enzo marzo
Nessun commento
Questo è solo uno schema di discussione che vuole proporre, senza alcuna pretesa scientifica, un diverso approccio politico alla questione della crisi della democrazia, gravissima nel nostro paese ma percepibile in tutto il mondo occidentale. Le singole proposte attuative di questo approccio sono certamente non esaustive ma puramente indicative di un percorso preciso di democratizzazione.
Premessa
La discussione sulla democrazia è destinata a non spegnersi mai. Così come è continua la trasformazione del rapporto tra lo Stato moderno e i cittadini. Ugualmente mobile è il concetto stesso di politica. Chi ha cercato di stringere all'essenziale e all'irrinunciabile le caratteristiche di un regime democratico ha indicato almeno tre requisiti formali. Se la democrazia è, come sostiene Bobbio, « un insieme di regole che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure», due sono i princìpi fondamentali: “il suffragio (più o meno) universale” e il “principio di maggioranza”. A questi due Bobbio aggiunge un terzo, ovvero che «i cittadini siano posti di fronte all'alternative reali» e «siano messi in condizione di poter scegliere tra l'una all'altra». Da qui discendono le garanzie per tutti i “diritti di libertà” e “lo stato di diritto”, il quale può essere fortemente limitativo del principio di maggioranza in nome dei diritti inviolabili dell'individuo. Come si vede, anche il formalista Bobbio accoglie delle regole preliminari che non sono propriamente regole del gioco ma sono quelle che permettono un più regolare svolgimento del gioco. Si delinea così una “democrazia formale”, che è presa in considerazione appunto solo dal punto di vista della sua forma, ma a questa si è affiancata col tempo la proposta di una “democrazia sostanziale”, che evidenzia la necessità di politiche egualitarie per dare appunto “sostanza” alle regole del gioco. Questo dibattito ha molto influenzato la scrittura delle costituzioni novecentesche, tra cui la nostra che ha introdotto norme “sostanziali” come, per esempio, l'articolo tre. La diatriba tra formalisti, attenti alle procedure democratiche, e sostanzialisti, che ritengono necessario l'accoglimento dei diritti sociali, forse è solo un malinteso. I sostanzialisti insistono sulle politiche egualitarie e sulla spesa sociale perché giustamente ritengono che la decisione dei cittadini è troppo influenzata dalle condizioni di vita di ciascuno. Hanno ragione, ma le loro ragioni li portano a voler costituzionalizzare (cioè decidere una volta per tutte) ciò che non è altro che una opzione politica, che come tale rientra, e deve rientrare, nel dibattito e nello scontro tra le differenti scelte politiche. Perché sicuramente si può essere democratici anche se si è in disaccordo sulle politiche più accentuatamente sociali. Quindi per correttezza logica attestiamoci sulle regole del gioco e non mescoliamole con il gioco e i suoi schemi. La democrazia regola la competizione, dunque. Ma i modi di regolamentazione sono molteplici e numerose le sue interpretazioni. Per questo motivo, piuttosto che trattare di un’astratta democrazia, è più corretto discutere del “processo di democratizzazione”.
PRIMA PARTE
I tre principi fondamentali, e corollari
1) Alla base della democrazia resta a) il suffragio universale, e quindi b) la rappresentanza. Purtroppo vediamo risorgere a ogni nuova generazione, e ancora oggi, il mito irrealistico della democrazia diretta e dell'autogoverno. Ci si intestardisce a voler conciliare la democrazia con riti assembleari che portano inevitabilmente alla sudditanza verso il potere carismatico e alla manipolazione delle volontà. Il principio della rappresentanza in una società sempre più complessa e articolata si impone sia per praticità sia per attenuare i danni provenienti dall'incompetenza e dalla propaganda. Anche se dobbiamo tener presente che lo stesso problema si pone per i rappresentanti come per i rappresentati.
2) Il principio di maggioranza, lo Stato di diritto e la separazione dei poteri. Lo Stato moderno nasce dalla commistione tra il pensiero democratico e quello liberale. Il primo tese ad affidare il potere a tutti cittadini o comunque alla loro maggioranza. Il secondo, ben più consapevole dei danni che arreca il potere (anche il più democratico) sulla libertà degli individui, ha sempre cercato di escogitare strumenti che non si limitassero a spostare l'esercizio dei poteri da un soggetto all'altro (per esempio, dal monarca alla massa dei cittadini), ma che, non schiavi del c) principio di maggioranza, incidessero sul potere stesso, limitandolo, frazionandolo, separandolo. Quindi, d) lo stato di diritto disegna uno spazio in cui il potere (anche il più democratico e quindi affermativo del principio di maggioranza) non può entrare con le proprie decisioni.
