beatrice rangoni machiavelli
Nessun commentoCaro Professore,
ho letto il Suo articolo su “Arcipelago Milano” in cui cita anche l’episodio della vendita di Villa San Martino ad Arcore.
Negli anni ’70 nessuno, ad eccezione di Berlusconi e Previti, conosceva l’entità della rapina perpetrata ai danni di mia cognata Annamaria Casati Stampa, a cominciare da lei stessa. Minorenne e sola al mondo, aveva commesso l’ingenuità di fidarsi di Previti, che si era auto-nominato suo co-tutore, e le aveva promesso di aiutarla a pagare alcune rate della tassa di successione (800 milioni di lire all’anno) grazie alla vendita di Villa San Martino a “un certo Berlusconi”. Di fronte alle perplessità di Annamaria sull'entità della somma, le era stato assicurato che si trattava del valore della Villa completamente svuotata dalle opere d'arte e dagli arredi molto pregiati di cui era piena, e di un piccolo pezzo del giardino intorno. Berlusconi prese possesso della Villa andandoci ad abitare ancor prima di completare il pagamento pattuito, che non arrivava a 3 miliardi di lire, che non furono mai versati.
Solo in seguito si è scoperto che Previti faceva già parte della Fininvest e che Berlusconi, dando in garanzia la Villa, quello che conteneva e 30 ettari fra giardino e terreni, aveva ottenuto 7 miliardi e 300 milioni di lire in prestito dalla Banca Popolare di Milano, con i quali cominciò a costruire la “Milano 2”.
Sull’argomento sono usciti due libri della casa editrice Kaos scritti in base agli atti notarili ed altre prove fornite da mio fratello; l’autore, Giovanni Ruggeri, ha subito una causa per danni di 10 miliardi che si è conclusa dopo 10 anni, nel 1994. La sentenza della Prima Sezione del Tribunale Civile di Roma recitava: “nulla è dovuto al sig. Berlusconi Silvio poiché quanto affermato nei libri oggetto della vertenza corrisponde al vero”.
Ma già allora nessuno aveva voluto pubblicare la notizia.
L’avv. Ghedini ha minacciato di farmi causa per quanto avevo dichiarato sulla rapina di Arcore a "L’Unità” (agosto 2010) e, in precedenza, ad altri quotidiani, ma ha desistito perché non poteva smentirmi.
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Sono convinta che siano sempre più numerosi gli italiani che concordano sui cinque punti del suo articolo "Esiste una classe dirigente Bisignani-free?".
Le accludo due volantini elettorali che ho diffuso per le elezioni amministrative di maggio a Milano, nonché una bella lettera del sindaco di Arcore.
Un segnale indubbiamente positivo è stata la manifestazione delle donne del 13 febbraio “Se non ora quando?”. A questa si è aggiunto l’ingresso di nuovi elettori giovani che, come ha ricordato recentemente Ilvo Diamanti su La Repubblica di qualche giorno fa, si sono caratterizzati per un elevatissimo utilizzo del modello “reticolare”. Questo fa sperare che possa formarsi una classe dirigente “Bisignani free” ma spetta agli italiani consapevoli renderlo possibile, facendo comprendere che il tempo sta per scadere.
Cordialmente
Beatrice Rangoni Machiavelli
ESISTE IN ITALIA UNA CLASSE DIRIGENTE BISIGNANI-FREE?
28-6-2011 by Guido Martinotti
Provo una certa saturazione dei discorsi sul voto di fine maggio e metà giugno. Non dubito che si tratti di un caso che occuperà molte pagine nei manuali di sociologia politica, e non posso trattenermi dall’aggiungere la mia paginetta, ma forse oggi il tema richiede un certo grado di decantazione. Anche perché ho la sensazione che su Milano si stiano accumulando segnali inquietanti che riguardano proprio il perno centrale della vita economica milanese: l’appello della Procura perché gli imprenditori milanesi denuncino i fatti di mafia è andato in concreto inascoltato. Segno che c’è più paura qui che a Palermo, dove Ivan Lo Bello espelle i collusi dalla Confindustria. E a Milano? L’Espresso annuncia una seconda Mani Pulite; scontando le inevitabili iperboli giornalistiche, l’esperienza ci insegna che di solito a queste anticipazioni segue il boccone. Marco Vitale suona l’allarme da tempo.
