Parlamento italiano il 19 luglio 2012. Per amore di verità, va detto che il Governo Berlusconi non si era fieramente battuto per difendere gli interessi nazionali italiani, ma aveva spensieratamente promesso il pareggio di bilancio già per il 2013. L'ineffabile Giulio Tremonti lascia intendere di essere capace di comprendere che piega prenderanno gli eventi, molto prima che accadano; purtroppo ci comunica le sue geniali intuizioni sempre molto dopo, a cose fatte.
Rispetto alle regole del Trattato di Maastricht del 1992, quello sul "Fiscal compact" comporta le seguenti sostanziali differenze: 1) mentre prima era consentito che il bilancio annuale dello Stato prevedesse un disavanzo fino al tre per cento del Prodotto interno lordo nazionale (PIL), ora invece il bilancio deve essere in pareggio e, quando proprio non è possibile, il disavanzo ammesso deve essere contenuto entro lo 0,50 per cento del PIL; 2) mentre prima si tollerava che la regola del rapporto tra ammontare complessivo del debito pubblico e PIL non venisse rispettata, ora invece se ne pretende il rispetto. Così ci siamo impegnati ad eliminare in vent'anni la parte di debito pubblico eccedente il 60 per cento del PIL. Per la cronaca, oggi il debito pubblico è pari al 126 per cento del PIL.
Tutto ciò significa che il nostro Paese non è più sovrano in materia di determinazione della politica economica; anche perché gli obblighi che abbiamo sottoscritto non sono meramente teorici, ma l'ordinamento dell'Unione Europea ed il medesimo trattato sul "Fiscal compact" prevedono procedure di verifica e sanzioni nei confronti degli Stati membri che volessero sottrarsi. Secondo fior di economisti, sottoscrivere il Trattato sul "Fiscal compact" è stata un'autentica follia, considerato che siamo in fase di recessione economica. Ma i nostri uomini di Stato hanno convenuto che, per non compromettere i già fragili equilibri europei, non si potesse fare a meno di firmarlo, hanno "silenziato" il dissenso, ed hanno ratificato in tutta fretta, sperando che l'opinione pubblica italiana non si rendesse conto di ciò che capitava. In questo contesto, affermare oggi che si possano sottrarre alle entrate pubbliche quattro, o addirittura otto (in caso di restituzione dell'IMU già riscossa), miliardi di euro, è semplicemente irresponsabile. Questa non è soltanto l'opinione di un modesto osservatore, quale sono.
E' venuto, dunque, il momento di cambiare cavallo e di passare la responsabilità del governo al Centrosinistra. Le prossime elezioni sono molto importanti ed è nostro interesse, oltre che nostro dovere, sforzarci di individuare il voto migliore, o meno peggiore, nelle circostanze date. Per quanto mi riguarda, voterò la lista di Sinistra, ecologia e libertà (SEL), alla Camera. A differenza di quanto si vorrebbe far intendere, Vendola ha da tempo scelto la linea del riformismo possibile, rispetto a quella dell'opposizione pura e dura. Al Senato, laddove l'esito delle elezioni è più incerto, voterò direttamente per il maggior partito della coalizione di Centrosinistra, il Partito democratico. Si tratta di un partito nazionale, che, cosa più importante, assume l'unità nazionale non soltanto come un fatto storico, ma come un bene da tutelare. Si tratta di un partito che prende sul serio l'esigenza dell'equità, e quindi vuole che gli inevitabili sacrifici non ricadano sui ceti più poveri della popolazione. Si tratta di un partito che, ferma restando la volontà di salvaguardare l'Unione Europea e di svilupparne le potenzialità in senso democratico, sembra aver chiaro che occorra rivedere la politica economica e monetaria dell'Unione, superando un punto di vista eccessivamente rigorista. Questa consapevolezza appare evidente nel candidato Presidente del Consiglio, Bersani, in politici di lunga esperienza, come D'Alema, in esponenti della nuova dirigenza, come Fassina.
La coalizione di Centrosinistra, proprio perché non vuole ulteriormente gravare sulla massa della popolazione e dunque sa che la strada dell'aumento delle entrate non è ulteriormente percorribile, fatto salvo ciò che si può recuperare dall'evasione, cercherà di ridurre la spesa pubblica attuando riforme di sistema. Si pensi in primo luogo alla riforma costituzionale dei livelli di governo territoriale (trovando in quell'ambito anche soluzioni strutturali per i piccoli Comuni), senza lasciarsi scappare l'occasione di correggere nel contempo alcuni dei non pochi, e non lievi, errori che si fecero con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, sulla revisione del Titolo quinto della Parte seconda della Costituzione. Immagino