Fondazione Critica Liberale   'Passans, cette terre est libre' - Abbiamo scelto come logo la fotografia d'un autentico 'Albero della Libertà ancora vivente. È un olmo che fu piantato nel 1799 dai rivoluzionari della Repubblica Partenopea, Luigi Rossi e Gregorio Mattei, a Montepaone Superiore, paese dello Jonio catanzarese. La scritta &lequo;passans ecc.» era qualche volta posta sotto gli 'Alberi della Libertà' in Francia.
 
Direttore: Enzo Marzo

Dal 1969 la voce del pensiero laico e liberale italiano e della tradizione politica che difende e afferma le libertà, l'equità, i diritti, il conflitto.

"Critica liberale" segue il filo rosso che tiene assieme protagonisti come Giovanni Amendola e Benedetto Croce, Gobetti e i fratelli Rosselli, Salvemini ed Ernesto Rossi, Einaudi e il "Mondo" di Pannunzio, gli "azionisti" e Bobbio.

volume XXIV, n.232 estate 2017

territorio senza governo - l'agenda urbana che non c'è

INDICE

taccuino
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67. paolo bagnoli, la nostra preoccupazione
68. coordinamento democrazia costituzionale, appello alla mobilitazione per una legge elettorale conforme alla Costituzione
106. comitati unitari per il NO al “rosatellum”, l’imbroglio degli imbrogli
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territorio senza governo
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69. giovanni vetritto, l’italia del “non governo” locale
73. pierfranco pellizzetti, alla ricerca del civismo perduto
79. antonio calafati, le periferie delle metropoli italiane
84. paolo pileri, molta retorica, pochi fatti
86. giovanni vetritto, post-marxisti inutili
88. valerio pocar, primo comandamento: cementificare
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astrolabio
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89. riccardo mastrorillo, finanziare sì, ma come?
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GLI STATI UNITI D'EUROPA
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93. sarah lenderes-valenti, la risorsa più grande
94. luigi somma, le democrazie invisibili
97. claudio maretto, la discontinuità paga
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castigat ridendo mores
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100. elio rindone, basta con l’onestà!
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l'osservatore laico
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103. carla corsetti, il principio di laicità
107. gaetano salvemini, abolire il concordato
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terrorismo e religione
109. pierfranco pellizzetti, jihad combattuta alla john wayne
114. alessandro cavalli,quattro cerchi
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lo spaccio delle idee
117. gianmarco pondrano altavilla, cari liberisti, chi conosce un buon medium?
118. luca tedesco, savoia o borbone? lo storico è un apolide
119. gaetano pecora, ernesto rossi, “pazzo malinconico”
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78.92.102. spilli de la lepre marzolina
116. la lepre marzolina, di maio ’o statista
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Critica liberale può essere acquistata anche on line attraverso il sito delle Edizioni Dedalo con transazione crittografata e protetta.
.A ROMA IL FASCICOLO PUO' ESSERE ACQUISTATO ANCHE PRESSO L'EDICOLA DEI GIORNALI IN PIAZZA DEL PARLAMENTO.
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comitato di presidenza onoraria
Mauro Barberis, Piero Bellini, Daniele Garrone, Sergio Lariccia, Pietro Rescigno, Gennaro Sasso, Carlo Augusto Viano, Gustavo Zagrebelsky.

* Hanno fatto parte del Comitato di Presidenza Onoraria: Norberto Bobbio (Presidente), Vittorio Foa, Alessandro Galante Garrone, Giancarlo Lunati, Italo Mereu, Federico Orlando, Claudio Pavone, Alessandro Pizzorusso, Stefano Rodotà, Paolo Sylos Labini. Ne ha fatto parte anche Alessandro Roncaglia, dal 9/2014 al 12/2016.
 
05.02.2018

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Lo spazio dei lettori.
Eventi, segnalazioni, convegni...

agosto in piazza tahrir (news dal n. 146 al n.161)

elisa ferrero

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la fine del sit-in di piazza Tahrir (news n. 146)

per la terza volta, ieri, il sit-in di piazza Tahrir (o quel che ne restava) è stato sgomberato con la forza, proprio durante il primo giorno di Ramadan, che avrebbe dovuto essere un giorno di festa. Verso le due e mezza del pomeriggio, polizia militare, forze di sicurezza centrale e molti poliziotti in borghese hanno fatto irruzione nella piazza, facendo piazza pulita di tende, stand, lanterne del Ramadan e manifestanti. E' stata usata la consueta violenza, già vista in altre occasioni. Manifestanti inseguiti e malmenati, caccia a chiunque avesse una macchina fotografica, insulti pesanti a uomini e donne, arresti indiscriminati. Per alcune ore il centro città è piombato nel caos. Picchiate selvaggiamente anche le donne, come hanno testimoniato loro stesse quasi in diretta su Twitter. I carri armati hanno portato via decine di dimostranti, i quali ora saranno certamente condotti davanti ai tribunali militari. L'esercito ha già dichiarato di aver arrestato centinaia di baltagheya (ricordo che l'esercito continua a sostenere di tenere in carcere solo teppisti). La battaglia è durata per ore, con gruppi di irriducibili manifestanti che si ostinavano a resistere. Tra loro molti familiari di martiri, i quali temevano, oltre a non ottenere alcuna giustizia, che tornando a casa sarebbero stati esposti alle minacce dei poliziotti assassini dei loro parenti.

Al di là dell'intollerabile violenza da parte dell'esercito e della polizia, del tutto condannabile, occorre tuttavia far notare alcune cose. L'intervento dell'esercito è stato invocato a gran voce dai commercianti e dai residenti della zona, esausti per le continue proteste che influenzavano negativamente i loro affari e le loro vite. A nulla è valso il tentativo dei manifestanti di ripristinare il traffico per calmare gli animi, una parte considerevole della popolazione era ormai contro il sit-in, anche grazie alla forte campagna di diffamazione lanciata dal Consiglio Militare nei confronti di alcuni gruppi rivoluzionari, come il Movimento 6 Aprile.

Di questa insofferenza crescente della popolazione si sono resi conto in molti, eccetto una minoranza resistente. Quasi tutti i gruppi politici che hanno partecipato al sit-in nelle ultime settimane, dato anche l'imminente periodo di digiuno, si sono ritirati per ripensare la propria strategia. Essendo diminuito drasticamente il numero dei manifestanti, lo sgombero della piazza era più che atteso. La storia insegna. Per tutti questi motivi, molti degli stessi giovani della rivoluzione, alias i giovani di Facebook, hanno preferito, infine, ritirarsi dal sit-in. Ieri, molti di loro cercavano disperatamente di convincere gli ultimi rimasti a tornare a casa, perché era evidente che la battaglia era persa, la rivoluzione non è più una rivoluzione se la popolazione non ti segue. Continuare a lottare avrebbe solamente portato a più arresti, quindi a un ulteriore indebolimento della rivolta. Pare chiaro che, al momento, si debbano cercare strade alternative. "Una battaglia persa non significa perdere la guerra", ha commentato un ragazzo e "intestardirsi è da stupidi". Un'altra ragazza, invece, ha riferito amaramente che "al di fuori di Twitter non ha trovato nessuno favorevole a continuare il sit-in". E le elezioni incalzano, per qualcuno ci sarebbe da concentrarsi su questo.

Tuttavia, è sicuro che alcuni gruppi continueranno le proteste di piazza. La consistente Unione dei Giovani della Rivoluzione ci sta già pensando, ma senza i numeri non si andrà lontano. Intanto, però, domani inizia il processo di Mubarak, che potrebbe alterare nuovamente gli equilibri. Il processo sarà trasmesso solo dalla tv di stato. Inoltre, è giunta notizia, oggi, che non saranno ammessi in aula né i familiari delle vittime, né i giornalisti, né gli avvocati. Non è un bel segno. C'è chi dice sarcasticamente che per togliere dall'imbarazzo il Consiglio Militare - che in realtà non vuole affatto processare l'ex rais - Mubarak morirà nel mese di Ramadan. Si aprono le scommesse.
inizia il processo di Mubarak (news n. 147)

è iniziato il tanto atteso processo di Mubarak. Giudicati assieme a lui, i due figli Alaa e Gamal e l'ex ministro degli interni Habib el Adly, ma ci sono anche l'ex capo dell'Amn al-Dawla (Sicurezza di Stato) e quello della Sicurezza Centrale. L'accusa principale è l'uccisione di centinaia di manifestanti durante i giorni della rivoluzione.

