federico orlando
Nessun commento[calderoli, che ha spergiurato sulla costituzione pur di essere nominato ministro]
Si chiama istigazione a delinquere quella rivolta dall’onorevole Roberto Calderoli, ministro per la semplificazione, a Flavio Tosi, sindaco di Verona, la più importante città d’Italia amministrata dalla Lega. Da molto tempo Tosi manifesta il malessere suo e di tanti leghisti per la “delegazione” romana della Lega che, in carenza di risultati federalisti, ha solo tenuto in piedi la baracca di Berlusconi e lucrato per la cricca o, in gergo leghista, “cerchio magico”. Ieri Tosi, interpellato a Radio 24 sul secessionismo di cui Bossi è tornato a parlare, ha sorriso di questa recita a soggetto, dicendo che «il secessionismo è filosofia, ma i problemi del paese restano». Nell’affermazione confluiscono l’amarezza del sindaco che non riesce più a mettere insieme il pranzo con la cena per i suoi concittadini e l’amarezza dell’italiano che, come il vicesindaco di Treviso Gentilini, ha manifestato il suo patriottismo nei 150 anni dell’Unità. I bene informati parlano di frattura fra Lega primigenia (Liga Veneta) e Lega lombarda (Lega Nord), problema che si somma alla frattura fra maroniani e bossiani, tra cerchio magico e apertura mentale.
A noi tutto questo non interessa. A noi interessa che un signore d’aspetto boscaiolo, che da ministro della repubblica giura nelle mani del capo dello stato di essere fedele alla Costituzione della repubblica «una e indivisibile», osi dirsi «amareggiato» per le affermazioni di Tosi: «Le quali contrastano apertamente con finalità previste dall’articolo1 del nostro statuto; finalità che Tosi, come vecchio militante, dovrebbe ben conoscere e soprattutto rispettare».
Cosa dica questo statuto i lettori di Europa lo sanno benissimo, perché sono almeno due anni, da quando sosteniamo l’iniziativa di Bianchi-Sciarelli e altri sulla incostituzionalità della Lega, che ne parliamo ogni settimana. Comunque dice: «Il Movimento politico denominato Lega Nord per l’indipendenza della Padania (…), costituito da Associazioni politiche, ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale repubblica federale indipendente e sovrana». Come il Kosovo.
Cioè il ministro della repubblica «una e indivisibile» è rammaricato che il sindaco di Verona definisca «filosofia» la frantumazione dell’Italia sia pure «con metodi democratici». Subito dopo, l’articolo 2 ci informa che «il Movimento è composto dalle seguenti sezioni nazionali: Alto Adige-Sud Tirol, Emilia, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Romagna, Toscana, Trentino, Umbria, Valle d’Aosta-Vallée d’Aoste, Veneto.
Dunque la repubblica federale padana si porterebbe via dall’Italia 13 nazioni, lasciando il Lazio al papa-re e il Sud a qualche principe borbonico o presidente di una o più repubblichette acquatiche.
Almeno Giancarlo Miglio, che era “filosofo” ma pensante, aveva individuato la via soft per “liberare” il Nord dal resto della penisola: le tre “macroregioni” , da lui battezzate Padania, Etruria e Sud (si noti il disprezzo razzista di quest’espressione geoetnografica). Tre macroregioni che la pratica dell’autogoverno avrebbe allontanato una dall’altra come lastre della banchisa in scioglimento, mandando il Sud a sbattere sul Maghreb.
Eppure già allora, nonostante l’autorità di Miglio, preside di scienze politiche alla Cattolica e presidente del Gruppo dei costituzionalisti di Milano, qualche magistrato si ricordò dell’articolo del codice penale sull’attentato all’integrità e alla personalità dello stato, punito con l’ergastolo. Si chiamava Guido Papalia ed era procuratore della repubblica a Verona. La cagnara leghista contro il lealismo costituzionale del magistrato, il silenzio vigliacco dei politicanti che si astennero quasi in blocco dal sostenere il funzionario «pignolo», la mancanza di titoli morali di un regime che era sprofondato nelle tangenti, lasciarono cadere un po’ alla volta il richiamo di Papalia alla legalità. Dopo, non ne vennero altri. Anzi, i presidenti di camera e senato hanno sempre consentito che in pieno parlamento, alle porte dei gruppi leghisti, si collocassero lapidi come “Gruppo parlamentare della Lega Nord per l’indipendenza della Padania”. Nessun tribunale ha osato sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale; nessun governo di destra ha mai detto una parola non in generica difesa dell’unità ma in esplicita condanna della sua rottura; nessun gruppo politico ha infiammato le piazze contro la divisione del paese.
Forse s’é sperato che questi comportamenti addormentassero il fondamentalismo.
Ma il fondamentalismo, laico o religioso, è una mala bestia, che si risolleva quando può mordere; e così ha fatto Bossi. Finché ha sperato di portare a casa un federalismo a suo modo concreto, ha fatto il saggio; quando ha visto gli elettori ribellarsi al nullismo del governo Berlusconi, ha cercato di placarne la rabbia rilanciando il miraggio, l’articolo 1 dello statuto. Non del tutto inattesa, salvo per la durezza, la replica di Giorgio Napolitano: che ha ricordato a chi volesse provarci quando l’Italietta del 1945, a guerra non ancora finita, contestò con le armi la richiesta dei separatisti siciliani alla costituenda Onu (31 marzo) di ammettere la Sicilia indipendente; combatté contro l’Evis (esercito volontario per l’indipendenza siciliana) sbaragliandolo e uccidendone il comandante Antonio Canepa, ne mise in galera i capi politici Finocchiaro Aprile e Varvaro, l’anno dopo eletti all’assemblea costituente, ma ormai rabboniti. Col trattato De Gasperi-Grueber e poi con le armi tacitò l’”autodeterminazione” in Tirolo. Si può spiegare con lo stordimento di questi richiami e con la paura che la ragionevolezza riconquisti la maggioranza dei leghisti, lo sbandamento di Calderoli & C.
Ora però è la politica che deve fare la sua parte. Anche la politica di centrosinistra, che deve recuperare quel che di buono c’era nella sua riforma costituzionale del 2000 “spinta ai limiti del federalismo”: debellare le protervie burocratiche ancora resistenti nella repubblica, e dare alle popolazioni, non solo padane, lo stato moderno. Che non è “filosofia”, ma è lo stato come esiste al di là delle Alpi.
[da Europa, 4 ottobre 2001]
{ Pubblicato il: 04.10.2011 }