che la coalizione di Centrosinistra possa dare spazio alle giuste esigenze di riduzione dei costi della politica, senza sposare soluzioni che sono frutto di un antiparlamentarismo becero. Ad esempio, sarebbe razionale portare la composizione della Camera dei deputati intorno a 450 membri; invece, il parlare di "dimezzamento" del numero dei deputati risponde soltanto ad una logica punitiva. Confido che la coalizione di Centrosinistra studierà soluzioni per correggere la tendenza alla crescita illimitata dei trattamenti economici dei manager, privati e pubblici. Le politiche economiche avviate da Ronald Reagan e da Margaret Thatcher tendevano all'obiettivo di aumentare la forbice sociale, ossia il divario tra pochi troppo ricchi e la restante popolazione sempre più impoverita. E' venuto il momento di restringere il divario sociale e di tenere a bada l'egoismo. Con riferimento alle riforme costituzionali ed istituzionali è auspicabile una più ampia intesa fra le forze parlamentari, senza steccati preconcetti.
Potrei scrivere un saggio se mettessi insieme le critiche che, nel corso del tempo, ho mosso nei confronti del PD. Sempre non per pregiudizio, ma con riferimento a questioni di contenuto, di volta in volta esattamente individuate. Quando, come nel mio caso, non vengano in considerazione consonanze sul piano ideale, la scelta di voto è frutto di un ragionamento, di una ponderazione degli argomenti pro e contro. Il voto non rappresenta né un'adesione al partito votato, né un'accettazione incondizionata della sua linea politica. E' revocabile alla prima occasione, se dovessero prevalere nuovi motivi di critica. Per me oggi questo voto rappresenta semplicemente il meno peggio, in una logica costruttiva, sempre per amore dell'Italia.
Palermo, 7 febbraio 2012
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GIM CASSANO Verso il voto
Abbiamo assistito (in quest’ultima settimana, ormai, non può cambiare più nulla) ad una delle peggiori campagne elettorali della storia repubblicana. In buona sostanza, si è parlato solo di tasse e di IMU, che il pifferaio dichiara che restituirà, da subito, agli italiani (ovviamente, con i soldi degli stessi: se non altro, ‘o comandante, Lauro, quando prometteva pacchi di pasta in cambio di voti, attingeva a quattrini suoi).
Per il resto, promesse da Paese di cuccagna da una parte, qualche timido richiamo alla realtà dall’altra parte, insulti un po’ da tutte le parti, in modo particolare tra il cavaliere ed il “professorino che non capisce nulla di economia”; e poco più di questo.
E’ un po’ poco per una tornata elettorale che si sperava potesse rappresentare la chiusura di un ciclo, e l’apertura di una nuova fase: quella della seconda ricostruzione del Paese. Sembra invece di assistere al ripetersi degli stanchi rituali della Seconda Repubblica, un po’ per inadeguatezza, ed anche perché, in fin dei conti, ciò sta bene a tutti, da Berlusconi a Grillo, senza eccezioni.
Nella vita di un Paese, i momenti che segnano la trasformazione verso nuovi assetti di potere, nuove  concezioni culturali e politiche, nuovi equilibri della società e dell’economia, sono sempre accompagnati dall’elevarsi di tono del dibattito politico. A volte, anche della durezza; ma di una durezza determinata dalla consapevolezza di trovarsi di fronte ad un momento cruciale.
Oggi, non stiamo assistendo a nulla di tutto ciò.
Berlusconi lavora apertamente per la paralisi: ben conscio del fatto che, se è fuori dalla sua portata la possibilità di conquistare la maggioranza (altro che sorpasso), l’ottenere un risultato tale da permettergli di paralizzare o almeno condizionare pesantemente il futuro Parlamento è invece un obbiettivo più realistico e non impossibile, che gli consentirebbe di riproporre il dejà-vu del governo Prodi.
E, soprattutto, gli consentirebbe di non dover considerare definitivamente chiusa e persa una partita che riguarda la leadership sulla destra italiana ed i connotati che questa dovrà assumere o mantenere.
Perché, in definitiva, di questo si tratta, anche se nessuno dei due contendenti, Monti e Berlusconi, lo dice apertamente. Se Berlusconi cerca di restare comunque sulla scena, altrettanto chiaramente Monti lavora con lo scopo finale di sostituirsi a Berlusconi nella guida della destra italiana, “mission” affidatagli dal mondo vaticano e da pezzi importanti dell’imprenditoria, ben consci, gli uni e gli altri, del fatto che una destra guidata da Berlusconi sarebbe inefficace e talmente screditata da precludere ogni rapporto in Europa.