Contrariarmente alle aspettative negative, Mubarak padre si è davvero presentato in tribunale. E' giunto in elicottero da Sharm el Sheykh, quindi è stato trasferito in aula con un'ambulanza. Là, ha seguito il processo da una barella, chiuso nella gabbia degli imputati assieme agli altri (vedi foto). Il suo arrivo all'Accademia di Polizia di Nasr City (ex Accademia Mubarak, per ironia della sorte) è stato preceduto ed accompagnato da nuovi scontri tra pro-Mubarak e anti-Mubarak, che si sono affrontati a colpi di sassaiole. Anche questa volta ci sono state decine di feriti.

L'emozione è stata grande in Egitto, nel vedere l'ex dittatore in gabbia, e il paese si è fermato di fronte agli schermi televisivi. Per un attimo, si sono accantonate le paure che la rivoluzione venga dirottata, assaporando pienamente il momento storico, per l'intero mondo arabo. "Anche se è probabile che sia una farsa" - ha detto qualcuno - "la vista di Mubarak dietro le sbarre è impagabile ed è un messaggio forte a tutti i dittatori arabi ancora in piedi".  

Tutti gli sguardi si sono subito concentrati su Mubarak sdraiato in barella. Immediatamente è stato notato che ancora si tinge i capelli, nonostante tutti gli infarti, collassi e coma che gli sono stati attribuiti. Effettivamente, sono in tanti a credere che Mubarak finga di essere malato su consiglio del suo avvocato. Qualcuno, invece, si è divertito a leggere il linguaggio corporale dei figli, che ostentavano sicurezza. La caduta di tono si è avuta quando l'ex dittatore è stato ripetutamente colto sul fatto, in mondovisione, con le dita nel naso. Vi lascio immaginare i commenti e le vignette che sono seguite.

Dopo qualche preambolo, comunque, il processo è cominciato, presieduto dal giudice Ahmed Rafaat. Ai più, le procedure iniziali di registrazione dei presenti, avvocati e imputati, sono sembrate lente e caotiche. L'inefficienza della giustizia egiziana è apparsa in tutto il suo splendore, secondo alcuni. Ma l'istante più esilarante è stato quando il giudice Rafaat, forse per un difetto di pronuncia, invece di pronunciare le parole "il grande (azim) popolo egiziano" ha detto "il deficiente (adim) popolo egiziano". Errore perdonabile, visto la tensione del momento. Tuttavia, dato che molti pensano che il processo sia una presa in giro degli egiziani, la frase è risuonata canzonatoria.

Scherzi a parte, il processo è durato qualche ora, incluso una pausa per consultazioni. La difesa ha chiesto che il processo di Habib el Adly venisse scorporato da quello dei Mubarak. Diversi avvocati difensori (ce n'era una squadra) sia quelli delle vittime hanno richiesto la testimonianza del feldmaresciallo Tantawi (e adesso vedremo cosa dirà il Consiglio Militare), di Omar Suleyman (ex capo dell'intelligence e vice presidente durante i giorni della rivoluzione) e di tutti i ministri del governo Nazif (quello in carica prima della rivoluzione). Chiamato in causa anche l'attuale ministro degli interni Mansour el Essawi. Gli avvocati difensori hanno anche letto una lista di luoghi attorno a piazza Tahrir, dai quali sarebbero partiti gli spari contro i manifestanti, invitando a effettuare una perizia sull'impossibilità di colpire i dimostranti da tali posizioni. Gli avvocati delle vittime, dal canto loro, hanno chiesto di interpellare i cecchini del ministro degli interni, per chiedere loro da chi sono partiti gli ordini di sparare sulla folla, e di accedere alle registrazioni delle conversazioni dei responsabili di governo durante i giorni della rivolta. Infine, c'è stato persino un avvocato che ha richiesto il test del DNA per Mubarak, sostenendo che il vero rais fosse morto nel 2004 e quello in tribunale fosse un impostore. Non mi sembra una strategia giudiziaria vincente...

Come c'era da aspettarsi, i Mubarak hanno negato ogni accusa, poi il processo è stato aggiornato al 15 agosto. Quello di Habib el Adly, tuttavia, continuerà domani. La richiesta di separare i due processi, dunque, è stata accettata. Nell'attesa Mubarak resterà al Cairo (Sharm el Sheykh è finalmente libera, per la gioia degli operatori turistici), in un ospedale poco fuori del Cairo, sulla strada per Ismailiya.

il sorriso di Habib el Adly e qualche segno positivo (news n. 148)

in attesa che il processo di Mubarak riprenda il prossimo 15 agosto, si è tenuta ieri un'altra sessione di quello dell'ex ministro degli interni Habib el Adly e dei suoi aiutanti, imputati della morte di centinaia manifestanti. Sostanzialmente, la nuova sessione è servita a presentare al giudice e alla difesa le prove dell'accusa: documenti, nastri, video, indumenti insanguinati, armi, munizioni di vario tipo, ecc. Dopodiché, il processo è stato aggiornato al 14 agosto - un giorno prima di quello di Muabarak - per consentire alla difesa di esaminare le prove. Ciò che ha irritato di più del processo di ieri, riportato da molti giornali, è stato il sorriso stampato sulla faccia di Habib el Adly, che ha fatto domandare a tanti il perché di tanta fiducia e ostentazione di sicurezza. Speriamo si tratti soltanto dell'indomita arroganza dell'ex primo ministro che ha terrorizzato il paese per anni e non, invece, di un segnale che il processo in questione non porterà a nulla.

Ma a parte i processi di personaggi eccellenti, negli ultimi due giorni si sono registrate due notizie positive. La prima è lo scioglimento della Federazione dei Sindacati Egiziani che era parte delle richieste della rivoluzione. La Federazione, piuttosto che difendere i diritti dei lavoratori, era uno strumento di controllo del governo, dunque il suo scioglimento era lungamente atteso. La seconda notizia è stata quella della scarcerazione, da parte delle forze armate, di 115 arrestati durante l'ultimo sgombero di piazza Tahrir. I manifestanti scarcerati non saranno sottoposti ai tribunali militari, grazie a quello che pare un gesto conciliante, da parte del Consiglio Militare, nei confronti dei giovani della rivoluzione.

Tuttavia, la tensione tra giovani e militari non si allenta, soprattutto dopo la morte di un altro ragazzo di 23 anni, Mohamed Mohsen, colpito da una pietra il 23 luglio, in occasione degli scontri di Abbasiya, durante la marcia verso il ministero della difesa. Oggi si sono tenuti i funerali del ragazzo ad Aswan, in concomitanza del quale, a piazza Tahrir, si è tenuto un "funerale-manifestazione" di solidarietà e protesta.

Il primo ministro Sharaf, invece, ha annunciato la sostituzione di 11 governatori, tra cui quello di Qena, che aveva scatenato violente proteste in aprile. Le nuove nomine, tuttavia, hanno lasciato ancora una volta perplessi. I designati sono quasi tutti militari e tra loro non c'è nemmeno un copto (non parliamo di donne, poi).

Per quanto riguarda l'attentato di Arish di venerdì scorso, con l'attacco di uomini armati a una stazione di polizia, si pensa che i responsabili siano dei palestinesi del Jaysh al-Islami. A breve è prevista una vasta operazione per arrestare i colpevoli, dei quali - affermano i servizi di sicurezza - si conoscono già i nomi.

Per finire, domani si terranno le prime elezioni pubbliche dell'Ufficio della Guida dei Fratelli Musulmani, per sostituire i tre membri che hanno dato le dimissioni dopo aver assunto la direzione del partito Libertà e Giustizia. Inoltre, si terrà anche il primo iftar (rottura del digiuno) pubblico annuale, al quale sono stati invitati il feldmaresciallo Tantawi, il primo ministro Essam Sharaf, il ministro degli interni Mansour el Essawi e persino Papa Shenouda. La Fratellanza celebra pubblicamente una nuova era all'insegna della legalità.


iftar con aggressione della polizia militare (news n. 149)

purtroppo, ancora una volta, dobbiamo raccontare l'aggressione della polizia militare nei confronti di pacifici manifestanti. Anzi, nemmeno veri manifestanti questa volta. Ieri sera, infatti, dopo il funerale simbolico dell'ultimo martire, tenutosi nella moschea Omar Makram, i convenuti hanno deciso di rompere il digiuno (iftar) lì sul posto, nello spiazzo antistante la moschea. Piazza Tahrir non era transitabile, a causa del presidio militare messo in atto dopo lo sgombero di lunedì scorso. L'iftar, secondo i presenti, è stato un momento di gioia e convivialità, senza alcuna intenzione di trasformarsi in un nuovo sit-in. Finito il pasto, tuttavia, alcuni giovani hanno fatto l'errore di mettersi a scandire, del tutto pacificamente, alcuni slogan della rivoluzione, vecchi e nuovi. La polizia militare è arrivata, ha formato un cordone intorno al gruppo di ragazzi e a un certo punto ha caricato. Ha picchiato con bastoni e taser, ferendo diverse persone. Pare che la tv di stato abbia riferito che i militari hanno impedito un nuovo tentativo di sit-in a oltranza in piazza Tahrir - notizia falsa ovviamente - e così il cerchio si è chiuso. I militari sembrano davvero portare avanti una vendetta personale nei confronti dei giovani della rivoluzione, quelli che l'hanno iniziata e ora insistono con le proteste, cogliendo ogni occasione per picchiarli e arrestarli.  

