milena mosci
Nessun commentoE’ ben vero che chi finge di non capire chiuderà le orecchie a qualsiasi spiegazione e perciò potremmo evitare di rivolgerci a loro: tanto per capirci, rispondere ai giornali e ai giornalisti pagati da chi ha una chiara immagine delle donne, è tempo sprecato, non solo perchè di fronte alla volontà del padrone non c’è logica che tenga, ma perchè è necessario tirare in ballo parole e concetti assolutamente privi di senso, in primo luogo la parola dignità. D’altra parte chi è pronto a compiere le più spericolate giravolte e acrobazie per sostenere prima una posizione e poi il suo contrario fino a superare il limite del ridicolo e a coprirsene, il significato della parola dignità l’ha dimenticato da un pezzo e avrebbe bisogno del dizionario perfino per compitarne l’ortografia. Perciò di loro non ci curiamo punto.
Preme, però, spiegare a chi ha ancora orecchie per sentire perchè così tante donne e non pochi uomini siano scesi in piazza per dire che non vogliono più essere umiliate e offese.
Sgombriamo il campo dalla mistificazione dei servi del premier: qui il moralismo non c’entra nulla, anche perchè abita altri luoghi, a cominciare dai palazzi del potere, dove l’ipocrisia sulla morale pubblica e privata si respira da lungo tempo.
Qui è opportuno usare altre parole, quali dignità, etica pubblica, civiltà, libertà, parole che per certuni hanno lo stesso effetto dell’aglio per i vampiri.
Le donne combattono contro un messaggio che da tempo circola e intossica la nostra convivenza civile, ovvero che una donna per giungere a posizioni di vertice nella politica e nel mondo del lavoro, deve comunque avere il lasciapassare di un uomo, unico viatico a scapito dell’intelligenza, della preparazione, della capacità professionale. Si può essere figlie di papà – ce ne sono giusto un paio in circolazione – o essere passate per il letto giusto, tertium non datur. E la conseguenza inevitabile, il circolo vizioso di questo messaggio è che una donna che ce la fa, non è né capace né meritevole, ha solo sfruttato una scorciatoia, altrimenti non sarebbe mai arrivata lì.
Ci si meraviglia se le donne siano stufe di essere considerate così? Di vedere che il talento, la preparazione, la passione e il sacrificio vengano spazzati via da un cognome giusto o da un letto sfatto e che questo sia il metro di giudizio e la considerazione, che sia fondata o no?
Ci sarebbe da chiedersi perchè nei confronti dei signori uomini non si applichi lo stesso meccanismo: sappiamo tutti molto bene che ci sono politici e dirigenti che occupano il posto che hanno solo perchè sono dei bravi leccapiedi, ci sanno fare con l’adulazione, tifano la stessa squadra del capo e magari gli procurano le ragazze, ma non sono oggetto non diciamo di biasimo, ma neppure di mancanza di considerazione. Di fronte a certi personaggi, non si dice che per stare dove sono hanno fatto i lecchini, al contrario gli si riconosce quell’autorevolezza che alle donne è negata, perchè o sono figlie di papà o sono passate per le lenzuola giuste.
E’ difficile riuscire a sfondare i tetti di cristallo quando si è oggetto di risatine e barzellette, ma è altrettanto difficile ottenere quei diritti minimi e concreti che sarebbe lecito attendersi in un paese che si ostina a definirsi civile e che, tuttavia, rende una corsa ad ostacoli la cura della famiglia, la maternità e la sua ricerca, l’ingresso nel mondo del lavoro, la sussistenza quotidiana.
La colpa delle donne è quella di essere troppo efficienti, troppo brave a tenere tutto in equilibrio, soffocando le loro esigenze e aspirazioni, con un’abnegazione che si ritiene dovuta e della quale non si ha rispetto alcuno. Perciò guai a esigere rispetto e ancor più tempo, magari per crescere i propri figli o per farli crescere dall’altro genitore, assai sensibile ai diritti, ma sordo ai doveri, come se la crescita di bambini sereni non sia necessaria perchè diventino degli adulti equilibrati, capaci di convivere con gli altri a vantaggio dell’armonia dell’intera società.
