paolo ercolani
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Fra i tanti elementi inquietanti emersi dalla vicenda della P4, la presunta lobby di potere occulto che vedrebbe al centro del proprio essere la figura di Luigi Bisignani, e all’apice della piramide l’ineffabile e immarcescibile Gianni Letta, ce n’è uno sicuramente meno rilevante, in ambito penale e politico, ma assai sconfortante a livello etico e culturale.
Infatti, dalle intercettazioni telefoniche pubblicate sui media emerge un’Italia ancora arroccata sulle raccomandazioni e sui privilegi di casta ottenuti dai figli di papà, spesso anche se non sempre dei «bamboccioni» (questi sì) venuti su grazie alle grandi o piccole conquiste dell’autorevole genitore, incapaci di profondere una qualsivoglia abilità ma in compenso investiti di ruoli tanto centrali e lusinghieri quanto ben pagati.
L’aspetto beffardo, oltre tutto, è che in questo ennesimo scandalo della società italiana, a fare la parte di chi contattava il potente occulto di turno, Bisignani appunto, per raccomandare figli, nipoti, amiche e persino mogli, sono stati personaggi che negli ultimi mesi si sono distinti per un’accorata morale sul bisogno di tornare (e quando mai?!) a un paese veramente meritocratico.
La lista è lunga e, come nella migliore tradizione dell’italietta più becera, ben al di sopra delle distinzioni politiche. A cercare sotterfugi rispetto al vero merito sono stati, fra gli altri, fra i tanti altri che a dire il vero arrivano ben vicino alle vite di tutti noi, l’implacabile e professorale Ministro Gelmini (ah, il potere degli occhialini nel costruire un’autorevolezza inesistente, dovremmo rifletterci…), il figlio di Umberto Bossi, aulicamente ribattezzato dal padre «il trota», noto per essere stato pluribocciato persino alle scuole serali, la compagna di Luca Cordero di Montezemolo, senza contare i tanti figli e parenti di giornalisti ben piazzati nei posti migliori. Senza contare i casi quantomeno sospetti, come le mogli di illustri personaggi del Pd prontamente salite sugli scranni parlamentari, la figlia di Eugenio Scalfari che da anni lavora al Tg5 (e che magari sarà bravissima, ma insomma, casualmente fa proprio la giornalista, sempre casualmente nell’insospettabile covo del nemico).
Fermiamoci per non scadere nel moralismo, magari ricordando che queste pratiche indegne e antiche non si fermano alla pletora di potenti e straricchi, ma arrivano, come abbiamo detto, a lambire le nostre esistenze di cittadini normali, dove figli, parenti, amici e amanti di qualcuno hanno prontamente beneficiato del proprio status per ottenere un lavoro che, altrimenti (e soprattutto in questi tempi terribili), sarebbe stato esposto alla durissima legge del merito.
Non è mia intenzione accodarmi all’ennesima giaculatoria contro la casta, per denunciare populisticamente i ricchi e potenti di turno di fronte all’immacolata limpidezza del popolo sovrano. Tutt’altro, qui dobbiamo prendere atto di una pratica talmente diffusa e culturalmente data per scontata, da aver contaminato anche le falde più nascoste del nostro Paese, arrivando a costituirsi come vero e proprio substratum di un intero sistema paese.
Il guaio è che rinunciare al merito, ad approntare una vera riforma (questa sì, visto che si parla tanto di riforme!) che consenta di mettere i vari posti di lavoro a disposizione delle persone più valide e meritevoli, equivale a distruggere un intero Paese, poiché sempre di più saranno gli ingegneri, i medici, gli avvocati, i docenti etc., inadeguati rispetto a un mondo che cambia e che richiede competenze adeguate e rigorose. Rinunciare al merito significa spezzare i sogni delle giovani generazioni, capaci di impegnarsi per apprendere e migliorare soltanto se consci di poter realisticamente aspirare ad occupare posti adeguati alla propria formazione. Qui è stato, a pensarci bene, il grande fallimento della troppe volte annunciata «rivoluzione liberale» di Berlusconi, che invece di tagliare i fondi per la ricerca avrebbe dovuto mandare gli ispettori nelle varie Università, per tagliare i troppi rami secchi di chi poco studia, poco lavora e pochissimo produce. Qui è stato il vero fallimento degli eredi del Pci, incapaci di dare alla propria gente un «nuovo sogno», perché puntare sul merito vuol dire mettere al centro della propria azione un valore e una facoltà davvero democratici, ben al di sopra delle distinzioni di classe sociale, razza, genere e soprattutto censo.
Avremmo dovuto insospettirci quando, a partire dai primi anni Novanta del secolo scorso, in seguito al tracollo seguito a Tangentopoli, tutti si affannavano a proclamarsi liberali, attribuendosi la patente di «più» liberale dell’avversario di turno. In filosofia il tutto confina paurosamente col nulla (e i tutti con nessuno), e soprattutto i parvenu dell’apologia del mercato (vedi i suddetti eredi del Pci) hanno dimenticato che anche l’ideologia liberista, a cui si è lasciato colpevolmente campo aperto (coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti), si è sempre ben guardata dall’abbracciare il valore del merito. Il caso del tanto decantato Hayek è emblematico: considerato da più parti il più grande liberale del Novecento, si è ben preoccupato di precisare che la meritocrazia è impossibile e persino ingiusta, perché per realizzarla veramente ci vorrebbe un intervento dello Stato volto a togliere i privilegi proprietari, castali e famigliari e creare artificialmente un terreno il più possibile rispondente al criterio delle pari opportunità. Apriti cielo! Ma questo è comunismo!
Eppure mai come oggi non andremo da nessuna parte, non salveremo il nostro Paese dalla miseria economica, culturale e soprattutto professionale in cui lo abbiamo cacciato se non sapremo aprire le sorgenti del merito.
Ci hanno detto che non è più l’epoca del posto fisso, non più l’epoca dei diritti acquisiti e della pensione garantita. Può anche star bene, ma allora si sappia che non è più neppure l’epoca in cui il figlio dell’avvocato, del medico o del giornalista deve per forza di cosa seguire le impronte del genitore o del raccomandante di turno. Si tratta, prima ancora che di una battaglia di civiltà, di una delle ultime possibilità di rialzare un paese dallo sfascio in cui è piombato. C’è bisogno di un nuovo sogno, per la Politica con la maiuscola, per le giovani generazioni, per invogliare i tanti ragazzi e ragazze a lottare nuovamente al fine di migliorare le proprie conoscenze e la propria persona. Questo sogno si chiama merito. Per favore, non fatelo degenerare in incubo!
{ Pubblicato il: 22.06.2011 }