Intanto, volano accuse incrociate tra gli esponenti del vecchio regime. L'avvocato di Mubarak ha fatto sapere che l'ex rais addosserebbe la colpa dello shut down di internet e cellulari di gennaio nientemeno che al feldmaresciallo Tantawi, attuale capo dello stato. Fonti militari hanno naturalmente negato l'accusa, ma il dibattito resta acceso, soprattutto dopo che è stata invocata la testimonianza di Tantawi al processo di Mubarak, sulla quale però non è stata ancora presa nessuna decisione. Invece, l'ex segretario del Partito Nazional Democratico, Hossam Badrawi, ha dichiarato che Mubarak, negli ultimi giorni della rivoluzione, aveva dato ordine alla guardia presidenziale di sparare sui manifestanti, nel caso in cui questi si fossero avvicinati al suo palazzo. Per fortuna, poi, era stato convinto (o costretto) a dimettersi, prima che ci fosse un bagno di sangue.

Pare, invece, che il primo ministro Sharaf, e tutto il consiglio dei ministri, si sia infuriato con quegli ufficiali di polizia che, dopo la sessione del processo di Mubarak e di Habib el Adly, il 3 agosto appena passato, hanno salutato cortesemente gli imputati. Sharaf avrebbe minacciato di metterli tutti sotto inchiesta, mentre il ministro degli interni Mansour el Essawi li ha diffidati dal ripetere il saluto un'altra volta. Gli ufficiali si sono difesi dicendo di aver semplicemente risposto in maniera educata al saluto di Gamal Mubarak e Habib el Adly, ma tali scuse paiono deboli.

Le elezioni dei nuovi membri dell'Ufficio della Guida dei Fratelli Musulmani, tenutesi oggi, già incassano alcune critiche, perché nemmeno in questa occasione è stato dato spazio ai giovani del movimento, che da tempo chiedono più responsabilità e l'accesso alle cariche superiori. La chiesa copta, dal canto suo, ha espresso forti critiche al governo per la mancata nomina a governatori di esponenti copti, che adesso sono ancora di meno che al tempo di Mubarak, cioè nessuno.

La novità interessante che bolle in pentola è la preparazione di una nuova milioniya per venerdì 12 agosto, questa volta organizzata dai sufi! Ebbene sì, spaventati dall'ascesa dei salafiti, dei quali sono uno dei bersagli preferiti, hanno deciso di darsi da fare. E alleati dei sufi saranno i copti, i liberali e almeno dieci partiti politici. L'idea è di riaffermare l'unione tra musulmani e cristiani, messa in pericolo dalla milioniya salafita di venerdì scorso, durante la quale si è proclamata l'islamicità piuttosto che l'egizianità, la quale include ovviamente anche l'essere cristiani. Naturalmente, alla giornata è stato dato anche un nome: "per amore dell'Egitto". Dopo l'iftar, ci sarà una veglia fino all'alba con canti sufi, sperando che la polizia militare non attacchi di nuovo. In realtà, il 12 agosto si prepara anche un'altra manifestazione, sempre in piazza Tahrir, per protestare contro le nuove violenze dell'esercito. E gira anche un terzo appello per una manifestazione in favore di uno stato civile. Insomma, neanche con il ramadan la rivoluzione va in vacanza.


il riverbero delle proteste israeliane in Egitto (news n. 150)

sabato sera la notizia delle manifestazioni di massa in Israele ha raggiunto anche gli egiziani attraverso giornali e social media. I quotidiani seguono scrupolosamente le vicende israeliane (in maniera molto più accurata della nostra stampa, direi), mentre sul web già ferve il dibattito. La protesta di Tel Aviv è stata tanto più rilevante per gli egiziani, perché li ha direttamente tirati in ballo con l'uso esplicito di slogan e cartelli che si rifanno alla loro rivolta, nel tentativo di stabilire un filo diretto con piazza Tahrir.

Ero su Twitter, quando sono arrivate le prime fotografie di cartelli con su scritto irhal, vattene, in arabo ed ebraico, o "Walk like an Egyptian" (vedi foto allegate), dunque ho potuto assistere pressoché in diretta alla reazione dei tweeps (utenti di Twitter) egiziani, e i commenti e le discussioni continuano ancora. Mi sono concentrata soprattutto sulle reazioni dei giovani quotidianamente impegnati nella rivolta, i ragazzi di piazza Tahrir per intenderci, escludendo la miriade di messaggi da parte di attivisti pro-Palestina o pro-Israele che hanno subito invaso Twitter.

Ebbene, facendo la media tra decine e decine di commenti, direi che la reazione alle proteste israeliane, e ai chiari riferimenti alla primavera araba, in special modo egiziana, per ora è stata tiepida. Una buona percentuale di ragazzi ha subito espresso un netto rifiuto per il tentativo dei giovani israeliani di inserirsi nell'onda delle rivolte arabe. E' stato visto come l'appropriarsi di qualcosa che non li appartiene, di accostare due situazioni impossibili da comparare. Qualcuno ha detto amaramente: "Adesso vogliono privarci anche della nostra primavera". Per tali ragazzi, la distanza con i coetanei israeliani è incolmabile e il motivo è sempre lo stesso, l'occupazione della Palestina. Non sono disposti a dare alcun credito al neonato movimento israeliano, finché non si pronuncerà chiaramente contro l'occupazione. I commenti più comuni sono stati del tipo: "Come si fa a manifestare per la giustizia sociale, ignorando la situazione di profonda ingiustizia in cui vivono i palestinesi a causa dell'occupazione israeliana?". La ferita, per la stragrande maggioranza degli arabi, in particolare egiziani, non si rimargina, deve essere curata con fatti più che concreti.

A dire il vero, attraverso Twitter, dalla protesta israeliana sono giunte notizie che contrastano con questa visione basata su un'estrema diffidenza. Tanto per cominciare, erano presenti anche gli arabi israeliani (si dice che c'era anche lo scrittore Sayed Kashua), inoltre alcuni manifestanti hanno testimoniato di aver udito slogan in favore della libertà della Palestina, assieme al famoso slogan della primavera araba "il popolo vuole la caduta del regime", gridato metà in arabo e metà in ebraico. Tuttavia, sembra che il movimento israeliano sia politicamente composito e abbia pertanto lasciato volutamente in ombra l'argomento spinoso dell'occupazione. Purtroppo, non sono stata in grado di leggere i tanti tweet in ebraico giunti sabato sera, quindi non mi azzardo a fare alcuna speculazione in proposito, lasciando questo compito a chi conosce la realtà di Israele meglio di me. Mi limito dunque a leggere il riflesso degli eventi in Israele e Palestina in Egitto.

Tornando alle reazioni degli egiziani di fronte ai riferimenti israeliani alla loro rivoluzione, assieme alla prima ondata di commenti negativi e sarcastici, c'è anche stata un'altro tipo di reazione: la sorpresa. Molti dei ragazzi di Tahrir hanno diffuso le immagini dei cartelli israeliani senza parole, o con brevi commenti tipo: "pazzesco", "ma che succede?", "imbarazzante". Si capiva che erano spiazzati, presi completamente alla sprovvista. Pur mostrando anche loro sbigottimento e diffidenza, questi ragazzi si sono mostrati più disponibili verso i giovani israeliani, concedendosi la possibilità di approfondire e studiare le loro proteste prima di formulare un giudizio. Una posizione attendista e neutrale, si potrebbe dire. C'è anche stato chi, tra il serio e il faceto, ha espresso preoccupazione per come il Consiglio Militare avrebbe potuto interpretare (o strumentalizzare) i riferimenti alla rivolta egiziana: "Ecco, adesso lo SCAF potrà dire di avere la prova che siamo tutti al soldo degli israeliani". Non c'è troppo da scherzare su questo, visto la paranoia che si è diffusa in Egitto - anche grazie ai militari al potere - sui finanziamenti stranieri a movimenti e organizzazioni locali per "destabilizzare il paese".

