elisa ferrero
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Le Chiese copte egiziane hanno deciso di prendere l'iniziativa e rivendicare attivamente i propri diritti. Copto-ortodossi, copto-cattolici e copto-evangelici si sono riuniti per discutere il nuovo disegno di legge unificata sulla costruzione dei luoghi di culto, presentato dal Consiglio Militare. Il disegno di legge ha attirato molte critiche da parte dei cristiani, i quali hanno deciso di unire le loro forze, stilando insieme una lista di suggerimenti per emendare la nuova legge, da presentare formalmente alle Forze Armate.
Il disegno di legge proposto dai militari contiene, secondo i cristiani, molti punti discutibili, in grado di riprodurre la situazione discriminatoria che esisteva sotto Mubarak. La legge, ad esempio, prevede che i luoghi di culti abbiano una dimensione minima di 1000 metri quadrati, ma questo non sarebbe fattibile nei piccoli villaggi, sia per la sproporzione rispetto alle reali necessità dei cristiani locali, sia per il probabile rifiuto della comunità musulmana, che certamente non vedrebbe di buon occhio la costruzione di una grossa chiesa in un paesello. La legge, inoltre, richiede che i luoghi di culto siano separati di almeno un chilometro. Se con "luoghi di culto" si intendono anche le moschee, allora diventa difficile trovare spazio per costruire una chiesa, ad esempio al Cairo, dove di moschee ce ne sono a tutti gli angoli delle strade.
Ma il punto della legge più contestato riguarda la necessità di ricevere il permesso di costruzione di una chiesa da parte dei consigli locali e del governatore. Questo, secondo i cristiani, significherebbe dipendere in tutto e per tutto dalla buona o cattiva disposizione di singole persone. I copti desiderano invece che si stabiliscano delle procedure standard per ottenere il permesso di costruzione e che non sia un'autorità a decidere delle dimensioni di una chiesa.
I copti, inoltre, hanno anche avanzato formale richiesta al Consiglio Militare di avviare delle indagini su Habib al-Adly, l'ex ministro degli interni, per l'attentato alla Chiesa dei Due Santi di Alessandria dello scorso Capodanno. Alcuni documenti dell'Amn al-Dawla (la Sicurezza di Stato, ora sostituita dalla Sicurezza Nazionale), sembrano infatti confermare l'attivo coinvolgimento del ministero degli interni nell'attentato. L'ipotesi minima di coinvolgimento del ministero è la negligenza. Nel caso migliore, cioè, il ministero degli interni si sarebbe limitato a lasciare accadere l'attentato. Nel caso peggiore invece, come suggeriscono alcuni documenti, lo avrebbe addirittura orchestrato. Era ora che la Chiesa alzasse un po' la voce per chiedere giustizia.
Continua il forte dibattito tra i sostenitori della Costituzione prima delle elezioni o viceversa. Nella polemica, tuttavia, hanno fatto irruzione altri "partiti". C'è chi chiede prima di tutto giustizia, ritenendo che la priorità per il paese debba andare ai processi dei corrotti e dei responsabili delle uccisioni dei manifestanti. C'è invece chi pone, in testa alle priorità, la riforma della polizia e la questione dei diritti umani. Ma il "partito" che più sta alzando la voce in questo momento è quello che chiede giustizia sociale, con lo slogan "i poveri prima di tutto". Molti ritengono che la questione dei poveri sia troppo trascurata e che la classe media, ideatrice della rivolta, stia oscurando il ruolo che i poveri hanno avuto nella rivoluzione. Persino la famosa pagina Facebook "Siamo tutti Khaled Said", dopo un lungo periodo di incertezza sulla via da seguire dopo la caduta di Mubarak, ha deciso di adottare la causa dei poveri.
Io mi chiedo, tuttavia, se abbia senso sollevare ora il problema della giustizia sociale. Penso che un governo transitorio, qual è quello egiziano in questo momento, non sia affatto in grado di affrontare una questione così complessa. Solo un governo forte, che scaturisca da un Parlamento eletto dai cittadini, potrà lavorare seriamente al problema. In questo momento, invece, c'è da ricostruire l'intero apparato istituzionale, per stabilire fermamente un'intelaiatura democratica che non possa essere divelta facilmente. Temo che le legittime richieste dei poveri siano premature e possano nuocere al processo democratico. Eppure, non si può negare che siano urgenti.
Sul fronte della competizione elettorale per la Presidenza, invece, il Consiglio Militare ha deciso di effettuare un sondaggio dalla sua pagina Facebook. La motivazione di questa scelta non è chiara e naturalmente il sondaggio va preso con le pinze, visto che, in fin dei conti, gli egiziani che hanno accesso a internet e usano Facebook sono una minoranza. Ma è comunque interessante dare un'occhiata ai risultati. Ebbene, Mohamed el-Baradei è risultato essere il candidato preferito. Al secondo posto si è piazzato Mohamed Selim el-Awa, un noto intellettuale islamico candidatosi di recente, vicino alle posizioni progressiste di Abdel Moneim Abul Futuh. Al terzo posto - e questo, personalmente, non mi è piaciuto - c'è Ahmed Shafiq, l'ex primo ministro nominato da Mubarak all'inizio della rivoluzione, quello che in tv aveva definito le manifestazioni di piazza Tahrir semplicemente come "una dura espressione di opinione collettiva" e lo stesso che aveva detto di non sapere nulla delle violenze sui dimostranti, mentre le tv di tutto il mondo ne mostravano ripetutamente le immagini. Sorprendentemente, Amr Mousa, il presidente uscente della Lega Araba, ha guadagnato solo il quarto posto, mentre il quinto è stato occupato da un altro inquietante personaggio: Omar Suleyman, l'ex capo dei servizi segreti egiziani. Risultati virtuali sì, ma comunque degni di attenzione.
{ Pubblicato il: 21.06.2011 }