gim cassano
Nessun commentoMa, altrettanto laicamente, occorre andare a vedere cosa c’è dietro quel che viene rappresentato agli italiani, cosa nel concreto viene proposto, e chiedersi quale ne sia la possibile efficacia. E qui si scopre come vi sia ben poco di utile, e parecchio di dannoso.
In sostanza, si parla di provvedimenti di liberalizzazione (molto timidi, e riferiti essenzialmente alle reti di distribuzione dei carburanti per autotrazione), di rimodulazione dell’IRAP e di riordino del sistema degli incentivi alle imprese.
Infine, come a voler dare una dignità di principio e di riforma strutturale ad un provvedimento modestissimo nell’entità e privo di sostanziali caratteri innovativi, si sventola la bandiera della modifica di tre articoli della Costituzione, ed in particolare dell’Art. 41, visto come troppo intriso di cultura illiberale e socialista, e che qui, a scanso di equivoci, riporto per esteso.
“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Iniziamo da qui. Mi sembra impossibile il vedere nell’attuale formulazione dell’Art. 41 della Carta Costituzionale un’ispirazione illiberale. A meno di intender le libertà dei più come coincidenti con l’arbitrio dei pochi.
Infatti, pur se, in ossequio alle tesi del liberismo radicale, si volesse ammettere che in virtù della capacità di autoregolamentazione del mercato la libertà di iniziativa economica porti di per sé alla massima utilità sociale, non si riesce allora a vedere in cosa quest’ultima confligga col principio che l’iniziativa economica sia libera.
In realtà, la prima a non esser convinta che una iniziativa economica privata ed un mercato assolutamente liberi non vengano a confliggere con l’utilità sociale e con la libertà e la dignità umana (di tutti), vedendovi giustamente un conflitto, è proprio quella destra che, identificando le concezioni ed i metodi liberali nel liberismo e non distinguendo la libertà dall’arbitrio, ed individuando in quest’ultimo i propri interessi e la propria concezione sociale, tende a cancellare il vincolo dell’utilità sociale dell’impresa privata.
Modificare l’Art. 41, cancellando il criterio che la legge ordinaria possa indirizzare a fini sociali l’attività economica, significa dichiarare l’intenzione che lo Stato abdichi alla capacità di controllo, ed indirizzo dell’economia e della finanza. Che, al contrario, hanno bisogno di regole chiare e certe. Un mercato aperto presuppone la sussistenza di sistemi di regole e la capacità di farle rispettare; e queste regole non possono che tendere ad indirizzarne il funzionamento in vista della massima utilità sociale, che non coincide necessariamente con l’interesse dei più forti o dei più furbi, o con quello di chi vince in una sorta di competizione hobbesiana.
Ciò contrasta con quelle concezioni che, dallo Sherman Act in avanti, hanno inteso definire sistemi di regole e di controlli tesi a considerare l’utilità sociale non come fine dell’attività economica, ma come limite della libertà di iniziativa, e a far sì che questa non possa danneggiare la libertà, la dignità, la sicurezza di tutti. Il che risulta oggi di estrema attualità, soprattutto ove si consideri la sfera delle attività finanziarie. E queste non mi paiono concezioni illiberali, nel momento in cui tendono a preservare l’apertura del mercato e la libertà, dignità, sicurezza dei più.
Né è sostenibile affermare che in Italia le iniziative economiche siano frenate dal concetto che l’iniziativa economica non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale: ed in quale società sarebbe ammissibile che l’iniziativa individuale possa prescindere dall’utilità sociale, o che possa recar danno alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana? Casomai, sono frenate da ben altro che dalla forma dell’Art. 41 della Costituzione: da una Pubblica Amministrazione inefficiente, dai profitti degli oligopoli, dalle rendite di posizione, dal corporativismo di categoria o di territorio, dalla carenza di infrastrutture, dalla carenza di conoscenza, cultura, ricerca, dalla corruzione e dalle mafie.
Mi sembra quindi che la volontà di modificare questo articolo della Costituzione, lungi dal soddisfare la necessità di dare impulso allo sviluppo, non risponda ad alcuna finalità o necessità di carattere economico, ma semplicemente a finalità ideologiche ed alla necessità di riaccreditare l’immagine del prestigiatore come cultore della libertà economiche, delle quali mi sembra peraltro che, né lui, né la maggioranza che lo sostiene, abbiano mai tenuto grande conto. Si tratta di una volontà dettata unicamente da considerazioni di carattere propagandistico, alla ricerca gratuita di consenso da parte di un mondo, quello della produzione, che ha casomai bisogno di ben altro che di affermazioni ideologiche.
E l’indirizzo di tali affermazioni, in una società ed in un’economia che già soffrono di troppo poca libertà e di troppo arbitrio, mi pare estremamente pericoloso, nel momento in cui tende ad affermare, ancora una volta, la cultura dell’arbitrio rispetto a quella della libertà.
Ove si voglia aumentare il tasso di libertà del nostro sistema economico, sarebbe opportuno intervenire sulle forme di corporativismo professionale, sui minimi tariffari, sui numeri chiusi, sugli oligopoli di banche, assicurazioni, utilities, energia, trasporti, sui diritti dei consumatori, sulle facilitazioni per i giovani ad intraprendere, sul facilitare la diffusione delle conoscenze, sull’eliminare le intermediazioni parassitarie, sul tutelare, e non solo in termini di condizioni di pagamento, le imprese piccole e medie nei confronti di quelle maggiori e nei confronti delle amministrazioni pubbliche.
Circa i contenuti del pacchetto di misure indirizzate a dar stimolo all’economia, non c’è molto da dire: si tratta di provvedimenti di riordino delle agevolazioni alle imprese, senza che dietro di essi vi sia un centesimo di risorse, e di presunte e generiche liberalizzazioni, timidamente in linea con quelle a suo tempo proposte da Bersani ministro del governo Prodi.
Laicamente, dovremmo salutare con favore i ravvedimenti. Peccato che non più tardi di tre giorni fa, l’on. Paniz, quello che l’altro giorno alla Camera ha svolto la difesa del capo dalle accuse provenienti dalla Procura di Milano, ad una obiezione che gli veniva fatta circa le posizioni della maggioranza in merito alla liberalizzazione delle professioni (l’obiezione riguardava specificatamente il fatto che la maggioranza abbia reintrodotto i minimi inderogabili alle tariffe professionali degli avvocati), abbia risposto che tale scelta era stata fatta ascoltando le organizzazioni di categoria, e che le riforme si fanno in accordo con queste.
Credo che neanche lo stato corporativo di buona memoria sia mai arrivato a tanto.
Il tutto è come dire che per fare una legge sui pollai, occorra ascoltare il sindacato delle volpi, in quanto esperte in materia. Le quali, sicuramente, proporranno di affidare loro la custodia dei pollai e di abbatterne i recinti in quanto di impedimento alla loro libertà di mangiare i polli.
Forse farebbe bene a questi signori leggere qualche pagina di Ernesto Rossi: consiglio quelle sulla “corporazione degli speziali” o quelle sui signori dell’energia elettrica.
In conclusione, mi pare sensato quanto ha affermato ed imposto il cinico Tremonti: che il tutto sia almeno a costo zero, il che dimostra quanto lui stesso creda nell’efficacia di questi provvedimenti. Cioè, se il coniglio dal cilindro serve a poco od a nulla, almeno che non costi: almeno per una volta, come fare a dargli torto?
{ Pubblicato il: 13.02.2011 }