A tal fine, non poteva essere accolta la proposta del Cavaliere di farsi da parte, ove Monti avesse accettato di mettersi alla testa dell’intero fronte dei moderati italiani. Ciò avrebbe comportato il lasciare comunque un ruolo al Cavaliere, alla Lega, a zombies come i La Russa, gli Storace, e via dicendo. In sostanza, sarebbe stata un’operazione condotta in piena continuità col passato, una sorta di investitura da parte del cavaliere, del tutto contradditoria con il disegno di far crescere in Italia una destra capace di avere un ruolo europeo.
Disegno, in sé, razionale, ed anche utile alla democrazia italiana: a condizione che chi lo porta avanti lo dichiari apertamente (cosa che non è affatto avvenuta), ed a condizione che una razionale e più moderna rilettura della destra non venga interpretata da chi di destra non è, magari in nome dell’antiberlusconismo, per cosa diversa da quel che è.
Che di questo si tratti, è cosa che non appare da ragionamenti espliciti ed espressi con chiarezza di fronte al Paese ma traspare, all’italiana, da segnali e messaggi, quali l’appoggio dato da Monti a Gabriele Albertini alle regionali di Lombardia. O quale la ripetuta ed oramai noiosa litania di un Centrosinistra col quale si potrebbe collaborare ove si togliesse la fastidiosa presenza di Vendola.
Monti ha imparato molto alla svelta il mestiere del politico. E sa bene che deve pur dare qualche segnale all’opinione pubblica di destra, se vorrà, un domani esser lui a rappresentarla.
In quanto al Centrosinistra, occorre ammettere come la vivacità di “Italia Bene Comune”, in termini di proposta complessiva, sia andata via-via annacquandosi, con una campagna elettorale che di fatto è stata giocata sul terreno scelto dal Cavaliere: quello del fisco e dell’IMU: se le elezioni del ’53 sono passate alla storia come “quelle della legge-truffa”, queste diverranno le “elezioni dell’IMU”.
In effetti, per quanto riguarda il Centrosinistra, il grosso del dibattito politico preelettorale si è ridotto alle schermaglie tra Bersani e Monti che, probabilmente, saranno obbligati dalle nequizie del Porcellum a cercare una difficile intesa. Cosa che non è in sé impossibile, a condizione di aver chiaro che si tratta di due visioni strategiche  non coincidenti, e che la partita vera è solo rinviata.
In sostanza, quella attuale è solo la prima fase di una partita tra le forze conservatrici ed una sinistra democratica e riformista che, perché possa venir definitivamente e chiaramente giocata, come è nell’interesse del Paese e della democrazia italiana, richiede che si rendano chiari i caratteri che verrà ad assumere la destra: se quelli cui questa ci ha abituato negli ultimi 20 anni, o quelli di una forza conservatrice democratica e di stampo europeo. Se verrà a realizzarsi questa seconda ipotesi, potremo assistere ad una civilizzazione del dibattito politico, a condizione che non si facciano confusioni tra destra e sinistra. E questo sarà un bene per l’Italia.
Dalle imminenti elezioni, non arriverà, probabilmente, una risposta definitiva a questa domanda.
Il primo rischio è che, con il concorso delle 5 Stelle, il Cavaliere riesca comunque ad assicurarsi una posizione tale da paralizzare qualsiasi riforma.
Il secondo rischio è quello della mancata autosufficienza, o non adeguata sufficienza, al Senato. Se così dovesse essere, sarebbe un grave errore quello di pensare di farvi fronte con il ricorso a transfughi presi dove e come capita.
Per due ragioni: la prima è che queste cose non durano; la seconda, che ciò costerebbe poi carissimo nel momento in cui, prima o poi, si dovrà tornare a votare.
Meglio sarebbe, allora, in questa ipotesi, cercare di concordare poche cose con il senatore Monti: riforma elettorale, riforma dei partiti e del loro finanziamento, alleggerimenti fiscali mirati su lavoro e impresa, esodati, avvio di politiche per lo sviluppo, con la prospettiva di chiamare poi gli italiani a pronunciarsi, con una legge elettorale degna di questo nome, tra un dignitoso partito conservatore ed un blocco progressista e riformista.
La discesa in campo di Berlusconi, ritardando questa scelta, non sarà stata un buon servizio per il Paese.
Da queste considerazioni derivano le mie posizioni circa il prossimo voto: in linea generale, esistono due soli voti “utili” ai fini delle reali prospettive del Paese: a destra, quello dato alla lista Monti, alla Camera ed al Senato; a sinistra, quello dato alla coalizione di Centrosinistra, limitatamente alle due espressioni politiche ivi presenti: il PD e SEL.
Ovviamente, considerando sempre rilevante e significativa la differenza tra destra e sinistra, il mio voto andrà a quest’ultima; ed in particolare, al PD.

