stefano amoroso
Nessun commentoLa realtà, infatti, è che a partire dal 13 agosto l’Italia è fallita. L’improvviso e grave peggioramento del malato italico si era verificato sin da luglio, in occasione della prima tempesta finanziaria che aveva colpito il nostro Paese, oltre ad altre economie periferiche d’Europa. Allora si decise di varare in fretta una manovra che avrebbe dovuto tamponare le perdite, a suon di ticket sanitario da far pagare ai cittadini (con inevitabili ricadute sui ceti popolari), tagli ai trasferimenti agli enti locali, super-bollo sui SUV (il che presumibilmente avrà effetti depressivi sull’intero mercato automobilistico) e così via.
In altri momenti storici questo dissanguamento dei consumatori e cittadini, a suon di aumenti di tariffe e diminuzione di servizi, avrebbe forse prodotto gli effetti sperati. Ma questa volta non è andata così: le già deboli prospettive di crescita mondiale sono rapidamente crollate, provocando il declassamento del rating del debito degli Stati Uniti, del Giappone e probabilmente di altri Paesi del G-7 in futuro, presumibilmente Francia e Gran Bretagna in primis. A questo punto non c’è stato più nulla da fare per la già disastrata economia italiana, che presenta tassi tendenziali di crescita ancora più bassi della media, sia in ambito UE, che Eurozona o G-7.
Ed è stata la mancanza di prospettive di una robusta crescita per il prossimo futuro, più di qualunque altra cosa, ad aver convinto gli obbligazionisti, e tutti coloro che hanno in portafoglio titoli di debito del sistema Italia, che non era il caso di proseguire l’accanimento terapeutico, e dunque il paziente andava abbandonato al suo destino.
Adesso che finalmente se n’è resa conto, buon ultima, anche la nostra classe politica, si tratta di voltare pagina e pensare al futuro, che inizia già oggi. E l’oggi comincia con un Paese sotto tutela, indubbiamente. Che la tutela sia svolta dalla BCE e dalla UE, però, è rassicurante, per vari motivi. Innanzitutto perché noi stessi siamo parte di questa struttura sovra-nazionale, che abbiamo contribuito a costruire, e quindi non saremo soggetti eccessivamente alla volontà altrui. E poi perché in Europa sta finalmente aumentando la consapevolezza che, senza una maggiore integrazione politica, economica e finanziaria (ma soprattutto politica), non si va da nessuna parte. E alla fine i risultati del mix di nazionalismo fiscale ed europeismo monetario rischiano di essere dannosi soprattutto per le economie più forti e virtuose, a cominciare dalla Germania.
È evidente, tuttavia, che l’Italia deve gestire il suo fallimento economico con saggezza e lungimiranza. E, a tal fine, serve soprattutto una nuova classe dirigente non solo in politica, ma anche nella Pubblica Amministrazione, alla guida delle grandi imprese (come predica in solitario, da anni, Sergio Marchionne) e delle Regioni. Perché nel frattempo, se qualcuno se lo fosse dimenticato, l’Italia è diventata un Paese federale, e come tale andrà gestita la Terza Repubblica appena nata.
Le responsabilità del fallimento del Paese sono tante, diversamente pesanti e diversamente distribuite tra gruppi di potere, partiti politici, lobbies, e singoli attori della nostra scena pubblica, almeno degli ultimi 40. Infatti non v’è chi non rilevi che i mali dell’Italia affondano spesso nel lontano passato. Le colpe sono tante e i colpevoli, alcuni dei quali non più in vita (ma non per questo da assolvere), molti, come dicevamo. E sicuramente sarà compito degli storici e dei commentatori più acuti quello di discernere tra caso e caso, assolvere i (pochi) dirigenti che hanno tentato, spesso in perfetta solitudine, di far cambiare rotta al Paese, e condannare i (tanti) colpevoli. Questo andrà fatto, sicuramente e doverosamente.
Tuttavia, in questo momento, è prioritario che il nuovo nato non finisca subito nell’incubatore per insufficienza cardiaca, come accadde alla sfortunata Seconda Repubblica: affinché cresca bella e forte, è necessario che la nuova Italia raggiunga al più presto il pareggio di bilancio e soprattutto lo mantenga nel tempo. Il primo obiettivo è abbastanza facile da raggiungere, specie se si presta più ascolto ai consigli della Banca d’Italia e meno a Bossi, il secondo è più complicato e probabilmente servirà qualche sculaccione da parte del tutore europeo, ma insomma non è niente di trascendentale.
La vera sfida, tuttavia, al netto delle polemiche, è riprendere al più presto, e con grande decisione, il cammino della crescita. E questo si può fare solo se si chiude definitivamente con le vecchie corporazioni professional-sindacali che hanno contribuito in maniera rilevante a portarci nel disastro attuale, si dà ascolto, finalmente, ai tanti Marchionne che ci sono in giro per il Paese, si investe decisamente sui giovani, le alte tecnologie e lo sviluppo. Appena la bufera sarà passata, poi, è vitale che si riprenda decisamente la via delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, per dare fiato ed ossigeno alle nostre povere casse statali, e un ulteriore impulso alla crescita .
Tutto il resto, a cominciare dalla pur necessaria nuova legge elettorale, è, come si dice in linguaggio matematico, condizione necessaria, ma non sufficiente, alla realizzazione dell’obiettivo voluto.
{ Pubblicato il: 07.09.2011 }