3) Lo stato di diritto presuppone e) la separazione dei poteri.
Che fine hanno fatto questi principi fondativi della democrazia?
Una forza liberale oggi non può che dispiegare un'analisi impietosa dei regimi democratici attuali. La stessa virtuosa competizione tra proceduralisti e sostanzialisti ha avuto un certo valore quando per più di mezzo secolo il keynesismo liberale in mani socialdemocratiche ha permesso politiche sociali che hanno positivamente modificato in senso egualitario la composizione stessa delle società. Le politiche sono andate a coincidere spontaneamente con gli indirizzi di fondo di quasi tutti i paesi occidentali e hanno, tra l'altro, permesso di vincere lo scontro, armato e no, con i totalitarismi. Ma con la svolta neoliberista degli anni ‘80 i liberali e socialisti hanno perduto entrambi la loro partita. Le politiche sociali hanno subito un arresto, anche per una drastica riduzione delle risorse. Sconfitta per i socialisti, ma ancora più grave per i liberali, perché si è andato modificando proprio il rapporto tra lo Stato e i cittadini. I regimi democratici si sono quasi completamente svuotati dall'interno. Se si analizzano punto per punto i principi di base che abbiamo elencato or ora, si può constatare come i mutamenti politici abbiano inquinato
a) il suffragio universale sia con il sopravvento del leaderismo personalistico sia con l'accentuazione della demagogia e del populismo. Il populismo e la personalizzazione stanno distruggendo anche
b) il principio di rappresentanza. La scorciatoia demagogica sta bruciando tutti gli strumenti di collegamento tra rappresentati e rappresentanti, riducendo la scelta dei primi a vuoto rito periodico e a delega in bianco, e la funzione dei secondi a professione permanente non sottoposta al giudizio effettivo degli elettori ma di un Capo che ha in mano il loro destino. Il personale politico, scelto per lo più da un Capo-padrone o da una oligarchia ristrettissima, è inamovibile e servile. Quella che un tempo era definita classe politica oggi è casta votata alla difesa dei propri privilegi e alla propria auto conservazione. I danni sono evidenti. Il principale è la mediocrità, spesso addirittura imbarazzante, che coinvolge le maggioranze e le opposizioni, ma alla lunga il più micidiale è che è proprio il costituirsi in casta a generare e a regalare quotidianamente corpose giustificazioni a quell’antipolitica che confonde la degenerazione del sistema politico con la svalutazione dello stesso principio democratico, inducendola a generalizzazioni e a scorciatoie pericolose perché tutte fondate sull'approssimazione e sull'ignoranza.
I partiti politici nel secolo scorso avevano svolto la funzione essenziale di accorciare lo spazio tra governati e governanti, e si erano dimostrati uno strumento utile per limitare l'incompetenza e la manipolazione. Da allora hanno subito due degenerazioni. Prima, hanno voluto identificarsi sempre di più con lo Stato, e hanno così tradito i loro ruoli di mediazione tra elettore e governanti, di rappresentanza e di aggregazione di interessi ideali e pratici, di selezione del personale politico. Poi, hanno collassato riducendosi a puri e semplici canali della rappresentanza senza filtri né ideologici né valutativi. In Italia, sottomessi alla retorica, alla demagogia del personalismo, al professionismo politico portato all’estremo, non sono altro che strumenti antidemocratici. La mediazione è saltata, i rappresentanti - senza più deleghe di alcun genere - sono travolti dal trasformismo e gli elettori giustamente non si sentono più rappresentati, e almeno i migliori di loro consumano le loro forze politiche nella società civile, dove però si paga la frustrazione di potere solo far opera di testimonianza, o poco più, ma non d’incidere suo processi decisionali, se non molto indirettamente. È paradossale, ma è proprio così: in questi anni il più efficace fattore di cambiamento contro la stagnazione del personale politico è stato il consapevole assenteismo elettorale. Il “partito degli assenteisti” è da tempo il più numeroso e il più squisitamente politico, e raccoglie tutti coloro che non si sentono rappresentati sia a destra sia a sinistra dall'offerta politica esistente.
