giovanni la torre
Nessun commentoLe perorazioni e le esaltazioni di Tremonti fatte dal giornalista Massimo Giannini di Repubblica non possono essere più considerate dei fatti casuali, dietro di loro c’è un metodo, come direbbe Polonio. Il 15 giugno scorso sulla prima pagina del quotidiano romano c’è un editoriale del predetto Giannini dal titolo illuminante: “Patto con i ceti produttivi. Ecco lo schema di Tremonti”, con subliminale allusione a quel “patto tra i ceti produttivi” che veniva evocato decenni orsono ogni volta che Gianni Agnelli e Luciano Lama si stringevano la mano con la benedizione di gente come Moro e Berlinguer. Tutto l’articolo è il tentativo, fatto non si capisce su quale base, di inserire Tremonti tra i vincitori delle recenti tornate elettorali e toglierlo dagli sconfitti berlusconiani e leghisti. Non si tratta del caso immortalato da Vauro di un Bersani che fa l’imbucato nelle feste dei vincitori, in questo caso ci pensano altri a mettere Tremonti tra i vincitori, non c’è bisogno di fare l’imbucato, il signore è servito a puntino dal giornalista. Scusi Giannini, quando Tremonti diceva, anche nei momenti di massima crisi di immagine di questo governo a livello internazionale, di “essere orgoglioso di far parte di questo governo”, lo faceva per ingannare il suo capo e fare il doppio gioco? E poi a proposito del rigore attuale, che secondo lei lo opporrebbe a Berlusconi, quando negli anni passati il ministro assecondava tutti i capricci del suo capo (ultimo quello di regalare soldi all’Alitalia) dissipando tutti gli avanzi primari faticosamente conseguiti dal centro sinistra, lo faceva per poi poterlo trafiggere meglio? E’ proprio diabolico, oltre che genio, questo Tremonti. L’editoriale in questione, scritto con prosa veemente e partecipata, è farcita di perle come lo stesso incipit: “Un’altra discesa in campo. Non populista, né ideologica.” Ma, signor Giannini, Tremonti é in politica dal 94 come il suo capo, a non voler contare le precedenti consulenze e frequentazioni socialiste. Tremonti è stato il primo ribaltonista e trasformista della seconda repubblica, quando eletto con Segni passò con Berlusconi per un posto di ministro, è stato uno Scilipoti ante litteram, e lei ci viene a dire che ORA tremonti “scende in campo”? Ma cosa dice? E poi la discesa non sarebbe populista? Ma cosa dice? Tremonti non è quello che nei comizi con Bossi parla in un certo modo degli immigrati e dei meridionali? Da ultimo a Bologna quando ha giocato e sfottuto sull’origine meridionale del cognome Merola? Quando ha detto che il prossimo candidato del Pd si chiamerà “Alì, anzi Alì Babà, così porta i babà a Merola?”. La discesa poi non sarebbe “ideologica”? Ma lo sa che Tremonti è quello che vuole l’indicazione delle radici cristiane nella costituzione europea? Che per esempio considera la legalizzazione delle unioni di fatto un “prodotto a bassa intensità morale” (La Paura e la Speranza, p. 88). Ma cosa dice, Giannini? E tutta l’immagine che vuol dare di Tremonti serio e Berlusconi irresponsabile, dove la è andata e cercare? Berlusconi e Tremonti sono più o meno la stessa cosa. Berlusconi ha difeso gli evasori e Tremonti ha fatto altrettanto, Berlusconi ha sempre considerato un optional l’obbedienza alla legge, e Tremonti questa idea l’ha perfino teorizzata (di entrambe le cose si trova dimostrazione nella T. news n. 5). Addirittura Tremonti sarebbe l’alfiere di un nuovo blocco sociale di tutti i ceti produttivi che ingloberebbe anche i sindacati, e non solo Bonanni che ambisce a farsi inglobare da Tremonti già da tempo (forse spera in un posto da ministro in un governo retto dal Genio), ma addirittura anche la Cgil. Ma cosa dice? Lo sa cosa pensa veramente dei sindacati e del ruolo che svolgono a tutela dei lavoratori il super ministro? Ecco cosa pensa: “la legge deve vietare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo (principio di ordine politico), ma non può impedire a un giovane maggiorenne di contrattare liberamente e responsabilmente il suo lavoro e il suo salario. Solo lui sa infatti cosa è davvero nel suo interesse: se è meglio marcire a casa o – come apprendista – imparare un mestiere. Non lo sa certo meglio di lui un <burocrate del lavoro> che, per suo conto, il posto fisso ce l’ha” (Lo Stato Criminogeno, pag. 169-170). Capito Giannini? Per Tremonti la Camusso, che lei vedrebbe bene intruppata nelle file tremontiane, sarebbe una “burocrate del lavoro”. E che dire del bel pensierino della sera del ministro che lei riporta fedelmente tra virgolette: “Non l’etica delle intenzioni, che è individuale, ma l’etica della responsabilità, che è collettiva”. Bella, veramente bella. La inserirò nella lista delle citazioni del genio da tenere a mente, come “i cinesi fanno i cinesi”, “il comunismo ha perso perché ha perso”, “i grandi numeri si fanno con i piccoli numeri”, “la memoria è una cosa l’oblio è un’altra”, e tante altre che custodisco gelosamente come uno scrigno colmo di saggezza da lasciare ai miei nipoti.
Ma forse la cosa più forte, è quell’accostamento all’altro intelligentone della politica italiana che lei fa alla fine dell’articolo: Massimo D’Alema. Questa è una vera intuizione geniale, che tra l’altro condivido in pieno. I due personaggi infatti hanno in comune tante cose, come il disprezzo per l’interlocutore di turno, la prosa fatuamente aulica, l’atteggiamento di chi ritiene di fare una concessione quando si abbassa a parlare con qualcuno, ma soprattutto hanno in comune la convinzione di possedere doti infinitamente superiori a quelle che effettivamente possiedono. Di essere i più intelligenti del pollaio anche se, come disse Pintor, “la biografia non fornisce alcuna prova di ciò”. Quest’ultimo difetto porta sempre a fare dei disastri non tanto a se stessi, la qual cosa interesserebbe poco, ma soprattutto agli altri che sono coinvolti, cioè i cittadini italiani. Ma lei, caro Giannini, con quel finale ha messo la vera firma all’articolo, perché è noto che lei è, guarda caso, l’intervistatore preferito da D’Alema e da un po’ lo è anche di Tremonti.{ Pubblicato il: 21.06.2011 }