pierfranco pellizzetti
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Alfano & Co. Apoteosi dell'impudenza
Quale tratto caratteriale accomuna l’Angiolino Alfano (“Liso dagli occhi sbarrati”, mica blu), lo zoologo leghista Roberto Calderoli e la Maria Antonietta del Partito Democratico Anna Finocchiaro?
Presto detto: la sfrontatezza inconsapevole. Ossia, la convinzione impudente che sia del tutto normale calpestare a piacimento - proprio o per conto terzi - qualsivoglia principio; etico, giuridico o semplicemente di buon senso.
Il ministro degli Interni, con le pupille perennemente dilatate dall’incredulità per il repentino salto di carriera (da lacchè di Palazzo Grazioli a governante), si inalbera se qualcuno mostra di “non bersela” la sua estraneità nell’immonda storia della mamma Shalabayeva e di sua figlia; consegnate in ostaggio all’emiro del Kazakhstan, accertato torturatore ma amico petrolifero di Silvio Berlusconi: il datore di lavoro da cui dipende quella adamantina tempra di statista chiamata Alfano.
La stampa internazionale grida alla vergogna dei diritti civili fatti strame dal governo italiano. Qualcuno se la prende pure con la responsabile degli Esteri Emma Bonino; dimenticandosi che si tratta certamente di una brava ragazza ma pur sempre una protesi di Marco Pannella (ossia un avventuriero della politica che talvolta è stato dalla parte giusta: divorzio e aborto, no di certo nell’attacco ai diritti sindacali o portando in Parlamento Toni Negri e la Cicciolina). E la ministra è stata per tutta una vita testimone silente delle varie, reiterate e financo trasformistiche mattane di costui.
Ma il vero scandalo nello scandalo appare l’evidente convinzione di impunità, la certezza di poter fare quello che gli pare (o che gli dice di fare uno a cui non si può dire di no), messa in bella mostra dall’atteggiamento dell’Angiolino.
L’identico retropensiero, con aggiunta di risvolti inconsciamente comici, per cui l’odontotecnico prestato alla politica Calderoli può paragonare la ministro Kyenge a un primate; quando proprio lo zoologo della Val Brembana è la perfetta versione antropomorfica del suino che ha dato il nome alla riforma elettorale di cui fu promotore: il Porcellum.
Puro disprezzo dell’interlocutore, per non dire del buon senso (il buon gusto è in fuga da lunga pezza, innanzi a personaggi di tal fatta). Tanto che l’ex ministro della pari opportunità (o dei diseguali privilegi) Finocchiaro, quando gli iscritti al suo stesso partito manifestano l’intollerabile pretesa di voler partecipare alle decisioni collettive, può esibire il suo pretenzioso birignao nell’apprezzato remake della consorte di Luigi XVI e delle sue famose brioches: “che vogliono questi?”.
Poi impettita prende su e se ne va all’IKEA con la scorta.
Alfano, Calderoli e Finocchiaro come specchio dei tempi.
In sostanza, fummo in tantissimi a esultare quando la Prima Repubblica affondò nel letamaio di Tangentopoli. Eppure oggi almeno ne rimpiangiamo il senso del pudore. Quella profonda verità racchiusa nella massima immortale di François de la Rochefoucauld: “l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù”.
Certo, sarebbe di gran lunga meglio praticare direttamente la virtù, ma almeno si rispettino le forme. Per amore di decenza, come aspirazione latente a un qualcosa di meglio. Ora invece l’indecenza ostentata diventa segno di apprezzabilità sociale, per cui “i c..zi miei” diventano priorità assoluta, il primo diritto costituzionale. Con icone che vanno dalla Daniela Santanché, pitonessa del PDL, alla nuova entrata Rosanna Filippin: la senatrice del PD (sino ad oggi segnalatasi solo per l’acconciatura dei capelli a cespuglio, look GianRoberto Casaleggio), membro della Giunta delle elezioni preposta a decidere sull’ineleggibilità o meno di Silvio Berlusconi; la quale minaccia di denunciare alla polizia i suoi elettori se le inviano fax o SMS invitandola a mantenere gli impegni elettorali assunti (in sostanza: non fare mai combutta con i berluscones).
[il fatto qotidiano]
Giocare in difesa, il resto ai capitali stranieri
Nella secentesca sala affrescata del Maggior Consiglio, in quel Palazzo Ducale genovese che anni fa ospitò un G8 della vergogna, hanno avuto aggio di incrociare le proprie arti due scafati incantatori di serpenti: da una parte il Governatore di Regione Liguria Claudio Burlando, dall’altra l’AD Finmeccanica Alessandro Pansa; l’uomo forte nell’attuale ristrutturazione del Gruppo, alla sua prima uscita dopo la chiacchierata incoronazione a presidente di Gianni De Gennaro.