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ANDE

 

A TUTTI QUELLI CHE “DOMENICA E LUNEDI’ C’AVRO’ DI MEGLIO DA FARE”

A TUTTI QUELLI CHE “TANTO SONO TUTTI UGUALI”

A TUTTI QUELLI CHE “TANTO NON CAMBIA MAI NIENTE”

A TUTTI QUELLI CHE “ALLA FINE CONTANO LE RACCOMANDAZIONI CHE C’HAI”

ECCETERA ECCETERA ECCETERA…..

“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1, comma 2, Cost.)

La tentazione del “non voto” è forte in questi tempi di profonda crisi della politica ma è sbagliato pensare che il “non voto” sia una forma di protesta: il “non voto” è il massimo del qualunquismo!

NON VOTARE VUOL DIRE RINUNCIARE ALLA DEMOCRAZIA

Votare è il primo e più importante esercizio di sovranità. Rinunciare significa rinunciare alla sovranità e al sistema democratico.

MA PERCHÉ CONVIENE VOTARE?

Non votare vuol dire rinunciare a dire la tua, anzitutto su come devono essere allocate le risorse economiche, cioè i TUOI soldi! La politica, come la gestione di una qualunque famiglia è, infatti, anzitutto allocazione di risorse e cioè decidere se spendere in sanità o in armamenti, in cultura o in tecnologia, in istruzione o in opere pubbliche. Anche a questo serve il tuo voto!

Inoltre, rinunciare al voto è rinunciare a uno dei diritti civili più importanti che la Costituzione ci garantisce. La conquista dei diritti civili è un duro cammino che dobbiamo proseguire senza lasciarci scoraggiare dalle difficoltà, dalla corruzione, dalla crisi.

Rinunciare al voto significa gettare la spugna, rinunciare ad essere cittadino e dunque anche, in una prospettiva di lungo periodo, spianare la strada alla corruzione, al malaffare, all’autoritarismo.

Il NON VOTO UN MITO DA SFATARE

Per i meccanismi elettorali vigenti il “non voto” non sortisce alcun effetto concreto sui risultati elettorali. Soltanto si registrerà un forte astensionismo che sarà liquidato con qualche commento e un po’ di amarezza sulla stampa, ma nulla cambierà nell’assegnazione dei seggi!

Non votare per certi versi è impossibile: non votando, in pratica, avremo infatti votato come tutti gli altri! Qualcuno ha felicemente definito il “non voto” un “voto fotocopia”.

Non votare è solo rinunciare a un diritto, perché il “non voto” è solo rimettersi al volere altrui, delegare la propria sovranità agli altri.

Sottrarsi è solo un’illusione. Ed è giusto che sia così! Questa è la grande conquista della democrazia! Non possiamo sottrarci dalla politica perché la politica (la polis) siamo noi!

SIAMO TUTTI DEI PRIVILEGIATI RISPETTO AI NOSTRI BISNONNI!

Il suffragio universale, maschile e femminile, in Italia è stato introdotto solo nel 1946! Le donne, prima di allora, erano escluse dal voto e prima ancora anche gran parte dei cittadini maschi erano esclusi, sulla base di limitazioni fondate sul reddito, sull’istruzione e su altre condizioni personali e sociali. Non votare significa rinunciare a questo diritto per il quale migliaia di persone hanno lottato lungamente e duramente, perdendo anche la vita!

La democrazia è stata una conquista molto dolorosa e sarebbe assurdo rinunciarci!

E SE PENSI DI FREGARTENE DELLA POLITICA,

RICORDA CHE LA POLITICA FREGA TE!!!

L’impegno minimo che si chiede al cittadino è dunque votare.

Meglio sarebbe impegnarsi attivamente nella vita politica:

leggere, informarsi, partecipare.

