elisa ferrero
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Attivisti e blogger egiziani, ormai da giorni, sono ai ferri corti con il Consiglio Militare e il conflitto non accenna a diminuire d'intensità. Tale conflitto, tuttavia, appare ricco di lezioni importanti. Ma cerchiamo di riassumere le ultime puntate della vicenda.
Giovedì scorso, il noto blogger e giornalista Hossam el Hamalawi, alias 3arabawy, è apparso in tv, sul canale ONtveg, nel programma della giornalista Reem Maged, per parlare degli abusi dell'esercito e della polizia militare sui manifestanti, nonché dei numerosi processi militari nei confronti dei civili. In seguito a questa intervista, sia Hossam el Hamalawi sia Reem Maged sono stati convocati con urgenza dalla Procura Militare per essere interrogati. Assieme a loro, è stato anche convocato il giornalista Nabil Sharaf el-Din, il quale ha sostenuto che l'esercito avrebbe un accordo segreto con i Fratelli Musulmani per passare loro il potere. Troppe critiche queste per il Consiglio Militare, il quale ha reagito immediatamente con la convocazione in Procura delle tre persone in questione.
L'interrogatorio si è svolto oggi, alle undici di mattina. Nei giorni scorsi, tuttavia, fin dal primo diffondersi della notizia, si è subito attivato un grande movimento di solidarietà nei confronti di el-Hamalawi, Maged e Sharaf el-Din, tanto che oggi, davanti alla Procura Militare, erano radunate centinaia di persone, decise a non muoversi di lì, finché i tre non fossero stati rilasciati. Lanciando slogan coraggiosi contro il Consiglio Militare, hanno ribadito la libertà di espressione e di criticare chicchessia, persino l'esercito. E la pressione di piazza sembra aver funzionato a dovere. Con il passare delle ore, infatti, la Procura Militare ha gradualmente mollato la presa. Gli avvocati che hanno accompagnato in Procura i tre convocati hanno tenuto costantemente informata la folla di manifestanti sull'andamento dei colloqui. Dapprima hanno fatto sapere che Reem Maged era stata convocata solo in qualità di testimone, quindi hanno riferito che el Hamalawi non era sotto indagine, ma era sottoposto a un colloquio informale. Grazie alla stretta e assillante "osservazione di strada", il temuto interrogatorio si è trasformato in una semplice chiaccherata di fronte a una tazza di caffé (testuali parole!). Alla fine, i convocati sono usciti sani e salvi, senza essere accusati di nulla.
El Hamalawi, in seguito, ha raccontato i dettagli della sua "amichevole conversazione" in Procura. I militari gli hanno chiesto di fornire tutte le informazioni e le prove che aveva a disposizione sui presunti abusi sui civili da parte dell'esercito, cosa che el Hamalawi, presentatosi carico di fotografie, video e testimonianze, ha prontamente fatto. Reem Maged, per parte sua, ha fatto presente ai militari che la semplice convocazione di un giornalista per rendere conto dei contenuti della propria trasmissione è già una forma di intimidazione e limitazione della libertà d'espressione. In conclusione, la Procura Militare ha promesso che avrebbe avviato delle indagini accurate sui fatti documentati dal blogger (e da varie organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty International). El Hamalawi, tuttavia, fa notare che le denunce di questi abusi sono già state presentate da tempo, ma le indagini non sono mai state avviate, oppure sono state insabbiate. Lui è sicuro che la sua convocazione aveva ben altri scopi inizialmente e che, senza la pressione della piazza, non sarebbe uscito illeso dalla Procura Militare. La grande mobilitazione dei giovani, spaventando l'esercito, ha probabilmente protetto lui e gli altri da pesanti azioni penali.
Ma non è finita qui. Dopo il successo della manifestazione di venerdì, che chiamava direttamente in causa l'esercito, il Consiglio Militare ha invitato ufficialmente i giovani della rivoluzione al dialogo, con un incontro che si terrà la sera di mercoledì 1 giugno. L'invito è giunto, come sempre, attraverso un comunicato su Facebook, contenente anche un numero di fax, al quale i giovani possono inviare i nomi dei partecipanti (10 per ogni gruppo o movimento). Finora, ha accettato l'invito solo l'Unione dei giovani della rivoluzione. L'ha rifiutato invece la Coalizione dei Giovani della Rivoluzione che, per poter dialogare, ha posto come condizione la fine dei processi militari ai civili.
La lezione che insegna questa storia, dunque, è che, restando uniti e determinati, è possibile influenzare il Consiglio Militare al governo del paese, così come è possibile vigilare sulla rivoluzione e costringere l'esercito alle riforme volute dal popolo. Non sarà facile, come ho ribadito più volte. Tuttavia, la miglior garanzia del successo della rivoluzione - e non mi stancherò mai di dirlo - è il profondo mutamento di coscienza di una buona fetta della società egiziana, che ora sente di avere in mano le sorti del proprio paese. Chi non crede al cambiamento del paese, non vede il cambiamento fondamentale avvenuto nelle persone, un cambiamento certo non quantificabile attraverso indicatori economici o parametri scientifici, e nemmeno riflesso, per ora, nelle strutture portanti del paese, ma reale e, secondo me, anche definitivo. L'esercito, chiaramente restio a mettere in discussione interessi e privilegi consolidati da decenni, sarò costretto, volente o nolente, a fare i conti con tale cambiamento, esattamente come ha fatto oggi. Per questo sono fiduciosa, qualunque sarà l'esito della rivoluzione, che non si potrà tornare indietro.
{ Pubblicato il: 31.05.2011 }