Valérie Duval-Poujol
Nessun commentoin chiusura del Sinodo dei vescovi sul tema della famiglia l'Agenzia stampa NEV ha intervistato, per il quotidiano online Riforma.it (www.riforma.it), Valérie Duval-Poujol, teologa battista, unica donna degli otto "delegati fraterni" presenti al Sinodo.
Qual è stata la sua impressione del Sinodo?
Tre cose mi hanno colpita. Innanzitutto mi sembra che sul Sinodo abbia soffiato nuovamente lo spirito del Vaticano II, soprattutto nella dimensione della collegialità. In secondo luogo è stata data molta importanza al testo biblico. Per esempio la questione della parità tra uomo e donna è stata affrontata proprio a partire dalla Bibbia. Infine la vicinanza del papa nel corso delle due settimane di lavoro si è sentita molto. Era presente ogni giorno, prendendo appunti. Arrivava per primo in aula e accoglieva ogni giorno i sinodali. Ha preso il caffè con noi; ho parlato con lui in ascensore. Abbiamo parlato dei battisti. Sapeva bene chi ero perché ho preso la parola al Sinodo, col mio intervento previsto nell'ordine dei lavori. Ha chiesto che i cristiani tutti preghino per il Sinodo e per lui, e questo è importante. Il Sinodo, nel suo insieme, è stato per me un'esperienza di vita unica per capire i miei fratelli e le mie sorelle cattoliche.
Com'era il programma giornaliero di lavoro?
Ogni giorno alle 9 cominciava la giornata di lavoro, lettura in latino. La prima settimana abbiamo sentito gli interventi di tutti i padri. 4 minuti a testa. Scaduti i minuti si staccava il microfono. Alla fine della settimana anche i “delegati fraterni” hanno avuto 4 minuti a testa. I padri del sinodo rappresentano le nazioni, e ognuno ha presentato le questioni fondamentali sulla famiglia. Per esempio: “nella mia nazione la questione è la poligamia, nella mia i divorziati”. Un'ora di discussione alla fine del giorno sulle presentazioni tenute, dove era possibile dibattere su ciò che era stato detto durante la giornata. Tutti insieme.
Si ritrova nella definizione di “delegata fraterna”?
Mi piace il nome che ci hanno dato, “delegati fraterni”. È nuovo, perché nel Vaticano II eravamo “osservatori”, ma negli ultimi tre o quattro Sinodi siamo “delegati fraterni”, il che dice molto. Nonostante come protestanti ci sia ancora negata la definizione di chiese – per il cattolicesimo siamo solo “comunità” - con questa definizione l'accento è messo sul fatto di essere “fratelli e sorelle”.
Sa quante chiese e quali confessioni sono state invitate?
Non tutte le confessioni sono state invitate, perché trattandosi di un Sinodo straordinario i numeri sono limitati. I cristiani non cattolici erano 8. Erano tutti vescovi, poi c'ero io, donna, laica insegnante di teologia. Il Vaticano, tramite il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, e il suo presidente, il cardinale Koch, ha mandato gli inviti ai leader delle chiese con le quali il dialogo prosegue da decenni. Il posto assegnatoci in aula era subito dietro i cardinali e prima dei vescovi. La posizione stessa ha significato la nostra partecipazione attiva. Non ci hanno messo in una zona nascosta, ma il significato era “siete parte integrante di questo Sinodo”.
Quante donne tra i non cattolici?
Solo io. C'erano auditores e molte coppie. Otto donne nelle coppie e sei auditores. 15 donne su 250 partecipanti. Si può criticare i cattolici per questa sproporzione, ma diamo anche un'occhiata ai delegati fraterni! Le chiese non cattoliche hanno tutte delegato uomini. E quando partecipo alle assemblee protestanti, spesso i presenti sono per lo più uomini. La questione di genere esiste, ma per tutte le chiese.
Com'è stata la discussione nei gruppi sulla pluralità delle famiglie?
C'è solo un modo di essere famiglia! I vescovi ne promuovono una ideale, e incoraggiano tutte le altre ad avvicinarsene. La dottrina della chiesa cattolica non è cambiata e non è in discussione. Ciò che c'è di nuovo nel Sinodo è semmai l'atteggiamento pastorale, come si è chiamati a stare con gli altri. Nel documento discusso la questione era formulata come una domanda: “sappiamo accogliere”? C'è stata molta discussione nei gruppi, intensa e pastorale. Molti dei vescovi hanno condiviso le parole, i sentimenti, le sofferenze della gente.
Come crede che evolverà questa riflessione, sulle tematiche affrontate, se infine la parte conservatrice della chiesa cattolica si sentirà tagliata fuori?
Nell'ecclesiologia cattolica ci sono due cose importanti: il papa, che è l'autorità più alta. Se cerca di guidare la chiesa, bisogna in qualche modo seguirlo. D'altra parte si ha la reazione delle persone, e il papa vuole che la discussione generale porti a far coincidere le aspettative della chiesa con le aspettative della gente. Durante il prossimo anno le persone potranno riflettere e esprimersi.
Cosa succede se una parte non riuscirà ad accettare queste aperture?
Questa è la sfida di quest'anno. Non lo possiamo dire ora. Credo che tutti abbiamo un ruolo da giocare. Anche noi come protestanti abbiamo la nostra parte: pregare. Quando un membro del corpo soffre, tutto il corpo soffre; così quando un membro del corpo riflette, tutti riflettono. E io credo che noi siamo il corpo di Cristo, e che tale riflessione sia qualcosa che riguarda anche noi protestanti. Invito quindi tutti i protestanti a unirsi a tale preghiera.
Bella questa visione ecumenica, di un unico corpo. Come sta procedendo l'ecumenismo? Sta cambiando qualcosa?
C'è la questione dei matrimoni misti, cattolici e protestanti, per esempio, in discussione. Questo può essere un primo cambiamento per l'ecumenismo. Ma più in profondità credo che ogni volta che una chiesa è rinnovata in Gesù Cristo, si converte in Gesù come chiesa, come corpo, tutto insieme. Quindi ci porta tutti ad essere qualcosa di nuovo.
Cosa porta con sé, nella sua chiesa?
La mia Bibbia, intende? Senz'altro! Poi la riflessione che sia necessario per la chiesa cambiare linguaggio, accertarsi che le persone capiscano cosa la chiesa dice. Non cambiare il Vangelo, ma, e questo lo facciamo come protestanti, l'essere attrezzati per il mondo. Loro ci stanno provando, e noi dobbiamo incoraggiarli. E' quello che ho detto nel mio discorso, abbiamo in comune il desidero di aiutare la vedova e l'orfano, e la missione della parità tra uomo e donna. Porterò con me il fatto che stanno provando ad aprirsi sempre più, evangelizzare, come dice l'enciclica del papa “Evangelii gaudium”, portare la gioia dell'evangelo. E' facile giudicare, dire chi è giusto e chi è sbagliato, stanno provando a superare questa impostazione: “chi sono per giudicare?”, ha detto il papa di recente. Questo mi porto dietro, il tentativo di cambiare in questa direzione.
[a cura di Claudio Paravati - NEV, 22 ottobre 20014 ]
{ Pubblicato il: 23.10.2014 }