Infine, dopo una prima fase di generale sbalordimento, hanno cominciato ad arrivare anche i commenti di chi vede un segno nettamente positivo nelle proteste israeliane, rintuzzando coloro che continuavano ad esprimere il proprio rifiuto attraverso commenti pesanti. Per questi ragazzi, le proteste israeliane sono una speranza anche per le società arabe. Innanzitutto, se Netaniahu cadesse sarebbe già un bel risultato, poi questi ragazzi si rendono conto che un cambiamento sociale all'interno di Israele potrebbe portare buoni frutti anche per la risoluzione della questione palestinese. Per lo meno, esattamente come in Egitto, rispetto a prima c'è una speranza in più. Anche su Facebook, diversi egiziani (tra cui la pagina della campagna di sostegno a el Baradei) hanno pubblicato le foto dei cartelli israeliani, con gli slogan delle rivolte arabe, con un misto di sorpresa e orgoglio.

Gli ultimi commenti sono stati riservati invece per le televisioni internazionali. Il primo per le tv statunitensi: "come mai non danno notizia di quanto sta succedendo a Tel Aviv?". Non so se sia vero, ma questa era una domanda diffusa sabato sera. Il secondo commento è stato per al-Jazeera: "l'unica ragione per cui al-Jazeera segue i fatti di Tel Aviv è per distogliere l'attenzione dal Bahrein". Ragazzi smaliziati...


(news n. 151)

Mancano pochi giorni alla programmata milioniya organizzata dai sufi e dalle forze secolari, il cosiddetto "venerdì dello stato civile" "per amore dell'Egitto", come è stata infine chiamata la giornata. I gruppi politici liberali, di sinistra e secolari stanno aderendo in massa, mentre i sufi, che hanno lanciato l'idea, si dividono. Sostanzialmente, soltanto i sufi riformisti sostengono la manifestazione, mentre i sufi "tradizionali" preferiscono tirarsene fuori, rifiutando il coinvolgimento politico.  A dire il vero, la milioniya di venerdì prossimo ha dovuto incassare le critiche anche di altre voci autorevoli. Il primo a condannarla è stato Naguib Sawiris, seguito da Mohamed el Baradei, che l'ha definita una perdita di tempo.

Ma il vero problema, del quale nessuno per ora ha trovato la soluzione, è dove tenere la manifestazione. "In piazza Tahrir ovviamente", si dirà. Infatti questa sarebbe l'intenzione. Soltanto che piazza Tahrir, al momento, è blindata dall'esercito e dalle forze di polizia, da quando è stata sgomberata con la forza il primo giorno di Ramadan. Addirittura, già si parla di un sit-in dell'esercito in piazza Tahrir. A sentire i testimoni, con la massiccia presenza delle forze di sicurezza, piazza Tahrir ora sembra un campo di concentramento, senza più traccia dei colori e della gioiosità della rivoluzione, mentre i poliziotti si fanno delle foto ricordo nel luogo simbolo della rivolta egiziana. Dunque, come si farà per accedere alla piazza? L'esercito cederà il passo alla milioniya? I prossimi giorni ce lo diranno.

Nel frattempo, prosegue il braccio di ferro tra il governo e la Federazione dei Sindacati Egiziani appena sciolta. La Federazione rifiuta lo scioglimento, considerandolo illegale. Pertanto, si è rivolta al tribunale per chiedere l'annullamento del provvedimento. Invece, in attesa della seconda sessione del processo di Mubarak e figli, il prossimo 15 agosto, si sta tentando di coordinare meglio l'azione del team di avvocati che difendono i familiari dei martiri. La loro difesa, infatti, durante la prima sessione, è apparsa piuttosto caotica e disorganizzata e bisogna correre ai ripari.

C'è qualche movimento anche sul fronte elezioni. L'Alta Commissione per le Elezioni, che dovrebbe iniziare a lavorare il 18 settembre, ha annunciato che suddividerà i lavori in sei sottocommissioni. Intanto, con il Ramadan, la campagna elettorale prosegue a suon di carità. Le forze secolari tentano di gareggiare con le forze islamiste occupandosi dei più poveri, con carovane che portano viveri o servizi sanitari ai meno agiati. Gli islamisti, tuttavia, hanno una lunga tradizione in questo campo, difficile da battere. I gruppi di sinistra, invece, sono in grande ritardo con la legalizzazione dei loro partiti. Hanno difficoltà a raggiungere il numero di firme richieste (5000) e lamentano mancanza di fondi. Inoltre, dicono di voler prima mettere in piedi la struttura dei partiti, in modo che il processo decisionale interno risulti democratico. Sarà, ma devono fare in fretta.

E dopo le ripetute accuse del Consiglio Militare rivolte al Movimento 6 Aprile, con le quali li ha tacciati di ricevere aiuti monetari e materiali dall'estero per fomentare la rivolta contro di loro, è partita una vasta indagine sul finanziamento straniero illegale a diverse organizzazioni per i diritti umani. Vedremo quali saranno i risultati.


la verità sulle uccisioni dei manifestanti (news n. 152)

Ramadan rovente quest'anno, e non solo perché cade ad agosto. L'Egitto è tutt'altro che in pace. Continuano ad alternarsi notizie della cancellazione della prossima milioniya sufi e relative smentite. Il primo ministro Sharaf ha, in effetti, tentato di convincere gli organizzatori a desistere, o almeno a cambiare il luogo della manifestazione, visto che piazza Tahrir è sempre presidiata dall'esercito. Sembra che gli sforzi di Sharaf abbiano infine sortito qualche effetto, perché è appena giunta la notizia che 28 gruppi politici hanno accettato di posticipare la manifestazione al venerdì successivo.  

E in attesa della milioniya - oppure no - si scoprono alcuni altarini, che in realtà erano scoperti da tempo. Per cominciare, secondo il giornale al-Shorouq, la commissione d'inchiesta sul vuoto di sicurezza (che aveva colpito l'Egitto dopo il sospetto ritiro della polizia dalle strade il 28 gennaio) avrebbe accertato che l'ex ministro degli interni Habib al-Adly, sotto processo con Mubarak, sarebbe colui che avrebbe dato l'ordine di aprire le prigioni durante la rivolta. Nessuna sopresa per gli egiziani, ma è sempre bene ribadirle certe cose. Il secondo altarino lo scopre il giornale al-Youm al-Sabaa, che rende noto il contenuto dei verbali delle operazioni della Sicurezza Centrale nei giorni della rivolta, dal 25 gennaio al 2 febbraio. Nel rapporto si scopre che gli ufficiali di polizia sarebbero stati dotati di munizioni vere, con l'ordine di sparare sui manifestanti per uccidere. Questo sbugiarda completamente Habib al-Adly e i suoi assistenti che avevano negato di aver dato ordini del genere. Nei quaderni della Sicurezza Centrale si trovano anche tutti i dettagli sull'utilizzo dei cecchini, quelli che l'attuale ministro degli interni ha negato essere mai esistiti. Tutte cose risapute per i manifestanti egiziani, ma ora cominciano a saltare fuori le prove, che si spera saranno usate nel processo contro al-Adly e compagni.

Grande attenzione e preoccupazione, invece, sta destando la guerriglia in corso da tre giorni a Gerga, nel governatorato di Sohag. E' tutto iniziato con un incidente: un tuk-tuk (ape-taxi in uso soprattutto nelle periferie delle grandi città o nei villaggi più poveri) ha sfondato la vetrina di un negozio, poi - da quanto ho potuto capire, perché non è affatto chiaro come è avvenuta l'escalation - è scoppiata una faida tra gli abitanti di Gerga e un paese vicino. La stazione di polizia è stata attaccata e sono state rubate delle armi, le linee ferroviarie sono state bloccate e si è dovuto imporre il coprifuoco, che tuttavia non ha fermato le violenze. Perché tutto questo? Non si capisce, ache se questa volta le tensioni religiose non c'entrano nulla. Ci sono stati diversi episodi preoccupanti di questo tipo di recente, quello di Gerga è solo il più eclatante.

Un'altra notizia inquietante proviene dal Sinai, dove il gruppo di salafiti locali ha deciso di formare dei comitati per risolvere le frequenti controversie tribali in accordo con i precetti religiosi islamici, invece che con la legge consuetudinaria delle tribù. Questo perché, secondo i salafiti, la polizia nel Sinai sarebbe al momento latitante. Inoltre, i salafiti affermano che, per far rispettare le decisioni di tali comitati, sono pronti a usare la forza. Ci sarebbero 6000 giovani armati allo scopo. Chiaramente, c'è chi teme che questi giovani possano trasformarsi, in un giorno non tanto lontano, in vere e proprie milizie per il "controllo morale" dei cittadini. Bisogna prestare attenzione al Sinai, con tutte le armi che circolano in questo periodo.