L’occasione è un convegno preannunciato da mesi, il cui titolo dalle tante maiuscole mescola il trionfalismo illusionistico burlandiano (da lunga pezza nocchiero di un territorio privo di guida e strategie, dall’esaurimento del modello di sviluppo novecentesco con la catastrofe delle PpSs nella seconda metà degli anni Ottanta) e il pompierismo fumistico di stampo doroteo di un management molto portato all’uso della vaselina: “Finmeccanica. Lavoro, Industria, Ricerca per il Futuro della Liguria”. Appunto, la sinergia tra due disegni comunicativi finalizzati a pura immagine imbonitoria.
Infatti quanto interessa a Burlando è simulare con ricorrenti teatralità cerimoniali l’inesistente elaborazione di una politica industriale da parte dell’Ente presieduto. A Pansa si direbbe prema soprattutto incassare consenso, anche nella società locale, affinché non si creino inciampi alle operazioni che ritiene necessario attuare. E qui trova conferma l’interpretazione non a gossip dei recenti riposizionamenti di organigramma ai vertici di quello che rimane uno di residui Grandi Player economici nazionali (con i suoi settantamila dipendenti, di cui 6.700 in Liguria) a seguito dell’arrivo del De Gennaro. L’attenzione della stampa si è focalizzata sulla figura insolita del presidente poliziotto, quando il vero tema era lo scontro in atto tra strategie: quella industrialista di lungo termine, che riteneva importante mantenere una presenza in settori (energia e trasportistica) la cui uscita sarebbe stata senza ritorno, e quella finanziaria giocata sul breve periodo, orientata a concentrarsi sul core business aeronautica-spaziale-difesa tagliando tutto il rimanente. La linea tracciata col coltellaccio del macellaio leghista dal vecchio presidente Giuseppe Orsi, arrestato il 12 febbraio 2013 dai magistrati di Busto Arsizio per tangenti internazionali; oggi perseguita con metodi gesuitici soft dal gruppo vincente nella romana piazza Montegrappa.
Quindi, se al tempo della montilatria si diceva che Mario Monti più che il premier era l’ambasciatore italiano presso i circoli finanziari internazionali, Di Gennaro presidente fungerebbe anche lui da ambasciatore presso ambienti altrettanto esclusivi (con l’effetto indiretto di bloccare organigrammi orientati a difendere la presenza del Gruppo in più settori: una strategia alternativa alla visione delle cordate ora al vertice).
Come ne dà conferma l’appuntamento genovese, in cui l’intero pool di comando, non solo l’AD, si premura di spiegarti che la ripartizione del business in “civile” e “militare” è falsa e pretestuosa (il militare sarebbe largamente civile e viceversa), quando poi lo stesso Pansa spazza via ogni fumismo ammettendo che il mercato a cui ci si orienta è quello della “difesa” (eufemismo per altre definizioni più belliciste) in quanto settore in espansione e che già oggi tocca i 450 miliardi di dollari. Destinati a crescere con le chances che si stanno creando nei paesi BRIC più Turchia, Malesia, Arabia Saudita, Emirati e via andare; particolarmente interessanti per l’assenza di una produzione locale, a fronte di una crescente domanda di prestigio nazionale che gli armamenti confermerebbero.
In sostanza – dice Pansa – si tratta di scelte obbligate, in una visione puramente adattiva (molto finanziaria e ben poco imprenditoriale) del futuro delle aziende. E quanto resta fuori dalla trimurti aeronautica-spaziale-difesa? C’è poco da fare: cederlo al capitale straniero (visto che i privati italiani latitano e lo Stato non ha un euro). Ovviamente l’abile Pansa addolcisce l’amara medicina (particolarmente tale per la Liguria, che metterebbe a repentaglio metà degli addetti nelle aziende Finmeccanica) con po’ di zucchero: naturalmente il Gruppo cercherà investitori esteri che assicurino alle imprese futuri radiosi… Fermo restando che, a passaggi proprietari avvenuti, il compratore gestisce come crede; magari dismettendo.
Ma il problema ora è tingere di rosa lo scenario per un pubblico che non chiede di meglio. Sicché il sindacalista al mio fianco è molto soddisfatto: gli hanno garantito che i riassetti avverranno con il coinvolgimento di quelle che in sindacalese si chiamavano “parti” e ora – in consulenzialese – “stakeholders, portatori di interessi”. E il nostro amico già si prefigura l’opportunità gratificante di sedersi a uno di quei “tavoli” inconcludenti che tanto gli piacciono.
Difatti Alessandro Pansa conosce bene il suo “bestiario” (non a caso è figlio del giornalista GianPaolo, già titolare di un’omonima rubrica).
[il Manifesto]
{ Pubblicato il: 14.07.2013 }