federica sabbati (a cura di stefano pietrosanti)
Nessun commentoIniziando dalle idee, a quale definizione di liberalismo preferisci riferirti?
Penso di riconoscermi nei valori della Dichiarazione di Stoccarda , ma penso sia più interessante parlare di come si sta organizzando il liberalismo in Europa. Il raggruppamento liberaldemocratico in Europa è passato dal chiamarsi “federazione” al chiamarsi “partito”, ma dietro questa mutazione della denominazione c’è il lavoro in corso del cambiamento pratico: sicuramente negli ultimi tempi siamo riusciti a spostare la barra dell’ELDR dalla semplice gestione e razionalizzazione delle relazioni tra le forze liberali a livello europeo, a un ruolo di effettivo coordinamento politico, ma c’è ancora molto da fare.
E se adesso passasse la proposta del liberale Duff di una lista transnazionale alle elezioni europee sarebbe un ulteriore passo avanti in questo senso.
Esattamente, lì il ruolo del partito europeo diverrebbe veramente consistente. Anche se i partiti nazionali solitamente non amano avere un soggetto continentale che sia intenzionato a svolgere un ruolo, dover scegliere i candidati nelle liste, avere effettivamente i simboli europei accanto ai nomi dei candidati, rendere questi partiti un elemento determinante per indirizzare il consenso, segnerebbe il vero punto di svolta.
L’ELDR è pronto per questo passaggio?
Siamo probabilmente il partito europeo che più ha sentito l’esigenza di essere funzionale alla rappresentanza dei cittadini dell’Unione, ma questo rimane comunque un ambito in forte evoluzione. Abbiamo implementato la possibilità di partecipare per via diretta, con le tessere individuali, quindi è stato riconosciuto che il dato fondamentale è l’adesione alle aspirazioni del liberalismo, non l’appartenenza a un partito nazionale. Chi si inscrive ha diritto a essere presente ai congressi come delegato, perciò ha possibilità di partecipazione e parola, manca però del diritto di voto, che è ancora prerogativa dei delegati che partecipano essendo membri dei singoli partiti liberali. Questa sarà la frontiera su cui dovranno dialogare le due spinte: la volontà dei partiti membri di mantenere un controllo più strettamente nazionale, e quella di chi sente la necessità di divenire pienamente un partito europeo.
Adesso quali sono i paesi col più forte peso all’interno del partito?
Tradizionalmente Germania, Inghilterra, Olanda e i paesi nordici. Sono avvantaggiati dall’avere sul loro territorio partiti liberali nazionali molto organizzati e funzionanti, che esprimono una membership unitaria e partecipativa, anche in quanto vivono meno il problema delle barriere linguistiche – Stefano a che barriere linguistiche ti riferisci?. In ogni caso adesso l’Italia, con l’Italia dei Valori, ricopre un ruolo sempre più importante, (essendo il quarto partito dell’ELDR quanto a delegati al Congresso ELDR).
Passando alle questioni di attualità, come vivono i liberali il continuo susseguirsi di successi di gruppi politici populisti ed estremisti?
Sicuramente sono risultati preoccupanti, ma comunque si parla di una galassia di movimenti piuttosto eterogenei, che potrebbero trovare difficile un coordinamento su questioni fondamentali. In ogni caso il partito ha intenzione di organizzare una grande conferenza sui problemi della democrazia in Europa, che dovrà tenersi a Bruxelles nei prossimi mesi; abbiamo intenzione di raccogliere e far ragionare assieme un folto gruppo di pensatori europeisti, in modo da cominciare a lavorare sulle risposte alle domande che la situazione attuale di crisi generalizzata pone.
Invece, quali questioni sono poste a un liberale dal ruolo sempre più importante dei social network nella vita politica?
Io li vedo come un’ulteriore conferma della dimensione sociale che l’uomo non disconosce mai e che prende diverse forme con lo scorrere del tempo. Ci danno nuove possibilità di partecipare alla vita pubblica, anche a grandi distanze, di per se è un’opportunità.
E dal punto di vista della privacy? Ultimamente il fondatore di Facebook ha affermato che l’era della privacy è finita.
Questa è sicuramente una preoccupazione fondamentale dei liberali in genere e dell’ELDR in particolare. Credo che sulla protezione dei dati personali in un’era di crescente interconnessione si fondi uno degli elementi che distinguono le forze liberali di qualsiasi ispirazione da quelle che –sia a sinistra che a destra – liberali non sono. Le forze conservatrici si pongono prima di tutto il problema della sicurezza, le forze socialiste quello del bene di gruppi sociali, arrivando per vie diverse allo stesso risultato: non sentire l’importanza della data-privacy come una priorità cui fare attenzione per il bene dei cittadini. Uscendo dalla questione dei social network faccio giusto un esempio: sul problema della condivisione con gli USA dei dati dei passeggeri aerei, in Europa, la prima a porsi la questione di difendere le informazioni private di tantissimi passeggeri è stata la liberale Sophie In’t Veld, appoggiata dall’ELDR.
Abbiamo parlato di interconnessione a livello sociale, e quella creata dai rischi tecnologici difficilmente controllabili e condivisi oltre qualsiasi barriera nazionale?
Mi è sempre piaciuta molto quella citazione di William Gladstone che recita all’incirca “L’essenza del conservatorismo sta nella sfiducia nella gente, mitigata dalla paura; l’essenza del liberalismo sta nella fiducia nella gente, mitigata dalla prudenza” . Credo che prima di tutto i rischi posti dal progresso tecnologico vadano affrontati razionalmente, riuscendo a riconoscere dove opportunità ci sono ed è possibile compiere una decisione ponderata e dove no. Poniamo il caso di Fukushima: favorevoli o contrari che si sia al nucleare, la decisione della Germania di chiudere tutto come se improvvisamente i rischi fossero saliti credo sia stata dettata da una reazione emotiva e non razionale. Alcuni rischi sono difficilmente calcolabili e per questo pongono gravi problemi decisionali: una bassissima probabilità che sorgano problemi non riscatta un danno eventuale enorme. Spesso non se ne tiene conto e si pensa solo all’improbabilità che il pericolo si presenti, perciò quando ritorna in campo la coscienza del pericolo effettivo si assiste al cortocircuito dei centri decisionali che dovrebbero gestire queste situazioni. Mi pare che sia un’ulteriore dimostrazione della necessità di dare risposte a una serie di questioni per cui i modi di governo della realtà attuali sono poco efficaci.
Infine: in un suo recente saggio Giulio Ercolessi ha scritto che l’Europa avrebbe bisogno di un “patriottismo della Grundnorm”, fondato sulla comunione a livello europeo di alcune radici comuni del liberalismo, come il rispetto della rule of law. Il tuo parere?
Purtroppo credo che se si va a riaprire la questione delle radici, della fondazione ideale dell’Europa, si va a riaprire lo scontro difficilmente sanabile con l’ala conservatrice che si vorrebbe richiamare alle “radici cristiane”. Non credo sia il momento adatto per affrontare a livello europeo questa questione.
Federica Sabbati è Segretario Generale del ELDR, il Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformisti.
{ Pubblicato il: 18.07.2011 }