Vi lascio, infine, con una vignetta che ricalca una tipica tradizione egiziana: la subua, la festa del settimo giorno dalla nascita di un bambino. La tradizione vuole che si ponga il neonato in un setaccio e lo si scuota leggermente, mentre qualcuno fa tintinnare un pestello di rame. Al suono del pestello si invita il neonato ad ascoltare i componenti più grandi della sua famiglia, uno ad uno: "ascolta il papà, ascolta lo zio, ...". Nella vignetta, il neonato è stato sostituito da un giovane della rivoluzione, al quale viene detto: "Ascolta la Guida (dei Fratelli Musulmani)! Ascolta il Papa! Ascolta il Consiglio Militare! Ascolta l'élite (nel senso di élite culturale, credo)!". Il significato è chiaro.


sei mesi senza Mubarak (news n. 153)


oggi sono passati sei mesi dalla caduta di Mubarak, ma il Consiglio Militare non ha ancora consegnato il governo a uno stato civile come promesso inizialmente. Del resto, è sempre stata una previsione ottimistica. Risultati e avanzamenti, nonostante tutto, ce ne sono stati, soprattutto grazie all'instancabile pressione della piazza, alla quale bisogna riconoscere i suoi meriti. Il governo, in febbrile attività anche ad agosto, in questi giorni sta dando importanti segni di voler portare avanti il processo democratico.

Tanto per cominciare, il vice premier Ali al-Selmi ha affermato che, prima delle elezioni parlamentari di novembre, sarà probabilmente emanata una nuova dichiarazione costituzionale, contenente i cosiddetti principi sovra-costituzionali, i quali dovrebbero garantire che nessun gruppo politico particolare, indipendentemente dai risultati delle elezioni, prenderà il controllo della futura assemblea costituente e della Costituzione. Tenendo conto delle diverse proposte costituzionali, avanzate di recente da varie assemblee della società civile volte al dialogo nazionale (tra le quali il Consiglio Nazionale e il Consenso Nazionale), si redigerà prima un documento con i principi sovra-costituzionali che verrà sottoposto all'opinione pubblica (punto non ulteriormente spiegato, finora), quindi, se la risposta sarà positiva, si procederà a riscrivere la dichiarazione costituzionale transitoria. Tutto bene, dunque, se non fosse che tale progetto ha fatto infuriare le correnti islamiste, le quali hanno minacciato di tornare in piazza in massa per protestare, con un'escalation di manifestazioni e "altre iniziative" imprecisate. Le minacce degli islamisti più radicali, tipo la Gamaa'a Islamiya, non sono affatto piacevoli.

Il governo non si è tuttavia fermato a questo. Sarebbe infatti allo studio un emendamento del codice penale per inserire una legge anti-discriminazione, che prevede la detenzione di sei mesi e un'ammenda per tutti coloro che si rendono colpevoli di discriminazione di genere, etnia, lingua, sesso, religione o credo. Inoltre, vi è anche l'intenzione di rivedere la legge sui luoghi di culto che è stata emendata di recente, raccogliendo l'insoddisfazione generale dei copti. Che sia la volta buona?

Infine, il governo sta lavorando a una legge sulla formazione di consigli locali transitori (quelli che erano in carica sono stati sciolti a fine giugno), da nominare su indicazione della società civile locale tra le personalità più significative di ogni luogo: professori universitari, giudici, figure pubbliche rispettate, senza dimenticare di includere una rappresentanza di donne e giovani.

La notizia più clamorosa, tuttavia, in attesa di conferma, proviene sempre dal vice premier Ali el-Selmi: il governo starebbe valutando la possibilità di rimuovere presto lo stato di emergenza. Se ciò fosse vero, la rivoluzione potrebbe festeggiare un altro grande risultato. La cautela è d'obbligo, comunque, visto che molti mettono in dubbio la veridicità di tale notizia, domandandosi inoltre se la rimozione dello stato di emergenza implicherebbe automaticamente anche quella delle leggi di emergenza, distinzione fondamentale.

Sia quel che sia, qualcosa si muove in questo Ramadan rovente.


la milioniya sufi e la nuova offensiva islamista (news n. 154)

la milioniya sufi programmata per venerdì scorso si è trasformata in un piacevole iftar di piccole dimensioni. Il continuo tira e molla sulle date della manifestazione ha infine portato in piazza all'incirca 5000 persone, niente più. La buona notizia è che l'esercito ha permesso che l'iftar si tenesse in piazza Tahrir, senza bloccare il traffico. Inizialmente, ci sono state alcune scaramucce e tiri di pietre con i soldati, ma poi il conflitto si è risolto pacificamente, quando il numero di persone ha cominciato a crescere. Anche se in piazza c'erano quattro ordini sufi, la maggioranza erano attivisti delle forze politiche che hanno aderito all'evento. Si sono uditi slogan in favore dello stato civile, come prevedeva il programma della protesta. Presenti anche i copti dell'Unione dei Giovani del Maspero. Pur essendo stata una bella manifestazione, visto il numero esiguo di convenuti, non è stato un evento particolarmente significativo dal punto di vista politico.

Terminato, invece, dopo ben tre mesi, il sit- in dei senzatetto sotto il palazzo della tv. Il governo ha promesso di trovar loro un'abitazione. E mentre si attende il famoso documento sui principi sovra-costituzionali annunciato dal Consiglio Militare, gli islamisti affilano le armi (metaforicamente, si spera) per opporsi con tenacia al provvedimento. Hanno già inviato un messaggio di avvertimento al primo ministro Sharaf, avviando anche una campagna per sommergere con milioni di fax ed email di protesta il Consiglio dei Ministri. Se l'avvertimento non sarà ascoltato, gli islamisti minacciano di ricorrere al tribunale, quindi a una raccolta di firme e poi, naturalmente, a manifestazioni e sit-in. I tre partiti salafiti, intanto, al-Nur, Fadila e Asala, hanno deciso che correranno uniti alle prossime parlamentari.

Ma cosa sta succedendo nel Sinai? Ci piacerebbe saperlo. Si sa solo che è in corso una vasta operazione militare contro cellule jihadiste, ritenute responsabili del recente attacco armato ad Arish. Sarebbero stati inviati almeno 2000 soldati nel Sinai. L'operazione è coperta da segretezza, dunque non giungono notizie sufficienti sulla reale situazione. Gira invece voce che Israele abbia provveduto ad elettrificare il confine nel nord del Sinai. Per il resto, gli egiziani continuano a sparare sugli eritrei che tentano di varcare clandestinamente il confine con Israele, lungo la nuova rotta dell'immigrazione che si è stabilita dopo l'inizio dei respingimenti nel Mediterraneo (storia indecente alla quale noi, italiani ed europei, non siamo affatto estranei).

Oggi, tuttavia, è anche ripreso il processo all'ex ministro degli interni Habib el-Adly, senza registrare sostanziali avanzamenti. La seduta è stata interrotta più volte (caos e lentezza regnano sovrani), poi è stata nuovamente aggiornata al 5 settembre. Gli avvocati che difendono i familiari dei manifestanti uccisi, apparsi ancora una volta disorganizzati, hanno denunciato che le indagini effettuate per istituire il processo sono deboli. Questo, appunto, è il problema principale di questi processi.

E domani sarà il turno della seconda seduta del processo di Mubarak e figli, altro grande evento mediatico. Nessuno, tuttavia, si aspetta grandi sorprese.


la vendetta dei militari contro i giovani di Facebook (news n. 155)

in attesa che riprenda il processo di Mubarak, i giovani attivisti di internet sono nuovamente sotto attacco del Consiglio Militare. Ieri, Asmaa Mahfouz, una delle fondatrici del Movimento 6 Aprile, nonché uno dei volti più noti della rivoluzione, è stata convocata dalla Procura Militare per indagini. L'interrogatorio è durato più di sei ore, alla fine del quale è scattato l'arresto con possibilità di essere rilasciata su cauzione, fissata a 20000 lire egiziane. Asmaa Mahfouz è accusata di incitazione alla violenza e oltraggio ai militari. La colpa, apparentemente, è stata di un messaggio su Twitter che diceva: "Se non avremo giustizia, nessuno si sorprenda se spunteranno gruppi armati che commetteranno assassinii. Finché non ci saranno legge e giustizia, nessuno si soprenda di nulla". Il tweet è stato interpretato, appunto, come esplicito incitamento alla violenza.

Appena diffusasi la notizia, c'è stata grande mobilitazione. I manifestanti riuniti di fronte alla Procura Militare sin dal mattino, hanno protestato vivamente, ma a nulla è servito. Sono giunte truppe speciali a riportare l'ordine, picchiando e arrestando. Anche il figlio di Ayman Nour è stato detenuto brevemente. Sul web è partita una campagna per raccogliere i soldi della cauzione. Nel giro di un'ora è stata pagata, grazie al contributo di Mamdouh Hamza (l'imprenditore portavoce del Consiglio Nazionale, in passato perseguitato dal regime), Ragia Omran (avvocato per i diritti umani) ed altri attivisti. Asmaa Mahfouz è quindi stata rilasciata, ma ora l'aspetta il tribunale militare, alla faccia delle dichiarazioni dei vertici delle forze armate che i processi militari riguardano solo i baltagheya. Come molti hanno fatto notare, Asmaa ha dovuto pagare 20000 lire egiziane e sarà sottoposta al verdetto di un tribunale militare, mentre Aisha Abdel Hady, ex ministro del lavoro e dell'immigrazione, imputata nel processo sulla "battaglia del cammello" e sull'uccisione di manifestanti, è giudicata da un tribunale civile che ha stabilito una cauzione di 10000 sterline egiziane. E non parliamo della famiglia Mubarak...

