gim cassano
Nessun commentoLe tesi sottostanti a questo voto, se sono necessarie a consentire al sultano di sfuggire ancora una volta ad un procedimento penale, stavolta attraverso il voto d’aula, producono conseguenze devastanti sul piano del giudizio che possono farsi gli italiani circa quella disciplina ed onore che la Costituzione, oltre che il buon senso, impongono ai rappresentanti delle Istituzioni e circa la credibilità stessa di chi ricopre l’incarico di presidente del consiglio.
In primo luogo, si viene a determinare una palese contraddizione all’interno degli stessi ragionamenti che costui, i suoi manutengoli, la sua stampa, propongono nel tentativo di dimostrare (ma solo con dichiarazioni ed interviste, ed evitando di rispondere alle contestazioni della magistratura), per un verso, la liceità o la non sussistenza dei comportamenti in questione, e per l’altro, l’illiceità dell’azione della magistratura. Va infatti rilevato che, ove i comportamenti privati del presidente del consiglio debbano ricadere sotto la giurisdizione di un Tribunale speciale, quale è quello dei Ministri, e non del Giudice naturale, ciò comporterebbe l’attribuir loro rilevanza pubblica: diventerebbe quindi impossibile invocare il fatto che tali comportamenti attengano unicamente ad una sfera privata sulla quale la Procura di Milano avrebbe indebitamente avviato le indagini, con dispendio di denaro pubblico e con “fumus persecutionis”, e diventerebbe quindi impossibile il sostenere che l’opinione pubblica non abbia il diritto di scandalizzarsi al riguardo.
In secondo luogo, conseguenza immediata di tale ragionamento sarebbe quella di far passare la tesi che le funzioni istituzionali di un presidente del consiglio possano legittimare azioni quali l’arruolare, sia pur per interposta persona, e pagare, giovani “escort” alias prostitute, minorenni e non; il finanziare con propri fondi e gestire attraverso persone da esso dipendenti e di propria fiducia il mantenimento logistico ed economico del relativo harem; l’intervenire sulla Questura di Milano per “coprire” una di queste signorine affidandola alla maitresse della scuderia anziché alle strutture a ciò deputate; ed ancora, è passata la tesi che uno dei luoghi deputati a tali attività (l’ufficio dal quale venivano erogati i pagamenti alle segnorine, e che provvedeva al relativo alloggio ed utenze) dovesse intendersi come “pertinenza della Presidenza del Consiglio”.
Esattamente come la d.ssa Minetti, nell’esercizio delle funzioni di custode del gregge, veniva accreditata presso la Questura di Milano come “incaricata della Presidenza del Consiglio”.
Ma non sono queste le uniche contraddizioni nelle quali, nello sforzo di tirarsi fuori dai pasticci, si dibatte il sultano con i suoi famigli, producendo affermazioni che uniscono il ridicolo al grottesco, e che, agli occhi di una qualsiasi persona onesta, non ottengono altro risultato che quello di aumentare il discredito di cui il Paese e le sue istituzioni sono fatti oggetto, e di aumentare il disgusto nei confronti della persona del presidente del consiglio.
Si arriva infatti ad un palese insulto nei confronti dell’intelligenza degli italiani, quando si afferma che il presidente del consiglio conosceva, forse in senso biblico, la signorina Ruby come la nipote, maggiorenne, di un capo di Stato. Ma allora, se così fosse, andrebbero quanto meno rimossi i responsabili dei servizi di informazione e sicurezza, e verrebbe lecito più di un dubbio sulla sanità mentale di chi ci governa.
Sarebbe possibile infatti immaginare un presidente del consiglio che “usa” una persona che ritiene esser la nipote di Mubarak come una prostituta che gli allieti a pagamento le serate, e ci si rende o no conto che in questo caso il presidente del consiglio della Repubblica Italiana sarebbe del tutto un irresponsabile?
