autori vari
1 commento2. A. Litta Modignani, la capogruppo grillina ignorante e fascistoide
3. S. Danna, Il movimento cinque Stelle e quell'uso (a bassa tecnologia) della Rete -
4. M. Vigli, Grillismo e laicità
5. F. Lo Piccolo, Operai ex detenuti a "costo zero". Le aziende rifiutano -
1. massimo gramellini : richiesta di dimissioni «Prima che degenerasse, il fascismo aveva una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal socialismo, un altissimo senso dello Stato e la tutela della famiglia». Questo Paese senza memoria digerisce ormai qualsiasi oltraggio alla sua storia, ma se un politico di spicco della Casta avesse pronunciato parole simili, dubito che l’avrebbe passata liscia. Nemmeno Berlusconi, per citare un caso limite, si era mai spinto a tanto. I più sarcastici gli avrebbero chiesto in quale giorno, ora e minuto esatto un movimento giunto al potere con la violenza e la sospensione delle libertà fondamentali era degenerato in qualcosa di peggio. I più sensibili sarebbero sobbalzati davanti alla superficialità urticante di certe affermazioni. In particolare la seconda, perché per dire che il fascismo dei gerarchi corrotti e della retorica patriottica ammannita al popolo come una droga aveva «un altissimo senso dello Stato» bisogna avere un altissimo tasso di malafede o, peggio, di ignoranza. E non oso immaginare la reazione di Grillo. Gli avrebbe urlato da tutti i computer: sei morto, sei finito, sei circondato, arrenditi topo di fogna. Purtroppo il pensiero sopra riportato è opera di Roberta Lombardi, neocapogruppo alla Camera dei Cinquestelle, che lo ha scritto su un blog non più tardi di un mese fa. Conosco tante persone che hanno votato Grillo per dare uno scossone al Palazzo. Ma nella lista degli scossoni desiderati dagli elettori non credo rientrasse l’apologia di fascismo. Perciò sono sicuro che la signora Lombardi presenterà entro stasera le sue scuse, seguite dalle sue dimissioni.
[la Stampa, 5-3-13]
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2. Alessandro Litta Modignani: La capogruppo grillina ignorante e fascistoide
Non banalizziamo, non sottilizziamo, non accampiamo scuse o circostanze attenuanti. Le parole di Roberta Lombardi, la neo-capogruppo dei grillini (non amano essere chiamati così? E chi se ne frega) alla Camera dei deputati, non sono affatto una semplice gaffe dovuta a inesperienza, né vale la solita spiegazione delle “frasi estrapolate dal contesto” (a proposito: ma queste parole non le avevamo già sentite? Non sono forse il tipico ritornello imbarazzato di un Silvio Berlusconi a corto di argomenti?).
Sostenere che il fascismo, “prima che degenerasse”, abbia avuto una “dimensione nazionale di comunità” (???) e un “altissimo senso dello Stato”, dimostra inoppugnabilmente due cose. La prima è che Roberta Lombardi è una persona profondamente ignorante. La capogruppo grillina “ignora” completamente la storia del suo paese e del fascismo in particolare. Mussolini fondò i Fasci nel ’19 e assunse la guida del governo nel 1922, dopo un biennio di violenza squadrista. Il delitto Matteotti è del 1924. Di quello stesso anno e del seguente i ripetuti pestaggi che provocheranno, la morte di Giorgio Amendola e di Piero Gobetti, fra gli altri. Il 3 gennaio del ‘25 furono varate le leggi speciali che instaurano la dittatura. Di quale successiva “degenerazione” parla, Roberta Lombardi? “Prima che degenerasse”, cioè quando? Il fascismo fece morire in carcere Antonio Gramsci e mandò i suoi sicari a Parigi per assassinare Carlo e Nello Rosselli. Che “altissimo senso dello Stato”, quello di un governo che confina, incarcera, uccide i suoi oppositori…! E’ questa la “comunità nazionale” cui aspira Lombardi?
