giovanni vetritto
2 commentiRIPROPONIAMO QUESTO ARTICOLO DI GIOVANNI VETRITTO, CHE FU PUBBLICATO SUL LUNEDI DELLA CRITICA,n.9 - 1° aprile 2013, SIA PER LA SUA ATTUALITA' SIA PER IL COMMENTO CHE CI E' GIUNTO
[9] Critica l’ha detto chiaro e tondo prima delle ultime elezioni: non è più possibile che i laici attendano la mobilitazione elettorale per sorprendersi e lamentarsi di non avere una rappresentanza politica.
La fase preelettorale ha visto la nuova alleanza montiana disinteressarsi di una copertura alla sua sinistra analoga a quella che i Malagodi e i La Malfa assicurarono al centrismo degasperiano a partire dal 1948; e la sinistra PD-SEL manifestare un simmetrico disinteresse per una simile copertura sul proprio fianco destro.
L’esito dato dalle urne ha confermato la miopia di un simile disinteresse.
Nonostante il boom dei grillini, che hanno avuto circa un quarto dei voti espressi, un quarto degli aventi diritto al voto (e dunque un numero ben superiore di italiani rispetto ai convertiti alle 5 stelle) ha ancora una volta deciso di astenersi. Voti, come è evidente, che avrebbero garantito l’autosufficienza a una più ampia alleanza di sinistra, o un ben maggiore peso sugli equilibri postelettorali a una più vasta nuova coalizione centrista orchestrata da Monti.
E invece, nel disinteresse di qualsiasi interlocutore un italiano su quattro ha preferito ancora una volta starsene casa piuttosto che votare uno dei deludenti blocchi in campo; affiancato in altra forma dai non pochi che hanno manifestato il proprio disagio nell’urna con la scheda bianca.
Difficile dare una lettura univoca dei desideri elettorali di questa unica e sola netta maggioranza relativa, uscita per di più rafforzata dalla tenzone elettorale, nonostante, come detto, la presenza di un significativo sfogo di pura protesta. Ma è ben plausibile sostenere che una porzione significativa di questo mondo certamente variegato sia rappresentato dagli “apoti” di prezzoliniana memoria, dai salveminiani antidogmatici, dai liberali desiderosi di una società aperta, dai liberalsocialisti interessati a coniugare dinamismo produttivo e uguaglianza dei punti di partenza, dai democratici consapevoli del legame tra crisi socio-politica e sfascio delle forme della democrazia costituzionale, dagli “azionisti” indignati dal degrado morale della politica; in una parola, dai laici, e, ragionando nei termini del radicamento sociale (ormai incredibilmente abbandonati da tutti i commentatori politici), dai “ceti medi riflessivi”, dagli “happy five million” di Severgnini; dalla borghesia e neoborghesia lontana tanto dal protezionismo predatorio delle destre berlusconiane e postberlusconiane, quanto dal moderatismo asfittico e neoclericale del centro in via di ricostituzione, come pure dal corporativismo e dal burocraticismo autoreferenziale delle sinistre alleate.
Certamente per tutti costoro non tutti i mali avevano, nel desolante panorama dell’offerta elettorale, lo stesso potenziale negativo. Per questo è ragionevole ritenere che alcuni si siano indirizzati a sostenere l’alleanza di sinistra, che pure ha perduto qualcosa meno di tre milioni e mezzo di voti.
Ma è altrettanto ragionevole ritenere che la gran parte non si sia riconosciuta né nel buon senso un tanto all’etto di Bersani, né nell’algido equilibrismo di Monti, né nella solita chiamata alle armi reazionaria di Berlusconi.
Critica, per parte sua, paventava il pantano nel quale in questi giorni la politica italiana sta affogando. E per questo ha dato indicazione di votare, turandosi montanellianamente il naso, per la sinistra: ma per l’ultima volta.
Oggi, essendo ormai evidente lo sfascio a cui le forze in campo stanno condannando il paese, ed essendo prevedibile un rapido precipitare verso nuove elezioni, Critica ripropone la necessità di un urgente rassemblement dei laici; una alleanza larga di democratici, liberali, repubblicani, azionisti, laici e socialisti che offra una prospettiva di rappresentanza a quel gruppo sociale astensionista magari limitato, ma capace di offrire a un’alleanza responsabile che la accolga nel suo seno un solido aggancio alla modernità occidentale e progressista, al problemismo riformatore, alla triade borghese di libertà, uguaglianza e fraternità. Alla società aperta.
Non è certo agevole immaginare come si possano raccogliere le forze di questo mondo, che viene da storie ed esperienze diverse, ha spesso interessi non coincidenti (ma probabilmente convergenti), fa prevalere il valore moderno dell’individuo sulle appartenenze di chiesa e congregazione, ha in alcuni casi un legame culturale preciso a precise venerate memorie, ma in altri denota una chiara sensibilità liberale senza darle alcuna veste storico-intellettualistica. Eppure un tentativo va fatto, per rispetto delle tante storie politiche di un ricco filone di impegno politico della “altra Italia”, ma anche per responsabilità verso i nuovi ceti e i nuovi attori sociali che magari senza saperlo a quello stesso coacervo di valori e ricette istituzionali e sociali possono ispirarsi per il loro protagonismo politico.
Ben prima delle elezioni chi scrive su queste colonne ha proposto di iniziare dalla convocazione di “stati generali della cultura laica”, che inizino a rimettere assieme storie precise rappresentate da enti, fondazioni, riviste e istituzioni culturali che recitano inascoltate da anni il rosario di ragionevoli proposte politiche che vengono dalla loro tradizione, per un Paese attento ormai solo al suono del piffero dell’ennesimo imbonitore da fiera.
Può non bastare; e per questo, sarebbe molto utile che spezzoni di partiti, organizzazioni politiche, liste civiche, movimenti politico-culturali della medesima area convergessero nella stessa occasione, per proporre le forme di una possibile coerente mobilitazione elettorale, prima che l’ennesimo precipitare degli eventi riproponga ai laici il ricatto di votare l’invotabile per timore del peggio o restare nel chiuso della propria sterile ragione astenendosi.
Non si tratta però di fare del reducismo, di ripercorrere le pur nobili storie della sinistra laica perennemente massacrata dal fideismo cattolico o social comunista. Si tratta di riproporre nella sua scandalosa, bruciante attualità una somma di ricette istituzionali, politiche, economiche, ispirate al fallibilismo riformista, che rispecchiano le punte più avanzate della cultura e della politica anche internazionale oltre che del nostro passato nazionale, chiamando a raccolta attorno ad essa giovani, nuovi attori sociali, movimenti capaci di assommare all’indignazione e all’insofferenza la ragionevolezza e la pazienza dello studio e della costruzione di soluzioni alla ormai putrescente crisi italiana.
Critica si è assunta prima delle elezioni l’impegno a lavorare perché tutto ciò possa diventare realtà; l’infausto esito elettorale rende un simile risultato ancor più urgente da conseguire.
Queste poche righe vogliono essere una chiamata all’impegno. Agli altri, a tutti gli altri nella galassia frammentata dei laici, dare una risposta.
{ Pubblicato il: 26.03.2014 }