andrea bitetto
Nessun commento[commento a un articolo-denuncia di pierfranco pellizzetti contro i falsi liberisti d'oggi a nome dei veri liberisti di ieri, pubblicato sul n. 190 del mensile Critica liberale]
Caro Pierfranco, ho letto l’atto di denunzia-querela da Te stilato contro i Neo-Lib. Per parte mia Ti rendo piena confessione e, se del caso, Ti prego di far estendere le indagini anche nei miei confronti.
Ora, se c’è una cosa sulla quale si può convenire – sulla base dei fatti – è che l’Italia non sia stata vittima di una rivoluzione Manchesteriana o Thatcheriana. Il nostro è stato un esperimento notevole di socialismo clientelare ed irresponsabile. Ovvero, capace proprio perché anticoncorrenziale ed anticompetitivo di socializzare perdite e privatizzare profitti. Convengo sul fatto che le privatizzazioni siano state monche. Ma ciò è avvenuto non per colpa dei Giavazzi & C. ma perché le si è attuate in stato di necessità, dopo decenni di cultura aliena alle regole di una economia competitiva e quindi insensibile alle necessarie correzioni antitrust. Insomma, più una scorciatoia per tentare di ripianare il debito che non una scelta strategica.
Quanto alla chiamata di correo del prof. Treu o di Ichino, trovo francamente incomprensibili le imputazioni. Oggi, si legge finalmente il documento a firma Draghi e Trichet: coerenza vorrebbe che anche l’ottimo Governatore Draghi venga iscritto nel registro degli indagati.
Ma la questione è altra: prima che venisse approvato il pacchetto Treu (d. lgvo 196/1997) la trimurti sindacale – e soprattutto i ferri vecchi della CGIL – presagivano scenarii apocalittici, con morti per le strade, strazi e indicibili sofferenze per la rottura del monopolio pubblico nel collocamento. Onestà vorrebbe che si pensasse a come quegli uffici funzionavano, e funzionano. Resto convinto che per i sindacati italici è meglio avere il 13 % di disoccupati e i propri iscritti ultra tutelati che ridiscutere l’assetto delle garanzie (Ichino).
Ed ancora. Come è possibile dar credito alla storiella dell’art. 18 St. Lavoratori? Il divieto di licenziamento per giusta causa è affermato da una legge diversa e precedente, la 604 del 1966. La differenza è che lo statuto dei lavoratori munisce il licenziamento illegittimo di una sanzione (la reintegra nel posto del lavoro) assolutamente surreale, mentre la precedente legge limita la tutela ad un risarcimento del danno (tutela reale v. tutela obbligatoria). I propugnatori della revisione dell’art. 18 parlano di rimodulazione delle tutele. Magari sarebbe corretto ricordare che i santoni della difesa dell’art. 18 non applicano, per deroga normativa, quella norma all’interno delle proprie organizzazioni sindacali.
Sono d’accordo con Te su un fatto: non si può essere liberisti a prescindere, come insegnava la lezione dei fatti di Luigi Einaudi (tanto per richiamarne la ricostruzione di Bobbio). Ma serve una buona dose di senso della realtà e di senso della storia. Il nostro paese il liberismo economico non lo ha mai nemmeno annusato – fatta salva qualche meritoria iniziativa. Ed ancora, lascerei perdere certe valutazioni categoriche: il liberista Einaudi passò alla storia (nella vulgata CGIL-Fronte Popolare) come un affamatore di popoli con le stretta creditizia del 1947. La Storia, con la maiuscola, insegna che quell’intervento monetarista ante litteram domò l’inflazione. Con beneficio di chi il pane lo comprava contando i soldi…
Ho la sensazione che si continui a sopravvalutare il peso degli opinion makers da Te denunziati. Dimenticando, invece, la vischiosità dell’armamentario retorico e demagogico frutto della cultura sindacale italiana.
Per parte mia, dichiaro la mia reità. Mi riservo solo la licenza di poter ricusare l’immaginario Collegio – composto da qualche vecchio demagogo sindacale – e la pubblica accusa, nella quale vedrei bene Masaniello Di Pietro o qualche simile pifferaio.
Ti prego di trasmetter gli atti alla procura competente. Provvederò alla difesa per mio conto.
Tuo Andrea
REPLICA DI PIERFRANCO PELLIZZETTI
Insomma, che c’entri tu con questi neolib che hanno offerto spudorate coperture ideologiche alla finanziarizzazione del mondo e avvalli teorici a operazioni predatorie di accaparramento dei beni pubblici, contrabbandate per liberalizzazioni/privatizzazioni?
Del resto, nell’autodafé di cui sei autore trovo soltanto l’onesta riproposizione di una tua costante idiosincrasia: quella per il sindacato, reo di aver burocratizzato/corporativizzato la società nazionale. Ma – ti chiedo – è sua responsabilità esclusiva?
A differenza di te, nutro un certo rispetto per le funzioni svolte dalle organizzazioni dei lavoratori in una società liberal-democratica e una grande comprensione per il ruolo che svolgono. In particolare, il loro dover operare sul crinale ambiguo in cui la rappresentanza del dissenso di una parte sociale si coniuga con le funzioni integrative di tale dissenso nei processi decisionali istituzionalizzati (vertenzialità). Anche a mezzo dell’irrigidimento del fattore lavoro, visto che altri lavorano per flessibilizzarlo nella precarizzazione. Si chiama cultura dei diritti”; e nel non lontano passato ha svolto compiti importanti per l’inclusione di larghi strati della società nella cittadinanza.
Semmai io critico gli attuali processi di imborghesimento delle nomenklature sindacali, in larga misura componenti a pieno diritto della corporazione trasversale del potere (vulgo “Casta”), diventando persino “caporalato del consenso” (la CISL di Bonanni e la UIL di Angeletti. E sulla Camusso sospendo il giudizio, per ora).
Per queste ragioni ti invito a ritirare l’autodenuncia succitata, dichiarandomi pronto a una ricomposizione bonaria dei nostri dissidi per via extragiudiziale. Un abbraccio. Pierfranco
{ Pubblicato il: 30.09.2011 }