Oltre all’ignoranza, le dichiarazioni della parlamentare presentano un secondo aspetto, forse politicamente più grave: l’estrema debolezza della cultura liberale italiana, da sempre minoritaria e posta letteralmente sotto assedio da altre ideologie e mentalità dominanti: quella comunista, quella clerico-integralista e quella autoritaria fascista appunto. Dopo la scomparsa del partito comunista e del Msi, finita la lunga stagione del cattolicesimo democratico, le ideologie illiberali tendono a riemergere e a rilanciare il loro tentativo egemonico, vuoi con il razzismo etnico leghista, vuoi con le violenze del “movimento antagonista”, da ultimo attraverso le invettive e il linguaggio fascistoide del partito di Beppe Grillo. Lo stesso Silvio Berlusconi, quando afferma che “Mussolini fece anche tante cose buone”, dimostra di non aver affatto compreso la natura intima, totalitaria, della dittatura fascista. Non per nulla Piero Gobetti diceva che “l’avversione di un liberale al fascismo è, ancor prima che ideologica, istintiva”. E’ proprio questo istinto di libertà che manca a Roberta Lombardi, difensora di un “fascismo buono”, delle origini, che in realtà non è mai esistito.
Che il fascismo abbia attinto a piene mani dal socialismo è un fatto notorio, ma questo deve costituire semmai una ragione di riflessione per il movimento socialista, in particolare per le sue componenti rivoluzionarie e non democratiche, giammai rappresentare una ragione di vanto per il fascismo stesso; analogamente, il fatto che il fascismo sia stato per la “tutela della famiglia” (altra affermazione di Lombardi) dovrebbe indurre a riflettere i conservatori della famiglia tradizionale, alla luce dei grandi cambiamenti di costume intervenuti da allora, quando l’omosessualità era considerata un reato. Ancora: il fatto che il fascismo abbia avuto una “dimensione nazionale di comunità” è un argomento in più per diffidare dell’ideologia nazionalista, una delle peggiori aberrazioni che la belva umana abbia prodotto nel corso dei secoli.
Infine, un esame di coscienza a parte dovrebbero farsi i tanti italiani democratici, anche di sinistra – e persino qualche radicale - che hanno dato il loro voto al Movimento 5 Stelle e ora si ritrovano in Parlamento un’esponente della cosiddetta “destra sociale”: bell’affare, complimenti. Con tutta probabilità si tornerà presto a votare, vedano di non ripetere lo stesso errore.
[Forum radicale (inufficiale)] 06-03-2013
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3. Serena Danna , Il movimento 5 Stelle e quell'uso (a bassa tecnologia) della Rete, Corriere della sera, 6-3-13
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4. Marcello Vigli, Grillismo e laicità
http://www.italialaica.it/news/editoriali/40090
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5. Francesco Lo Piccolo, Operai ex detenuti a "costo zero". Le aziende rifiutano
Potrebbe essere l'effetto della crisi. O potrebbe dipendere dal cosiddetto marchio di Caino. Oppure per altro che non so. Ma la storia che mi è capitata in queste ultime settimane è sintomatica di qualcosa che non va. In breve: ho avuto grandi difficoltà a trovare aziende e imprese, piccole o grandi, disposte ad assumere in tirocinio formativo ex detenuti e/o detenuti ormai a fine pena.
E questo anche di fronte "all'incredibile offerta" di assunzioni part-time per un anno a costo zero perché pagate direttamente da un Ente di formazione che a sua volta ha ricevuto un finanziamento dalla Regione Abruzzo nell'ambito di un progetto di inclusione sociale. Pensate: lavoratori gratis per un anno addirittura con assistenza di tutor e psicologo per agevolare il percorso di inserimento, eppure ugualmente rifiutati con un cortese "no grazie".