E, da ultimo, sarebbe ingenuo pensare che un ribaltone politico come quello avvenuto a Milano dopo vent’anni di egemonia di destra, possa avvenire senza scossoni. Ma più in generale mi sembra abbastanza evidente che sia in corso una di quelle turbolente fasi di “circolazione delle élites” che ha il suo epicentro a Roma, ma che difficilmente lì si fermerà. Sono convinto che dobbiamo alzare lo sguardo, non per abbandonare l’ambito irrinunciabile della politica locale, ma proprio perché i due piani sono inestricabilmente legati. Per cui mi pongo seriamente il problema, che però credo non debba essere solo individuale, se questo paese ha o meno una classe dirigente sana (non dico “pura” non penso alle educande) penso una classe dirigente che, pur nel realismo di chi tratta il potere, possa presentarsi al riparo dalla corruzione più meschina e fetida quale emerge dalla saga Bisignaneide.
Se non proprio un sogno ho un desiderio fortissimo. Mi piacerebbe che una mattina aprendo i giornali trovassi la seguente dichiarazione:
a) Da che mondo è mondo i grandi affari mobilitano grandi interessi e appetiti e si svolgono, come diceva Guicciardini in parte in Piazza in parte necessariamente nel Palazzo. Non ci si può solo scandalizzare come Cappuccetto Rosso.
b) Ciò detto ci sono dei limiti: la politica è proprio quell’attività che senza troppe infingardaggini deve controllare che l’interesse pubblico sia preservato anche a fronte di grandi e talvolta non trasparenti interessi economici
c) Ma la politica non può limitarsi agli affari di una ristretta cricca di affaristi, lenoni, donne di malaffare, politici, giudici e militari corrotti
d) Questa maggioranza è entrata nel girone della putrefazione
e) Dobbiamo ricominciare da capo, là dove i costituenti italiani avevano lasciato il paese
Firmato: una cinquantina dei massimi esponenti del capitalismo italiano che probabilmente hanno anche in passato, di riffa o di raffa, avuto contatti e magari fatto affaretti o affaroni con il Bisignani o simili, ma che sono disposti a fare oggi un outing coraggioso e a distinguere le proprie responsabilità dalla putrefazione del triste mondo dei Bisignani. Secondo me o c’è un pezzo consistente della classe dirigente italiana (chiamiamoli pure capitalisti) che è in grado, è capace, ha il coraggio, la definizione non importa, di rivolgersi al paese garantendo che nei limiti della “conduzione de’ loro affari quotidiani” sono Bisignani-free, oppure il nostro paese è condannato. Non chiedo nessun autodafé o cilicio in piazza, ma una semplice lineare constatazione che così non si può più andare avanti e un impegno nei confronti dei concittadini che c’è qualcuno in grado di fare diversamente. Non la considero una provocazione, al più un’ingenuità, ma al fondo credo sia un’esigenza ragionevole perché se dobbiamo arrivare alla conclusione che una tale classe dirigente non esiste, molte delle cose che facciamo sarebbero inutili.
Negli ultimi sciagurati quindici venti anni un’imponente machine politica, mediatica e anche, e soprattutto, intellettuale ci ha presentato il primato della politica come se questo primato coincidesse con la libertà di essere non solo legibus soluti, ma anche moribus soluti. Ai politici e ai loro sicofanti tutto è permesso, anything goes. E’ la sindrome di Raskolnikov applicata all’intrigo romano e all’intrallazzo da sagrestia. Perdipiù chi ha fatto le scuole di partito a Mosca si è portato dietro l’ethos bolscevico che è simile al “gogettism” americano: “, stiamo facendo la rivoluzione per voi. Non disturbateci”. Su tutto però plana una tradizione italiota molto più antica che è il patriarcalismo. L’uomo ha bisogno di essere potente e incontrastato. Ecco che fin dall’inizio abbiamo sentito i duri proclamare “questa volta non prenderemo prigionieri”.