Se tutti partecipassimo le cose cambierebbero, e oggi gli strumenti di informazione e partecipazione sono alla portata di tutti.

Votare è comunque importante, non rinunciare anche a questo. Perché votare è un diritto ma anche un dovere verso la comunità, verso i propri figli. Non rinunciare a partecipare!

NON MOLLARE LA DEMOCRAZIA!

SEMMAI INFORMATI E SCEGLI CONSAPEVOLMENTE!

E HAI MAI PENSATO DI VOTARE UNA DONNA???????

ANDE A VOTARE!!!

-

PAOLO COLLA

 

Non mi sono mai iscritto al PD perché l’ho sempre considerato il risultato di un compromesso al ribasso tra riformismi del secolo scorso, privo di identità politica, incapace di proporre un “cemento ideologico” (Giddens) capace di unire i riformisti di oggi. Tuttavia alle elezioni politiche voterò PD perché:

ritengo irrinunciabile, per il mio modo di essere liberale, il tema dei diritti di libertà individuali. Sono contrario alla attuale legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, ritengo necessario tutelare i diritti delle coppie di fatto, “delle sorelle e dei fratelli gay” (come definiti da Obama), dei carcerati, di tutti alla scelta libera di come finire la propria vita.

Ritengo irrinunciabile la laicità dello Stato, e sono contrario ai privilegi fiscali di cui gode la chiesa cattolica.

Ritengo fondamentale che lo Stato garantisca direttamente ad ogni cittadino il diritto all’istruzione e alla sanità pubbliche. Quindi sono contrario al principio della sussidiarietà inteso come delega a strutture private di servizi pubblici che lo Stato ha il dovere di erogare. Credo che debba essere tutelata la libertà di aprire scuole e cliniche private, e la libertà di tutti i cittadini di potervi accedere, ma sono contrario al finanziamento pubblico di tali aziende private.

Nessuno dei tre punti precedenti è contemplato nell’agenda Monti, anzi il raggruppamento comprende l’UDC e CL, che sostengono posizioni diametralmente opposte alle mie.

4. Sono con intransigenza favorevole alla separazione dei poteri, quindi ritengo drammaticamente urgente una legge sui conflitti di  interesse, affinché la politica venga separata dalla proprietà dei mezzi di     informazione, e si spezzino le commistioni di organi amministrativi che legano banche, assicurazioni, finanza, creando veri e propri trust.

Fini e Casini, cofondatori del PDL, sono stati artefici con il loro sodale Berlusconi dello scempio del principio della separazione dei poteri. Bersani ha dichiarato che la prima legge del suo governo sarà sul conflitto di interessi.

5. Ritengo giusto che lo Stato dismetta attività che non gli competono per migliorare l’adempimento dei suoi doveri nei confronti dei cittadini. Ma non sono d’accordo con la scelta ideologica della privatizzazione quale unico assetto capace di produrre ricchezza, operando con efficacia ed efficienza. Amministro una multi utility pubblica che produce 10 milioni di utili ante imposte e 2,8 milioni di utile post imposte.

6. Sono favorevole al principio di riparazione, quindi al ruolo dello Stato nella distribuzione del reddito per dare ai cittadini pari opportunità.

7. Destra e Sinistra sono ancora parole ricche di significato. Negarlo significa negare la differenza tra liberismo e libero mercato entro regole certe, tra utilitarismo e contrattualismo, tra accettazione della povertà e giustizia distributiva, tra liberalismo individualista e liberalismo democratico, tra diritti diseguali e libertà eguale, tra darwinismo sociale e pari opportunità.

Non vedo, nell’offerta politica attuale, partito che più del PD affermi nel proprio programma i 7 punti per me decisivi. Potrei proseguire a lungo, ma non voglio approfittare della vostra benevolenza.

 

 

 

 


{ Pubblicato il: 21.02.2013 }




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Commento inserito da Pietro Pasut il 24.02.2013:
Condivido da illo tempore e sottoscrivo (ho già votato PD). Ma rammento che va ricordato (magari in inglese !) al probabile "forzato amico" Monti che non va affatto dimenticato problema IMU x gli Enti clericali (cosa ripetutaci via UE)rimasto inevaso con la "scusa" che sono "di difficile e rapida individuazione"...evito in questa sede ovvie e facili battute !!! Ma almeno proporrei che qualcuno di noi cafoscarini sostituisca qualche bocconiano ! Come ai vecchi tempi !!! P&P