I giovani di internet sono sotto shock. E' chiaro, secondo loro, che è finalmente partita la temuta vendetta dell'esercito contro di loro. Ciò che è successo ad Asmaa Mahfouz implica che sono tutti in pericolo, basta un tweet o un post su Facebook. I militari hanno imparato bene la lezione, ora controllano ciò che dicono gli attivisti sui social networks e qualsiasi pretesto è buono per arrestarli. Secondo i giovani attivisti, il Consiglio Militare si sente al riparo da critiche, in questo momento, avendo dalla sua parte l'opinione pubblica e gli islamisti. I pericolosi giovani di Facebook sono finalmente isolati, come ai vecchi tempi.

Ma l'accaduto ha dato il via anche a un nuovo dibattito, perché per molti l'isolamento dei giovani di Facebook è anche colpa loro, che hanno sbagliato completamente strategia nei confronti della "strada", dopo i diciotto giorni della rivoluzione. Questo, naturalmente, non giustifica affatto il comportamento del Consiglio Militare. Sia quel che sia, ieri Wael Ghonim ha sollevato la questione, suggerendo alcune regole di comportamento quando si ha a che fare con i mezzi di informazione, social networks inclusi, e l'opinione pubblica. Innanzitutto, bisognerebbe fare molta attenzione a come si parla, anche su Facebook e Twitter, perché le parole che lì sono scritte sono facilmente riprese e diffuse in tutto il mondo. Non si dovrebbe parlare soltanto ai sostenitori della rivoluzione, ma soprattutto a coloro che tengono una posizione neutrale. Bisogna ricordare che non tutti hanno avuto la stessa esperienza della rivoluzione, non tutti sono stati arrestati e torturati. Milioni di egiziani non sono mai scesi in piazza, dunque bisogna cercare di immedesimarsi anche con loro. Alzare la voce non è più segno di coraggio come in passato, ma è interpretato come arroganza. Si deve fare una precisa distinzione tra il discorso che si rivolge agli amici reali, a quelli virtuali sui social networks e al vasto pubblico della televisione. Non bisogna farsi beffe delle opinioni altrui, perché è controproducente. L'anziano va rispettato, come vuole la cultura egiziana. Non si deve eccedere con le apparizioni televisive, per non essere accusati di cercare la notorietà. Il sostegno di parenti e amici non va confuso con l'opinione della strada, che è altra cosa. La cosiddetta maggioranza silenziosa non va umiliata, perché è la stessa che era umiliata sotto Mubarak ed è scesa in piazza contro il regime assieme ai giovani di Facebook, i quali, da soli, non sarebbero andati lontano. Bisogna smettere di darsi dei traditori a vicenda e non concentrarsi solo sulla politica. Economia e problemi sociali sono questioni altrettanto urgenti che aspettano una risposta, altrimenti la distanza con la gente della strada si farà più grande ancora.

Ecco, questi consigli evidenziano quali siano stati gli errori della gioventù rivoluzionaria secondo molte persone. Intanto, il tweet incriminato di Asmaa Mahfouz sta facendo il giro del mondo in tutte le lingue...


riprende il processo di Mubarak, nel bel mezzo della campagna militare in Sinai (news n. 156)


ieri è ripreso il processo di Mubarak e figli, nuovamente trasmesso in diretta tv. Mubarak si è presentato su una barella, come già nella scorsa sessione. Tuttavia, vestiva una tuta blu che ha irritato molti. Infatti, un imputato non ancora condannato dovrebbe per legge indossare una divisa bianca, come hanno fatto Alaa e Gamal Mubarak. Inoltre, altra fonte di irritazione, i due figli dell'ex rais continuano nel loro atteggiamento di ostentata sicurezza. Alaa si è persino permesso di oscurare la telecamera con la mano per impedire che riprendesse il padre (il quale questa volta non è stato colto con le mani nel naso, ma mentre sbadigliava sguaiatamente). L'arrivo degli imputati è stato accolto, ancora una volta, da scontri tra pro-Mubarak e anti-Mubarak, che hanno causato decine di feriti. I testimoni, tuttavia, sostengono che la polizia abbia picchiato solo gli anti-Mubarak. Ad assistere al processo, questa volta, sono stati ammessi tutti gli avvocati iscritti al sindacato.

Comunque, a parte il clima teso, il processo è ripartito. Si sono aperte le buste sigillate contenenti le prove dell'accusa e si sono sentiti gli avvocati. Quelli che difendono le vittime si sono mostrati, come sempre, disorganizzati e litigiosi, tanto che il giudice ha chiesto loro di porre per iscritto le loro domande. Qualche spettatore, su Twitter, ha commentato che sembrava di essere all'asilo. Per altri, invece, è naturale che ci siano confusione e lentezza in un processo così complicato dal punto di vista organizzativo, data la presenza di centinaia di avvocati. L'importante è che, alla fine, sia un processo giusto, prenda pure tutto il tempo necessario.

Il giudice ha accettato la richiesta dei difensori delle vittime di unire di nuovo, per quanto riguardo il caso sull'uccisione dei manifestanti, i processi di Habib el-Adly e dei Mubarak, mentre il processo per corruzione di questi ultimi procederà separatamente. Sembra una decisione importante, a sentire gli avvocati della difesa, perché processare insieme Mubarak e el-Adly - oltre, se si riuscirà, agli esecutori materiali degli ordini di sparare sui manifestanti - significa spingerli a testimoniare l'uno contro l'altro, ottenendo prove che altrimenti non si riuscerebbe a ottenere.

Infine, il giudice ha aggiornato il processo al 5 settembre, come quello di Habib el-Adly. Ha ordinato inoltre che le prossime sedute non siano trasmesse in tv. Fine della trasparenza promessa dal Consiglio Militare? Lo pensano in tanti, tuttavia gli esperti in materia dicono che è una misura giusta, perché a partire dalla prossima seduta si comincerà ad ascoltare i testimoni e la diretta tv potrebbe far sì che si influenzino l'uno con l'altro. Inoltre, aggiunge qualcuno, è probabile che questa mossa prepari alla convocazione del feldmaresciallo Tantawi e dell'ex vice presidente Omar Suleyman. Le loro testimonianze potrebbero essere esplosive dal punto di vista della sicurezza nazionale, dunque meglio non diffonderle pubblicamente. E forse, se sapessero di essere in tv, si rifiuterebbero di dire ciò che sanno. La polemica, comunque, continua.

E mentre Mubarak affronta un processo civile, tanti civili devono purtroppo affrontare i tribunali militari. Un'altra attivista politica, Maha Abu Bakr, che è anche avvocato, è stata convocata in Procura Militare. Continuano invece le rappresaglie contro Asmaa Mahfouz, il cui account Facebook è stato chiuso. Pare siano stati quelli che si definiscono "i figli di Mubarak", i quali si sono persino permessi di pubblicare un avviso su internet, dove minacciano di assaltare le prigioni, nel caso in cui Mubarak venisse trasferito in carcere. Eppure, nessuno li ha arrestati per incitamento alla violenza.

La campagna militare nel Sinai, invece, procede a pineo ritmo e pare che durerà mesi. Nessuno capisce bene cosa stia veramente succedendo. Per ora la campagna coinvolge soltanto il nord della penisola, dove i militari egiziani, con il permesso di Israele, sono tornati a mettere piede per la prima volta dalla firma del trattato di Camp David. Infatti, la zona C al confine con Israele, era zona demilitarizzata fino all'altro ieri. L'Egitto sembra ai ferri corti con Hamas, il quale avrebbe rifiutato di consegnare i palestinesi coinvolti nell'attacco armato ad Arish, poi rifugiatisi a Gaza passando per i tunnel scavati sotto il confine. Non è dal valico di Rafah, infatti che passano i terroristi. Quelli trovano sempre il modo, anche con il valico chiuso.

Ma siccome le disgrazie non vengono mai sole, ecco l'annuncio che Zahi "Indiana Jones" Hawass, l'ex ministro delle antichità, sta scrivendo un libro sulla rivoluzione. Si salvi chi può...