Perché un’affettuosa amicizia non è a pagamento, e la signorina in questione si recava notoriamente ad Arcore per far di tutto tranne che discutere dei problemi del mondo arabo. Ed un presidente del consiglio non organizza festini a base di sesso mescolando la nipote di un Capo di Stato a notorie puttanelle. Ed ancora, dovremmo credere che un presidente del consiglio convinto del fatto che la sua protetta sia in effetti la nipote di Mubarak, una volta tiratala fuori dai guai, la faccia affidare proprio a chi organizzava il giro delle “segnorine” (nonché fatta eleggere, in quanto tale, al consiglio regionale della Lombardia), che a sua volta la “scaricava” ad una notoria prostituta.
I comportamenti personali del presidente del consiglio sono sicuramente censurabili ed inaccettabili; ed a maggior ragione quando si osservi come un Paese in difficoltà, dove sono molti quelli che non arrivano alla fine del mese, si trovi davanti ad un giro di volgarità, sesso, denaro, deboscia, rozzi piaceri, che non trovano alcun riferimento se non nelle più volgari riviste, e che non trovano precedente se non nelle più depravate corti di un mitico despotismo orientale. Attorno al sultano ruota un giro di sozze figure a contendersene i favori, le regalie, i soldi, le nomine e gli incarichi. Si fa passare il messaggio che potere, sesso, denaro, siano le uniche qualità della vita, e che tutto possa esser acquistato.
Ma ancor peggio per le istituzioni sono le conseguenze che derivano dalle menzogne e dalle pretese spiegazioni di un signore sessuodipendente ed esaltato dalla propria mania di grandezza, convinto che denaro e potere possano consentire tutto e che qualsiasi mezzo sia lecito per acquisirli, che la verità sia un’opinione, e che nessuno abbia il diritto di sindacarne i comportamenti, che la legge sia solo un fastidioso impedimento a perseguire i propri interessi e piaceri, e che la politica possa esser usata a consentire quel che il denaro da solo non permette, cioè l’aggirare o cambiar le leggi. Non volendo ammettere fatti che ne verrebbero ad intaccare l’immagine pubblica, e non avendo spiegazioni plausibili al riguardo (la famosa memoria difensiva non risponde a nessuno degli interrogativi), ricorre alle menzogne, al cercare di sfuggire ad ogni costo al giudizio della magistratura, dell’opinione pubblica, del Parlamento, alla denigrazione degli avversari, politici, magistrati, giornalisti che siano, alle minacce, all’acquisto di parlamentari.
Nel far ciò, si concreta il detto che il rimedio è peggiore del male. Il presidente del consiglio è esposto al ricatto di una quindicina di prostitute, e cerca di “organizzarne” il silenzio o le dichiarazioni con attività più che sospette dal punto di vista dell’inquinamento delle prove, e che probabilmente condurrebbero un comune mortale ad un immediato arresto. Per cercare di salvarsi dai giudici di Milano, usa il voto di scambio non nei confronti del sottoproletariato di qualche città del Meridione, ma nel Parlamento, in quella Camera dei Deputati dove è debole. Non esita a “premiare” dichiarati fascisti infilandoli nel “suo” governo. E vedremo di quali nuove competenze saranno portatori i nuovi sottosegretari, accomunati tutti da un’unica cosa: dall’esser di recente passati nelle sue file, a prescindere dalla formazione e dalla storia politica di provenienza. E, non pago di tutto ciò, interviene in un vertice internazionale, tra una discussione e l’altra su questioni rilevanti per i leaders dei Paesi europei, per fornire la sua “verità” su vicende giudiziarie che lo riguardano personalmente; possiamo solo immaginare suscitando quale interesse. Siamo al più totale discredito.