Da non credere, quasi inaudito se penso a esperienze simili che abbiamo avuto in passato come Associazione Voci di dentro, e spesso andate a buon fine come nel caso di Tony che dopo la borsa lavoro presso la nostra Onlus a carico del Comune di Chieti, venne assunto in prova dalla Valter Tosto Spa e poi, finito di scontare la pena, venne assunto sempre dalla stessa azienda a tempo indeterminato. Quasi una storia da cinema a lieto fine: con un magazziniere, un marito, un padre... un amico in più. Soprattutto con un carcerato in meno.
Ma il mondo cambia, e come si vede in peggio, almeno in questo caso. E così, di fronte ai no di questi giorni, sono ora costretto a cercare il perché e andare a trovarlo nella crisi che sta attraversando il nostro paese. O appunto nel marchio di Caino, in quella parola che è pregiudicato e che resta impressa a vita come quei numeri che vennero impressi dai nazisti sulle braccia di milioni di persone.
O nella specificità "dell'essere detenuto", nel fatto che i detenuti non sono niente se non "detenuti, cioè gente senza arte né parte o che al massimo sono solo capaci di delinquere: per pagarsi la droga, per pagarsi la vita, per pagarsi la bella vita". Detenuti o meglio dire poveri che da piccoli non sono andati a scuola. Poveri che non hanno avuto modo di imparare un mestiere. Poveri perché in fuga dall'Africa e "costretti" all'illegalità per pagare i vizi di chi la notte va a prostitute, di chi di giorno consuma cocaina per essere più performante e produrre meglio, di chi ha bisogno dell'operaio in nero.
E perché lì in carcere - per qualcuno, ma non per me - è bene tenerli a meno che non diventino degli schiavi obbedienti come lo sono i migliaia di operai stagionali impiegati nella raccolta dei pomodori tanto per fare un esempio o nei cantieri pagati in nero per fare un altro esempio. Schiavi o carcerati: i primi senza tempo perché per loro il tempo è solo lavoro; i secondi con tanto tempo ma rinchiusi in piccoli spazi senza fare nulla, distesi su delle brande con lo sguardo al soffitto o ai buchi della branda di sopra.
A proposito di tempo e di spazio, ho appena terminato di leggere "Dentro", il libro edito da Einaudi e scritto da Sandro Bonvissuto, filosofo-cameriere. Un libro che consiglio e che ho apprezzato - ancora prima di leggerlo - grazie a un emozionante reading teatrale-musicale organizzato dall'associazione Aethos che si è tenuto sabato scorso a Pescara e condotto da Simone D'Alessandro, dai bravissimi Luca Breda e Luca Ciarciaglini (I casi clinici), accompagnato dalla voce meravigliosa di Libera Candida D'Aurelio e dalle musiche di Marco Di Marzio.
Un libro che vale la pena leggere, specie per chi non sa cos'è il carcere. Perché l'autore non solo descrive la vita in carcere ma ti butta letteralmente nella cella, ti fa mangiare sul fornellino a gas, ti fa passare la notte al freddo su una lurida cuccetta... e il carcere te lo mostra e te lo mette a nudo in tutta la sua bruttezza, come il male assoluto, conficcato nella terra, come caduto dal cielo o sbucato dal sottosuolo, circondato da mura:
[...] il muro è il più spaventoso strumento di violenza esistente [...] non c'è niente che ti uccide come un muro. Il muro fa il paio con delle ossessioni interne, cose umane, antiche quanto la paura. [...] concepito per agire sulla coscienza. Perché il muro non è una cosa che fa male; è un'idea che fa male. Ti distrugge senza nemmeno sfiorarti. Lí dentro ho visto anche gente piangere davanti ai muri, davanti alla caparbia ostilità della materia. Perché, se funzionano, i muri sono tutti del pianto. E' bravo Sandro Bonvissuto. E' bravo perché "usa la scrittura come un pittore usa il colore sulla tela" (Giorgio Mattioli) e nel suo Dentro, nel racconto che apre la raccolta e che si chiama "Il giardino delle arance amare" è stato capace di farmi vedere il carcere meglio di come l'ho visto fino ad oggi: disumano, pieno di non vita, riempito dal puzzo delle cucine, dal fetore delle latrine, dal rumore delle chiavi, senza spazio ma pieno di tempo vuoto, tempo inutile.