c) Il principio di maggioranza sta subendo - soprattutto in Italia - un'interpretazione radicale che passa attraverso la distruzione dello
d) Stato di diritto. ormai ridotto a un mucchio di macerie. Infatti è in rovina la sua funzione di garanzia delle minoranze, di affermazione della legalità, di salvaguardia degli istituti di democrazia. Il principio di maggioranza, senza il freno delle leggi, si rovescia in arbitrio, e il potere - invece di trovare limitazione – rafforza la sua arroganza e pretende l'onnipotenza anche di manipolare a proprio favore le norme elettorali, anche di legiferare a favore di una sola fazione, di una sola persona, persino di trasformare un criminale in un incensurato.
e) La separazione dei poteri. La confusione e l’accumulazione dei poteri sono la malattia mortale dei regimi democratici. Da tempo lo spazio pubblico è dominato da tre poteri: il potere politico, il potere economico e il potere mediatico. Il potere politico dello Stato-nazione si è molto indebolito, in parte suicidandosi con lo sciupio di legittimazione e con la squalificazione dei suoi canali istituzionali e di mediazione. Un colpo decisivo glielo ha inferto infine l'attuale internazionalizzazione. La politica è stata privata di gran parte di spazi decisionali, soprattutto in politica estera ed economica, da organi o agenzie sopra nazionali spesso solo tecnocratiche. Inoltre, con i suoi eccessi e i suoi corporativismi, ha delegittimato ogni strumento di giusta difesa (per esempio il finanziamento pubblico) della propria autonomia dagli altri due poteri. Oggi il potere politico è condizionato, anche nelle sue forme rappresentative, dal potere economico. Il peso del denaro è determinante sui processo di formazione dei governanti e condiziona fortemente tutti i momenti decisionali. D’altra parte, gli ambienti economici hanno vissuto come un'ingerenza indebita l'intervento politico e burocratico sullo svolgersi della vita produttiva.
La condizione peggiore è vissuta dal potere mediatico, che in effetti è enorme e in via di estensione in diretto rapporto con l'aumento dell'alfabetizzazione e delle nuove capacità tecnologiche. Ma è un accrescimento fittizio, perché l'informazione è considerata dal mondo economico (che l’ha in possesso) soltanto come “merce” e come mezzo ulteriore per condizionare il potere politico, ed è vista dai vari segmenti del mondo della politica esclusivamente come strumento per condizionare a proprio vantaggio l'opinione pubblica. Entrambi questi poteri non tengono alcun conto del ruolo determinante che dovrebbe svolgere l'informazione nel complesso sistema democratico. Ruolo che, però, può essere svolto soltanto se autonomo e separato.
Un paradigma innovatore:per il superamento della democrazia deficitaria: non opporre la sostanza alla forma, ma rendere sostanza la forma.
Se questa è, come è, la condizione miseranda della democrazia, è paradossale voler addirittura esportare altrove questo modello marcio, per di più con i carri armati e non con l’esempio. Una forza politica liberale, prima di molte altre emergenze, dovrebbe porsi l'obiettivo di restaurare le regole che sono il fondamento dell'agire politico e la base del contratto di cittadinanza. Un illustre politologo, Dahl, ha cercato di accrescere il numero degli indicatori che rendono una democrazia veramente tale. Fedele a un punto di vista proceduralista, si è sforzato di indicare i fattori che egli considera necessari a un sistema democratico. Sono cinque: 1) partecipazione effettiva; 2) parità di voto; 3) diritto all'informazione; 4) controllo dell'ordine del giorno; 5) universalità del suffragio. Dahl avverte anche che nessuna democrazia realizza completamente questi cinque criteri e nota che dal 1950 solo 22 paesi hanno avuto un regime democratico ininterrotto. Forse questi criteri sono insufficienti, ma hanno il merito di far uscire il formalismo dalla sua scheletricità e ci suggeriscono una radicale riforma che ci piace intitolare: “non opporre la sostanza alla forma ma rendere sostanza la forma”.