Qualcuno ha cercato di convincerci che il mercato in Italia avrebbe potuto essere ristabilito, pensate un po’, da Silvio Berlusconi, il classico parassita del parastato, uno che ha fatto i soldi con le frequenze e derubando una poveraccia semidemente; Umberto Bossi rappresentante del più gretto protezionismo localistico, come si è visto con le quote latte e con il Trota. Formigoni, a capo della più importante associazione fideistico-affaristica e per completare Fini rappresentante del corporativismo neo fascista. Questo quartetto viene presentato su tutte le balere e gli avanspettacoli d’Italia da tutti i superpundits di destra e sinistra come l’Italia del mercato selvaggio ma vitale e degli animal spirits del capitalismo. Vorrei sapere che è il commentatore italiano, da Ferrara e Sgarbi i giù (comprese schiere di intellettuali di sinistra) che non ha contribuito in una forma o nell’altra a questa epopea del delirio carnascialesco.
Ma mentre i machos degli animal spirits del capitalismo invecchiavano, si trasformavano in grottesche maschere da avanspettacolo la loro platea impercettibilmente si trasformava. Guardate qui cosa è successo negli ultimi 10 anni. Zitti zitti, piano piano ogni anno sono entrati nel corpo elettorale circa 600mila nuovi elettori diciottenni, possiamo approssimativamente ritenere che data la bassa mortalità di questa fascia di età ci siano rimasti. In nove anni, dal 2002 al 2011 i nuovi elettori giovani, più istruiti, con una leggera prevalenza di uomini sulle donne, totalmente informatizzati, tweeterizzati e poco “couch potato”, ma sempre connessi e mobili, sono entrati nel corpo elettorale 5 milioni tra i 18 e i 28 anni, a botte di 500/600mila coorti di 18enni ogni anno.
Dall’altra parte, poiché il corpo elettorale ha perso circa 2milioni di elettori prevalentemente anziani, sono usciti un numero equivalente o superiore (stimo in tutto circa 7 milioni: sono tutte stime molto approssimative, ma credo per difetto, in entrambi i casi ) di elettori anziani, fortemente femminilizzati, con scarsa istruzione superiore, donne prevalentemente casalinghe, pubblico da Emilio Fede e al massimo Vespa, scarsamente informatizzati, più che proporzionalmente elettori di Berlusconi e della lega. Mentre si dissolvevano lentamente i vecchietti entrano giovani cui la potenza degli organi genitali di Bossi e Berlusconi invece di generare invidia provocano riso, ma che si incazzano ogni giorno sempre più se si trovano davanti il Trota o la Minetti o le tante altre o altri minions dei capi che gli portano via il posto, con i nostri soldi. A questi giovani il governo cosa offre? Una vita di stenti, ma soprattutto il sorridente Ministro Brunetta che li manda letteralmente a cagare, li licenzia e si permette anche di insultarli, chiamandoli la parte peggiore dell’Italia (ma si è mai guardato bene allo specchio dell’esame di coscienza quel ministro che è rimasto al “non facciamo prigionieri “del ’94?). E’ chiaro che il venticello dell’1,2% di nuovi elettori annuali in dieci anni si trasforma in un colpo di cannone del 10% e più dell’elettorato, precisamente l’11,30, guarda caso cifra molto vicina al 13% di elettori che secondo Ilvo Diamanti si è attivato per il referendum. Ovviamente i due dati non coincidono, ma c’è senz’altro una forte sovrapposizione: la demografia ha seppellito i vecchiardi lascivi con una grande risata.
Guido Martinotti
Arcipelago Milano n° 25
{ Pubblicato il: 14.07.2011 }