paolo ercolani
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Per comprendere amaramente come muore un Paese, il nostro paese, un’istantanea può bastare assai più di tante parole. E il tempo, unico vero dio della nostra fuggevole dimensione umana, fa il resto.
E’ ciò che mi è capitato sfogliando un vecchio giornale, in cui c’era la foto di Bettino Craxi che uscendo dall’Hotel Raphael venne sommerso da un lancio di monetine da parte della folla inferocita. Sono passati quasi vent’anni e la cosiddetta prima repubblica stava tramontando sull’onda di tangentopoli. E dire che Bettino Craxi, buono statista (non di più, per favore), era «accusato» di essere «semplicemente» il segretario di un partito fra i più coinvolti nello scandalo delle tangenti, colui che «non poteva non sapere» quello che stava accadendo». L’unico politico italiano, per la cronaca, che avesse avuto le palle di andare in Parlamento e pronunciare un discorso coraggioso: questo è il nostro paese, così funziona il sistema, con queste dinamiche va avanti l’Italia da ormai molti anni. Non ebbe neppure l’ardire di tirarsi fuori, chiamò dentro tutti, invitò a un estremo, drammatico, inascoltato gesto di corresponsabilità tutte le forze politiche ed economiche perché si avesse la forza di ammettere e, forse, ricostruire qualcosa di diverso. Niente più di questo, con la grande colpa del limitarsi a dire che «siamo tutti colpevoli, quindi non è colpevole nessuno», lui per primo.
In quegli anni l’Italia era un paese malandato ma mai come oggi. Si riusciva a trovare lavoro, l’economia ancora girava, i giovani potevano coltivare speranze ragionevoli. Di lì a breve ci sarebbe arrivato il conto di anni di governo sciagurati e irresponsabili, fondati su un benessere spropositato i cui costi venivano scaricati sulle generazioni future, grazie a quel fardello chiamato debito pubblico.
Niente più di questo, che pure era tantissimo e oggi lo sappiamo, ahinoi, molto bene.
Tutto ciò non impedì che uno dei tre uomini politici più potenti dell’Italia venisse investito dalla furia popolare all’uscita del suo albergo in cui risiedeva a Roma. Il popolo insorse, sulla scia delle inchieste giudiziarie e degli scandali che scoppiavano diuturnamente.
Il contrasto con l’oggi è disarmante. Pensate voi se Bettino Craxi fosse stato come il capo del nostro governo di oggi, che mentre il paese tracolla, i giovani non trovano lavoro, gli adulti lo perdono, le famiglie e le imprese sono allo stremo, lui si fosse divertito a mettere su delle orge con ragazzine di ogni età insieme al duo mignotta Emilio Fede e Lele Mora (ma chi diavolo frequenti, figlio mio?!), avesse fatto leggi pro domo sua per non pagare 750 milioni di euro a un avversario imprenditoriale sconfitto grazie alla corruzione di un giudice, leggi per non essere inquisito, per salvare le proprie imprese, circondandosi di una cricca di incompetenti leccaculo che occupano i posti vitali della cultura e dell’economia del nostro paese soltanto per fare gli interessi loro e di chi lì ce li ha messi. Con un ministro Tremonti che, ma quando la finiremo di considerarlo un genio?! (beati monoculi in terra caecorum!), approva delle finanziarie disastrose, incompetenti, irresponsabili, di cui lui per primo si deve vergognare per esempio annullando la conferenza stampa di presentazione alla stampa, col motivo del «maltempo». Maltempo? Mala tempora, semmai, i tempi nefasti di un paese che sta morendo travolto innanzitutto da una mentalità disonesta e infingarda che si è ramificata in tutti i gangli vitali della società. Una società dove non esiste più il merito, dove va avanti chi è più bravo ad allisciarsi il potente di turno, dove si pensa a sistemare figli, nipoti e amanti prima che sia troppo tardi, perché tutti si stanno accorgendo che fra un po’ salta il sistema.
Ma anche una società, mi sia consentito di dirlo, in cui si è persa persino la fantasia di una sana indignazione, che non è certo quella del tirare monetine o compiere atti violenti, ma non può essere neppure quella di un popolo che ancora in larga parte, malgrado tutte le schifezze che gli vengono propinate, acclama, riverisce e sotto sotto ammira Silvio B., un cazzaro professionale che ha tenuto in ostaggio esclusivamente per il proprio tornaconto un intero paese proprio nel ventennio più drammatico, quello in cui ci sarebbe stato bisogno di governi forti e seri. Il secondo ventennio vergognoso del nostro paese in meno di un secolo, è bene ammetterlo, di cui è colpevole tutta una classe dirigente (a destra come a sinistra, sia chiaro!), che dovrebbe avere il coraggio di fare come Bettino Craxi fece solo parzialmente: ammettere pubblicamente tutto il disastro e andare a casa in massa. Lasciando spazio a forze giovani e sperabilmente migliori.
Ma come possiamo seriamente aspettarci ciò se dopo questo ventennio non solo non si tirano più monetine (atto condannabile), non ci si indigna, non si cacciano via a pedate figurine politiche di infima levatura e vergognosa loquela, ma addirittura si ammirano certi personaggi figli del potere più bieco e della corruzione più in cerca di servi sciocchi?!
Cosa si può sperare, infine, da un’Italia in cui solo vent’anni fa, pur in mezzo a un disastro, questo articolo sarebbe parso a dir poco qualunquista mentre oggi, ahinoi, si rivela come un banale, triste, spento ma irrefutabile quadretto di un paese arrivato al canto del cigno?!
Ps Non so voi, ma io avrei qualche sospetto anche che si tratti di un cigno. Forse un anatroccolo. Non proprio brutto, ma da qui al cigno ce ne corre assai…
{ Pubblicato il: 06.07.2011 }