Da seguire, invece, la notizia della nascita del Blocco Egiziano, una nuova coalizione di forze politiche che include il Partito del Fronte Democratico, il Partito Social Democratico, il Partito degli Egiziani Liberi, il Partito dell'Egitto Libero, il Tagammu, il Partito della Consapevolezza (questo mi era sfuggito), il Partito dei Sufi di Tahrir, il Partito Comunista, il sindacato degli agricoltori, l'unione degli operai, l'Associazione Nazionale per il Cambiamento e il Consiglio Nazionale. Dunque, una coalizione di liberali, forze di sinistra e sufi, con l'obiettivo di concorrere con una lista unica alle prossime elezioni parlamentari. Anche gli islamisti sono invitati a unirsi, ma finora nessuno ha accettato l'invito. Nota interessante, oltre a supportare uno stato civile, il Blocco dà particolare importanza al ruolo che la scienza dovrebbe rivestire nella società. Inaudito, non ho mai sentito una cosa simile da parte di nessuna formazione politica italiana.


il Consiglio militare incassa qualche colpo (news n. 157)

imperversa la polemica sui processi militari ai civili. Negli ultimi giorni, infatti, sono stati convocati dalla Procura Militare altri tre attivisti del Partito Democratico. Altri due giovani sono stati condannati a sei mesi di carcere per aver gridato slogan insultanti nei confronti del Consiglio Militare, e sono più di diecimia i civili che sono stati sottoposti a tribunali militari negli ultimi sei mesi. Decisamente troppi. La questione ha finalmente provocato una grande ondata di indignazione in tutto il paese, risvegliata soprattutto dal recente rinvio a giudizio della nota attivista Asmaa Mahfouz. Persino i Fratelli Musulmani, i cui rapporti con il Consiglio Militare sembrano raffreddarsi, si sono infine pronunciati con voce forte contro i processi militari ai civili. La reazione indignata della società egiziana ha tuttavia dato i suoi frutti, perché oggi il Consiglio Militare ha emanato uno dei suoi comunicati, annunciando il ritiro delle accuse nei confronti di Asmaa Mahfouz e di Louai Nagati, altro noto attivista. Bene, dunque le pressioni dell'opinione pubblica continuano a funzionare e la società civile egiziana continua a essere presente e vigile. Ma le altre migliaia di persone meno note che restano nei carceri militari o sono in attesa di giudizio? Bisogna insistere.

E il Consiglio Militare ha subito un altro piccolo colpo alla sua immagine. Vi ricordate il sondaggio che avevano lanciato su Facebook, quello sul candidato alle elezioni presidenziali preferito dagli egiziani? Omar Suleyman, l'ex capo dei servizi segreti militari ed ex vice presidente, aveva riscosso un inaspettato successo. Ebbene, il giornale indipendente al-Masry al-Youm ha svelato l'esistenza di un complotto per falsificare il voto a suo favore. Gruppi di giovani sono stati pagati per esprimere più volte la propria preferenza nel sondaggio per Omar Suleyman, attraverso l'uso di account temporanei di posta elettronica. Il Consiglio Militare ha dovuto cancellare il sondaggio. Non sembra un buon momento per loro.

Ma il dibattito che più tiene la scena in questi giorni è quello sul documento dei principi sovracostituzionali. Gli islamisti sono sempre sostanzialmente contrari, nonostante i tentativi di rabbonirli. Il flirt con i militari sembra, come ho detto, raffreddarsi. Favorevoli, invece, le forze secolari. E nel dibattito si inserisce anche l'Università di al-Azhar, che ha redatto un documento guida per la futura Costituzione, nel quale si afferma la necessità che l'Egitto diventi uno stato democratico con una chiara separazione dei poteri, che garantisca anche piena libertà di pensiero e tutela dei diritti individuali. Il documento, tuttavia, sottolinea l'identità islamica del paese, come del resto fa anche l'attuale Costituzione. Il documento, però, contrariamente a quanto desideravano i secolaristi e per la gioia degli silamisti, non è stato reso vincolante.

Sul fronte processi, potrebbero esserci guai in vista per il ministro degli interni, che tempo fa ha dichiarato la non esistenza di cecchini del ministero (esistenza ampiamente provata da filmati e testimonianze dei giorni della rivolta). Il ministro è ora stato smentito da un ex generale di polizia, il quale, in una trasmissione televisiva, ha affermato la presenza di un intero dipartimento dedicato all'addestramento dei cecchini. Lo stesso Mubarak avrebbe presenziato ad alcune sedute di allenamento.

La novità che preoccupa i militari e il governo, tuttavia, è la ripresa di scioperi duri tra i ferrovieri, che hanno bloccato il traffico dei treni in sei governatorati. Si teme che gli scioperi si intensifichino con l'avvento della festa di fine Ramadan.

C'è molta apprensione, invece, per le notizie che provengono dal Sinai. Le domande sono tante e, in seguito all'attentato di oggi nel sud di Israele, si aggiunge il dolore per la scontata rappresaglia contro Gaza. Secondo i messagi giunti su Twitter, il valico di Rafah è di nuovo chiuso.

In attesa di capire meglio la situazione in Sinai, pare che la grande manifestazione copto-liberal-sufi prevista per domani, già rinviata venerdì scorso, alla fine non avrà luogo. Troppe defezioni, troppa stanchezza, troppo bisogno di rivedere le proprie strategie di lotta. Tuttavia, è già stato fissato un nuovo appuntamento per rinnovate proteste non appena finito il Ramadan, quando il caldo, inoltre, mollerà leggermente la presa. L'appuntamento, che non ha ancora un nome, è per il 9 settembre. L'autunno si preannuncia frizzante, tenendo conto che a settembre inizieranno anche le procedure elettorali (il 18 per la precisione) e annessa campagna elettorale.


la crisi del Sinai (news n. 158)

che dire della crisi del Sinai? La situazione creatasi nella penisola è l'ultima cosa che ci si poteva augurare in questo momento. Risveglia tanti fantasmi mai realmente sopiti, con risvolti potenzialmente pericolosi. Chi ha legami con il Medio Oriente dovrebbe abituarsi a vivere in uno stato di angoscia quasi permanente, ma in realtà è impossibile. Oggi mi costa fatica scrivere, perché sono profondamente preoccupata, anche se spero che la crisi sarà contenuta. Per esorcizzare la preoccupazione, dunque, tenterò semplicemente di riferire i fatti, visti dalla prospettiva egiziana, lasciando a voi analisi e riflessioni.

Non è affatto facile ricostruire quanto accaduto in Sinai. L'Egitto è nella confusione quasi totale, preso in mezzo a versioni totalmente contrastanti, nessuna delle quali pare affidabile. Ciò che è certo è l'uccisione, venerdì notte, di due soldati egiziani e un poliziotto delle forze di sicurezza centrali nella zona di el-Kuntila, 20 km a nord di Taba. Ricordo inoltre che da giorni è in corso una vasta operazione militare nel Sinai, a caccia delle bande armate di terroristi che il 29 luglio scorso hanno terrorizzato la popolazione di el-Arish, attaccando una stazione di polizia.

Nel tentativo di fare un po' di chiarezza, il quotidiano al-Shorouk ha raccolto tre delle versioni che circolavano ieri sull'uccisione dei militari egiziani. La prima è quella ufficiale egiziana. Nella notte di venerdì, il commando di terroristi responsabile degli attentati di Eilat si è diviso in due gruppi. Uno di questi si è infiltrato entro i confini egiziani, rifugiandosi in una zona montuosa di difficile accesso. C'è quindi stato uno scontro a fuoco tra questi terroristi e le forze di sicurezza egiziane al loro inseguimento, causando quattro vittime (anche uno dei terroristi sarebbe rimasto ucciso). Un altro militare egiziano è stato ferito.

La seconda versione è quella dei testimoni oculari della zona. Secondo loro, gli egiziani sono stati uccisi da un bombardamento di aerei israeliani. I ricognitori israeliani sarebbero stati impegnati a controllare il confine tra Taba e Gaza dal cielo, mentre gli egiziani lo battevano a tappeto da terra, con rafforzate misure di sicurezza.

L'ultima versione è quella riportata dai mass media israeliani, i quali hanno riferito che le forze di difesa israeliane sarebbero entrate nel Sinai all'inseguimento dei terroristi, quindi ci sarebbero stati scontri a fuoco con le forze di sicurezza egiziane. Il portavoce dell'esercito israeliano, alla radio, avrebbe affermato che l'uccisione degli egiziani non è stata intenzionale, assicurando che le forze di sicurezza egiziane non sono coinvolte negli attentati di Eilat.