L'autostrada per impazzire. Un luogo dentro e non fuori dal mondo. Un luogo - il carcere - che riguarda tutti. E Sandro Bonvissuto lo spiega bene facendo parlare il suo Mario, il detenuto "che stava nell'ultima cella del ballatoio, il vecchio che si era fatto vecchio dentro il carcere: "se fuori sarai da solo - dice al protagonista del racconto - è qui che tornerai".
Perché sì, il carcere è abitato da gente che fuori è sola, da gente senza, dai poveri innanzitutto, dalle vittime dei tagli ai servizi, a cominciare dalla scuola, e dalle persone cacciate nei ghetti delle città, nelle periferie, nelle tante Vele di Scampia del nostro e di altri paesi. E poi ri-concentrate in carcere... come vite di scarto (Zigmunt Bauman), riconcentrate in questo luogo contro natura, come contro natura sono le "mali-opere" degli uomini sugli alberi.
Anche qui tagli, anche qui ferite, come racconta e denuncia nei suoi libri il mio amico Francesco Nasini, teologo e scrittore, che da anni coltiva la passione per gli alberi monumentali, interessandosi alle loro storie, per la loro salvaguardia, come ha fatto qualche giorno fa quando mi ha inviato le immagini di un pioppo in via Vicinale Chiappini a Pescara salvato dall'abbattimento, ma colpito da una potatura scandalosa e drastica. Anche questa una vita sacrificata nel nome del cemento, del grigio e dell'ordine. Un ordine che non è più vita nel nome di una supposta sicurezza.
Scrive il sociologo Loic Vacquant: [...] Si finge di credere che lo scopo della prigione consista nel rieducare e reinserire i suoi ospiti, mentre tutto - dall'architettura all'organizzazione del lavoro di sorveglianza, passando per l'indigenza delle risorse istituzionali (per il lavoro, la formazione, la scolarità e la sanità), i sempre maggiori ostacoli alla concessione della libertà condizionale e l'assenza di concreti aiuti al momento dell'uscita dal carcere - tutto contraddice un simile proposito.
La frase di un agente carcerario si rivela, in proposito, particolarmente eloquente: "Il reinserimento serve per tranquillizzare la coscienza di qualcuno. Non della gente come me, ma dei politici... Quante volte mi sono sentito dire: non ci ricasco più!, e sei mesi dopo, paf... Il reinserimento non può essere fatto in prigione. E' troppo tardi. Bisogna "inserire" le persone dando del lavoro, e le stesse opportunità all'inizio, a scuola. Bisogna promuovere una politica di inserimento". Ma se si è incapaci di inserire i giovani disoccupati, pensate quale può essere la sorte degli ex detenuti!
Davvero una brutta sorte e le difficoltà per trovare un lavoro "a costo zero" sono la prova di questa cosa che non va, certo della crisi, certo di tante altre variabili, ma anche, e temo soprattutto, in forza di quel marchio di Caino, di quel marchio che ci libera la coscienza per fare male anziché bene. Quel marchio che un sistema di informazione ansiogeno e falsante amplifica a dismisura: e così se un ex detenuto sbaglia, sbagliano tutti gli ex detenuti; se un detenuto in permesso premio non rientra in carcere, allora così fanno tutti. E così, invece di interrogarci, troviamo la soluzione, la prima, la più facile... caso risolto. "Un lavoro a costo zero? No grazie".
[Francesco Lo Piccolo è direttore di “Voci di dentro”, da L'HUFFPOST]
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{ Pubblicato il: 04.03.2013 }