Guai a pretendere che sul lavoro la maternità non sia vista come un insormontabile ostacolo alle progressioni di carriera: se è inevitabile che l’assenza permetta ai colleghi di mettersi in luce e guadagnare posizioni, non è scritto da nessuna parte che al rientro non si possa proseguire la corsa verso i vertici, arrivandoci più tardi, forse, ma comunque arrivandoci. Troppo spesso non è così.
Superficiali commentatori sostengono che ci si scandalizzi perchè alcune giovani donne hanno fatto delle libere scelte, ma ancora una volta non colgono – o fingono di non cogliere – il punto.
E’ fin troppo facile creare un contesto in cui non vi sono scelte reali e definire quelle scelte obbligate una espressione di libertà. Se si insiste nel proporre un modello di donna oggetto del desiderio – come è innegabile che sia negli spettacoli che vengono propinati in tv, nella pubblicità, nella moda che rende le donne ridicole proponendo modelli irraggiungibili e macchiettistici – che non ha bisogno di studio, di impegno o di capacità perchè è seduta sulla sua fortuna, e se si mette in circolo il veleno per cui l’unico modo di raggiungere una posizione è usare quella fortuna, la libertà di scelta è solo una parola. La vera libertà di scelta, quella sulle nostre vite, sulla nostra sessualità, sulla nostra salute, sui nostri più intimi convincimenti, quella viene rosicchiata con sempre maggiore protervia ogni giorno.
In più c’è un trascurabile particolare, ovvero che i vizi privati dei potenti non vengono pagati con denari propri, ma con quelli dei contribuenti, cioè con una parte dei nostri sudatissimi e spesso esigui guadagni. Le ragazze sistemate nella tv pubblica e nelle assemblee parlamentari, regionali, comunali, sono pagate da tutti noi. Non solo, sono arrivate togliendo opportunità ad altre che avrebbero avuto reali meriti e capacità. Peggio ancora, quando il prezzo è costituito da un posto nelle istituzioni, a tutto questo si aggiunge il disprezzo delle istituzioni stesse, ovvero di noi cittadini.
Certo, ci sono donne scaltre che cercano scorciatoie comode come fanno uomini lecchini: nessuna delle due categorie merita un gesto o una parola di solidarietà.
Molte parole merita invece l’inveterata abitudine di giudicare le donne in politica dal loro aspetto, cosicché gli apprezzamenti (si fa per dire) personali abbondano. Una abitudine da condannare, magari ritorcendola su chi ne fa uso: tutto si può dire tranne che il nostro ceto politico offra una elevata o solo mediocre percentuale di bellezza virile.
La manifestazione del 13 febbraio non può restare un resoconto più o meno veritiero sui giornali, ad essa bisogna far seguire azioni concrete a cominciare dalla nostra vita quotidiana: basta piegare la testa, basta “abbozzare”, essere comprensive e subito pronte a quei passi indietro che troppo spesso si sono fatti per amore e per cura. E’ ora di distinguere chi rispetta le donne e chi le considera pezzi di carne di cui disporre, prive di anima e di dignità. E’ ora di esigere quel rispetto che è stato rivendicato in piazza ogni giorno, con fermezza e senza arretrare di un passo ed è ora di cominciare a denunciare la misoginia che anche nei luoghi più insospettabili, laddove ci sentiamo più sicure, nelle nostre associazioni, nei nostri Studi, nelle nostre scuole, può allignare e nascondersi.
E’, soprattutto, ora che le donne imparino a fidarsi di sé stesse e delle altre donne e a recuperare quella solidarietà di genere –come tante altre solidarietà – è stata disgregata dall’imposizione di un modello di individualismo che ha poco a che fare con l’autodeterminazione e molto con la solitudine, quella solitudine che indebolisce e rende più permeabili alle pretese “libertà di scelta”.
{ Pubblicato il: 14.02.2011 }