Chiaramente, e indipendentemente da quale versione sia più vicina alla verità, la notizia dell'uccisione dei tre egiziani (nel pomeriggio sono girate notizie di altri soldati morti, in altri incidenti poco chiari) ha provocato una reazione dura e compatta della popolazione egiziana. La condanna nei confronti di Israele è stata unanime. Dai liberali agli islamisti, tutti hanno alzato la voce per chiedere una reazione forte. Anzi, c'è chi suggerisce che questo incidente diplomatico sia giunto a proposito per il Consiglio Militare, perché capace di ricompattare il paese - attualmente diviso sull'ipotesi di uno stato civile o religioso - sotto la propria guida. E magari si potrebbe protrarre la durata del governo militare, con il pretesto di una situazione di emergenza ai confini...

In effetti, il Consiglio Militare è duramente sotto accusa, sia per l'assenza di informazione trasparante su quanto sta succedendo in Sinai, sia per la scontata debole risposta a quella che è considerata un'ulteriore umiliazione da parte di Israele. Migliaia di persone di tutti i colori politici sono scesi in piazza, a manifestare davanti all'ambasciata israeliana per chiedere la cacciata dell'ambasciatore.

E dopo ore di protesta è arrivata la reazione ufficiale del governo egiziano. Inizialmente, si è parlato del ritiro dell'ambasciatore da Tel Aviv (notizia data anche dai mass media italiani), ma poco fa il governo ha fatto una clamorosa marcia indietro, con una pesante figuraccia di fronte all'opinione pubblica che, per una volta, si era illusa: l'Egitto non ha richiamato il proprio ambasciatore, ha soltanto convocato quello israeliano; il testo della dichiarazione del governo in cui se ne dava l'annuncio era solo una bozza.

Pare ovvio che il Consiglio Militare e il governo si trovino pizzicati tra la furente domanda popolare di informazione e giustizia, e le pressioni internazionali, probabilmente americane. I militari si barcamenano come possono, solo che questa volta la pazienza degli egiziani è davvero colma. Alcuni ragazzi di Tahrir, tuttavia, commentano che tali incidenti, cioè l'uccisione di militari egiziani da parte degli israeliani, sono sempre successi. Anche la rappresaglia su Gaza non è una novità, anzi i raid erano già in corso da una settimana, prima degli attentati di Eilat. In tutte queste occasioni, l'Egitto non ha mai alzato la voce in maniera efficace. Dunque, si chiedono i ragazzi, che c'è di nuovo? Finirà tutto in una nuvola di fumo, come sempre. Ciò che è cambiato, tuttavia - ed è ciò che personalmente mi preoccupa - è il sentimento degli egiziani, che ora si sentono più forti di quel che siano in realtà. La rabbia repressa e la frustrazione, prima o poi, si sfogano. Ed è veramente triste che, per evitare escalation peggiori, si debba sperare in un ritorno alla "normalità", con la sottomissione dell'Egitto ogniqualvolta subisca una violazione dei propri diritti, mentre i civili di Gaza pagano il prezzo più alto di tutti.  


Flagman e la mancata reazione del governo egiziano alle violazioni di Israele (news n. 159)

continua la crisi diplomatica tra Egitto e Israele. Ieri è giunto il rapporto delle forze di pace delle Nazioni Unite dispiegate in Sinai, con il compito di controllare che non siano commesse violazioni del trattato di Camp David da entrambe le parti, che ha contribuito a fare un po' di chiarezza sull'uccisione dei militari egiziani. Il rapporto afferma che le forze ONU non sono state testimoni di nessuna infiltrazione entro i confini egiziani da parte di palestinesi armati. Sono state invece testimoni dello sconfinamento di militari israeliani, che hanno aperto il fuoco sugli egiziani (non si sa perché, il rapporto si limita a raccontare i fatti nudi e crudi). La sparatoria è avvenuta interamente in territorio egiziano. Dunque, Israele avrebbe commesso due violazioni del trattato di Camp David in un colpo solo. L'ironia è che era stato Israele, non tanto tempo fa, a invitare l'Egitto post-rivoluzionario a rispettare il trattato di pace. Ma c'è chi dei trattati internazionali può fare carta straccia e chi non può.

E di fronte a tali novità, il governo egiziano rimane in panne, intrappolato nella vicenda quasi kafkiana del ritiro dell'ambasciatore da Tel Aviv. Mentre i giornali di tutto il mondo ne hanno dato notizia, la verità è che il richiamo dell'ambasciatore, finora, non è avvenuto. E' stato confermato e poi smentito più volte. Stessa nebulosità esiste a proposito delle scuse di Israele. Ci sono state oppure no? Il ministro della difesa israeliano Ehud Barak si è detto dispiaciuto per l'uccisione dei militari egiziani, ma il dispiacere (in arabo asaf) è altra cosa dalle scuse (i'tiraf). Qui entrano in gioco anche problemi di traduzione, tuttavia le presunte scuse di Barak sono avvenute solo oralmente, niente a che fare con scuse ufficiali e formali. L'Egitto ha detto che non basta, ma si è fermato qua, irritando ancora di più la popolazione egiziana.  

Pertanto, nella notte, gli egiziani hanno deciso di far pervenire a Israele la propria personale protesta. Verso le due di notte, un giovane è salito sul tetto dell'ambasciata israeliana e ha sostituito la bandiera di Israele con quella egiziana. Ahmed Shahat, così si chiama il ragazzo, ha atteso il cambio di guardia davanti all'ambasciata, poi si è arrampicato sull'edificio vicino, tra le urla di incitazione della folla, radunata lì sotto da quasi due giorni. Ha scalato a mani nude 13 piani (qualcuno dice 21!). A metà della scalata, è saltato sull'edificio dell'ambasciata. In realtà, all'ottavo piano ha incrociato un poliziotto che avrebbe potuto fermarlo, ma questo l'ha lasciato andare, facendogli segno con il pollice alzato. Una volta in cima, ha afferrato la bandiera israeliana tra le urla giubilanti del pubblico e al suo posto ha messo quella egiziana. Infine, è tornato giù. A metà strada, una donna gli ha offerto di entrare dal balcone per riposarsi un po', quindi è sceso in ascensore. In basso lo aspettava un'accoglienza festosa. Contemporaneamente all'impresa di Ahmed Shehat, il sito web di una radio israeliana è stato colpito da un gruppo di hacker, che l'hanno coperto con una bandiera egiziana.

Ahmed Shehat - che, come si è scoperto in seguito, è lo stesso giovane divenuto famoso per esser salito in punta al lampione più alto di piazza Tahrir, sempre sventolando la bandiera - è diventato una star in poche ore. Questa mattina, aprendo i giornali arabi, Twitter e Facebook, ho trovato sue foto, video e interviste dappertutto, oltre alla vignetta che vi allego. Flagman, l'hanno soprannominato, con un chiaro riferimento all'uomo ragno, ossia Spiderman. Una battuta che ha circolato ovunque diceva: "Prima della rivoluzione camminavamo rasente i muri, ora ci arrampichiamo sopra".

L'apprezzamento per l'impresa di Ahmed Shahat è stato veramente generale, dando sfogo a una piccola parte della frustrazione provata dagli egiziani per la mancanza di una reazione dignitosa nei confronti di Israele da parte di Consiglio Militare e governo. Il messaggio che gli egiziani hanno voluto dare è stato proprio questo: se il nostro governo non fa nulla, si sappia che l'Egitto ora è cambiato e saremo noi a prendere l'iniziativa. E' un messaggio valido anche per i militari al governo, naturalmente, i quali, in effetti, qualcosa hanno recepito. Non si può non notare, infatti, che la manifestazione davanti all'ambasciata israeliana questa volta non è stata repressa, come quella di qualche tempo fa, con idranti e gas lacrimogeno, nonostante in questo periodo i militari non abbiano lesinato le botte. L'esercito sa che, questa volta, dietro ai pochi manifestanti c'è tutto il paese, al quale deve almeno concedere di esprimere la propria collera.

Eppure, la famosa pagina "Siamo tutti Khaled Said", dopo l'iniziale entusiasmo per l'azione di Ahmed Shahat, oggi si è chiesta: "è meglio esultare per essere riusciti a rimuovere la bandiera israeliana dall'ambasciata oppure fare ogni sforzo perché a novembre si tengano elezioni trasparenti e democratiche, affinché l'Egitto diventi forte abbastanza per far valere i propri diritti?". Sì, pur capendo la rabbia degli egiziani, la penso anch'io così, perché come dicono i versi del poeta Farouq Shusha, pubblicati ieri sulla pagina del Movimento 6 Aprile: "Tra la guerra che nessuno vuole e il silenzio che non soddisfa nessuno, c'è molto che può essere fatto".


tra il risentimento verso Israele e le speranze per la Libia (news n. 160)

non ci sono grandi novità a proposito della crisi del Sinai, le relazioni con Israele sono sempre abbastanza tese. L'ambasciatore non è stato ritirato ed è quasi

{ Pubblicato il: 29.08.2011 }




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