Ed è su questi piani che si rivela a pieno la rilevanza pubblica, da un punto di vista politico ed istituzionale, dei comportamenti del presidente del consiglio. I suoi comportamenti privati indignano e disgustano, ne mostrano a pieno la deprimente inadeguatezza, e ne motivano l’irridente ironia con la quale egli è considerato dall’opinione pubblica, dalla stampa, dalla politica di quei Paesi, più seri e maturi del nostro, coi quali abbiamo relazioni. Certo, non della Russia, della Libia, della Bielorussia. Ma sono i tentativi di negarli, nasconderli, giustificarli, di assicurarsene l’impunità, a mostrare a pieno, oltre che l’inadeguatezza, la pericolosità del personaggio. Nel mentire spudoratamente, nella reiterata richiesta di leggi studiate ad hoc, nel considerare se stesso come investito di ogni impunità in virtù del voto popolare, negli attacchi a testa bassa a magistratura e stampa, nel considerare la propria corte come separata dal Paese e dalla sua legge, si manifesta la figura di un capopopolo che non esita a sovvertire i rapporti tra le istituzioni ed i poteri del Paese, a violare buona parte dei principii costituzionali, a paralizzare e corrompere la politica, per difender se stesso, i propri interessi, ed anche i propri miserevoli piaceri.
E non saranno certo i tentativi politici di questi ultimi giorni, maldestri, frettolosi e superficialmente abborracciati, a consentirgli di risalire la china: l’aver forzato il decreto sul federalismo municipale prescindendo dal parere di una delle Camere si è rilevato un boomerang, e la Lega ha capito che, se vuole cercare di portare avanti l’attuazione del federalismo, deve autonomamente dare chiarimenti e rassicurazioni al Quirinale, prescindendo dal presidente del consiglio.
L’offensiva di una pace sui temi economici nei confronti del PD è stata respinta al mittente, in quanto tardiva e superficiale.
Resta l’ultima trovata: quella di un’offensiva liberista rivolta al mondo della produzione, caratterizzata da ben poco di realistico e concreto, ma da un fatto di alto valore simbolico: la modifica dell’ Art. 41 della Costituzione, cosa che piace agli ultra-liberisti di casa nostra. Ma, anche su questo, il premier farebbe bene ad essere onesto: la libertà è cosa diversa dall’arbitrio; e la modifica dell’Art. 41 non avrebbe altro significato che quello di legittimare l’arbitrio illiberale di chi, nella sfera economica e sociale, ritenga che ogni azione sia legittima. Ove si voglia liberalizzare l’economia italiana, si intervenga sugli ostacoli veri che si frappongono ad un mercato aperto e concorrenziale: si parli di assicurazioni, banche, energia, trasporti, comunicazioni, ordini professionali, e via dicendo. Ma non mi pare che, neanche da questo punto di vista, il presidente del consiglio abbia le carte in regola per presentarsi credibilmente agli italiani. Quali possono esser le politiche liberalizzatrici di chi ha sempre confuso la libertà di tutti con l’arbitrio dei pochi e l’assenza o l’elusione delle regole attuata da chi, come lui, è più forte, più disonesto, più furbo, più ricco, più capace di corrompere?
Tutto ciò detto, risulta evidente come i comportamenti di questo signore siano di impedimento a qualsiasi prospettiva di riportare a normalità le condizioni della vita politica di questo Paese ed a farlo uscire dalla crisi politica, economica, e sociale in cui si dibatte. Ma non ha senso il dire “Berlusconi vattene”: qui non si tratta di chiedergli di andarsene, ma che venga mandato via senza alcun rimpianto.
Spazioliblab
{ Pubblicato il: 09.02.2011 }
















«Passans, cette terre est libre» - Abbiamo scelto come logo la fotografia d'un autentico "Albero della Libertà" ancora vivente. È un olmo che fu piantato nel 1799 dai rivoluzionari della Repubblica Partenopea, Luigi Rossi e Gregorio Mattei, a Montepaone Superiore, paese dello Jonio catanzarese. La scritta 'passans ecc.' era qualche volta posta sotto gli "Alberi della Libertà" in Francia.
