stefano amoroso
Nessun commento1. L’eliminazione o la riduzione degli enti amministrativi locali. Inizialmente dovevano essere eliminate 38 Province sotto i 300 mila abitanti, poi ridotte a 36 (infatti Molise e Valle d’Aosta non possono non avere nessun ente amministrativo regionale, in quanto Regioni istituite, come tutte le altre, attraverso un articolo della Costituzione), ed infine a 29. Tuttavia alla fine non si chiuderà nessuna Provincia, perché nessuno saprebbe cosa fare dei 7000 enti partecipati anche dalle Province, che spesso costano quanto, se non più, degli stessi enti da cui dipendono. Il tutto finirà in un ddl Costituzionale che richiede tempi lunghi di approvazione, e larghe maggioranze. Con l’opposizione di Lega e buona parte di Pd e Pdl, ad oggi questa maggioranza in Parlamento non esiste, e chissà in futuro.
2. Stesso discorso, molto probabilmente, per i piccoli Comuni, che a conti fatti costano poco (11 milioni di euro al massimo) e costituiscono un elemento difficilmente sostituibile di democrazia e partecipazione, soprattutto sulle isole minori e nelle località più isolate di montagna, tanto sulle Alpi quanto sugli Appennini.
3. Non si anticiperà l’entrata in vigore della riforma pensionistica che impone un’età minima più avanzata per andare in pensione. Il che significa, indirettamente, andare a toccare le pensioni di anzianità. L’opposizione della Lega e della Cgil, come è noto ai più, è inamovibile su questo punto, e anche la gran parte di Pd e Pdl non intende immolarsi sull’altare delle pensioni, in un Paese come l’Italia, dove sono sempre più un elemento importante di welfare familiare, e le pensioni dei nonni fanno da puntello a stipendi magri e precari di figli e nipoti.
4. Non ci sarà un aumento generalizzato delle tasse sul lavoro, che sarebbe un suicidio elettorale per qualunque partito le proponesse, oltre che una mazzata incredibile per qualunque ipotesi di crescita futura.
5. I tagli ai costi della politica, purtroppo, esclusi casi virtuosi e degni di lode (vedi i risparmi realizzati dal Quirinale sotto la guida illuminata di Napolitano), si riducono progressivamente ogni giorno che passa.
Chiarito, dunque, quello che non verrà fatto, a meno di improbabili colpi di scena, cosa ci dobbiamo aspettare? Probabilmente un aumento di tassazione sulle rendite finanziarie, che è ad un livello scandalosamente basso (12,5% ad eccezione dei dividendi sulle partecipate, che arrivano al 27%) per un Paese indebitato come il nostro. Altrettanto probabile un’ulteriore riduzione delle detrazioni fiscali per gli immobili ed i beni materiali di proprietà, che si andrebbero ad aggiungere a quelle già decise a luglio. Possibile, infine, un ulteriore aumento delle accise (come quelle sui carburanti) ed un’altra sforbiciata alla spesa sociale ed assistenziale, che ormai risulta praticamente azzerata per alcune voci di spesa.
Per il resto, tutto resta aperto: mancano all’appello circa 15- 20 miliardi, e non si sa da dove potrebbero saltare fuori. Aumenterà l’Iva su alcuni beni non di prima necessità? Ci saranno ulteriori tagli sui consumi di alcuni beni considerati di lusso (un po’ bizzarro, per un Paese che è leader mondiale nella produzione di tali beni)? Si accelererà sulle privatizzazioni? Si deciderà di combattere con ancora più decisione l’evasione fiscale? A tal proposito, bisogna ricordare che proprio ieri il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Befera, intervenendo al Meeting di CL a Rimini, ha ricordato come l’anno passato e quello in corso si prospettano come due anni di incassi record sul fronte del recupero dell’evasione, con una cifra che viaggia ormai verso i 20 miliardi netti di euro. Certo, si tratta ancora di una percentuale piuttosto bassa dell’evasione stimata in Italia, che ogni anno supera i 100 miliardi di euro. Tuttavia è utile ricordare agli scettici che, appena dieci anni fa, l’Agenzia delle Entrate non riusciva ad incassare neanche 4 miliardi di euro (3,7 miliardi per la precisione), e solo a costo di grandi fatiche ed estenuanti trattative con la controparte.
Aver più che quintuplicato gli incassi in dieci anni, a fronte di un’economia sostanzialmente stagnante, rappresenta un bel risultato, soprattutto per i lunghi tempi della Pubblica Amministrazione in Italia.
Certo, se si riuscissero a far tornare in Italia (e tassare) i circa 200 miliardi di euro che, si stima, sarebbero posseduti dagli italiani all’estero, il gioco sarebbe fatto. Tuttavia non appare convincente l’idea, cara soprattutto ai vertici del Pd, di cominciare tassando i capitali che erano rientrati negli scorsi due anni a seguito dello scudo fiscale di Tremonti, usufruendo di un forte sconto e della confortante promessa di non essere ulteriormente perseguiti per quelle somme “scudate”. E non appare convincente non solo perché ben pochi di quei capitali, pur scudati, sono effettivamente rientrati nel nostro Paese (molti, in realtà, non si sono mai mossi da dove si trovavano), ma anche per una questione di lungimiranza. Infatti, chi accetterebbe di aderire a futuri “scudi fiscali” sapendo che poi lo Stato gli chiederà tasse ed interessi onerosi, e lo schederà come se fosse un criminale? Meglio sarebbe perseguire i veri criminali (che sicuramente nascondono grandi capitali all’estero, soprattutto nei paradisi fiscali), ed allettare gli altri ad investire nel nostro Paese, offrendogli quello che da troppi anni ormai manca: una seria e concreta prospettiva di crescita e sviluppo. In fondo, come mi ricordava la nonna, le mosche sono attratte non dall’aceto ma dal miele. Anche da qualcos’altro, aggiungo io, che però nausea e fa fuggire tutti gli altri. In definitiva, molto meglio il miele.
{ Pubblicato il: 27.08.2011 }