La rinascita della politica non passa attraverso il ritorno al vecchio sostanzialismo, ovvero alle politiche sociali più ugualitarie (che comunque - siamo convinti - in una democrazia più effettiva avrebbero maggiori possibilità di affermazione), ma richiede la rimeditazione della democrazia formale. Se sul tavolo da gioco politico il barare è diventato la consuetudine, se le regole sono state svuotate e ridotte a riti di cui è riconoscibile solo il disegno esterno e superficiale, allora bisogna “dare sostanza alla forma”, Senza fuoriuscire dal proceduralismo, si deve avviare un serio processo di arricchimento delle regole del gioco, cui ora credono davvero in pochi. Per questo occorre ripercorrere tutto il processo democratico e proporre riforme che ne rendano effettivamente democratico ciascun segmento.
SECONDA PARTE
Il suffragio universale e la rappresentanza.
Se il suffragio universale è un dato acquisito, non si può risolvere tutto il rapporto dei cittadini con lo Stato in quell'unica occasione periodica di scelta dei propri rappresentanti, peraltro spesso in modi distorti, in Italia persino truffaldini. La partecipazione deve essere indiretta e diretta, e tra elettori ed eletti non deve esserci il vuoto attuale ma canali attivi di mediazione e di partecipazione. La linea da percorrere è antipersonalistica, antipopulista, antidemagogica, e si pone il fine dell'autonomia della politica e di una competizione non inquinata.
In questo momento storico in cui la maggior parte delle decisioni si sono spostate dal legislativo all'esecutivo, per il cittadino è sicuramente più importante decidere col suo voto direttamente lo schieramento di governo che preferisce. Da qui la necessità di un sistema bipolare (non bipartitico, che restringerebbe troppo il ventaglio delle scelte) raggiungibile con un metodo elettorale uninominale maggioritario a doppio turno (non con ballottaggio ma alla francese e quindi aperto alla contesa non solo dei primi due risultati ma tra quanti abbiano superato una certa quota) o meglio ancora in un solo turno ma con doppia indicazione di voto (in modo da attenuare il mercato dei voti da un turno all'altro). La doppia votazione garantisce il pluralismo e dà una reale valutazione della consistenza delle forze in campo.
Condannata come più non si può la possibilità offerta dal Porcellum ai capipartito di nominarsi parlamentari a proprio piacimento, va respinta la demagogia sul voto di preferenza che instaura di solito competizioni falsate dal denaro o da interessi illeciti. Così va rifiutata la demagogia del dimezzamento del numero dei parlamentari. Soltanto collegi ristretti di 80-100 mila elettori permettono un'effettiva scelta tra candidati conosciuti dall’elettorato e il contenimento dei costi nella campagna elettorale. Per evitare l'invadenza degli apparati dei partiti si prevede il divieto di presentazione di candidati non residenti nel collegio da un congruo periodo di tempo. Per bilanciare questa perdita di potere partitico si può ammettere il confronto tra liste uniche nazionali per non più del 20% dei seggi parlamentari. Non deve mancare la proibizione di candidature plurime, di candidature di eletti in altri organismi rappresentativi e di candidature che pongono in essere conflitti di interesse. Per testimoniare il valore del pluralismo politico si garantisce una presenza simbolica in parlamento alle liste che pur avendo raggiunta una quota elettorale superiore al 2% altrimenti non avrebbero eletti. Noi siamo per il monocameralismo; in via subordinata è preferibile conservare un bicameralismo tutto politico piuttosto che regalare una Camera al mercimonio di interessi locali. Come ultima subordinata si possono accettare le indicazioni contenute nella “bozza Violante” della XV legislatura con un Senato federale eletto in secondo grado a opera delle assemblee elettive regionali e dei consigli delle autonomie locali. Ma con quasi nulle competenze legislative.
Il parlamentare eletto, pena la decadenza, deve dismettere ogni suo impegno professionale, ogni doppio lavoro, e sospendersi dall'ordine professionale a cui eventualmente è iscritto. I magistrati eletti si dimettono dalla magistratura. Rifiutando ogni demagogia, e con la consapevolezza che la competenza, la responsabilità e la rilevanza pubblica dei loro doveri non sono certo seconde a quelle di un qualunque dirigente di grandi imprese, i parlamentari sono ricompensati adeguatamente ma con emolumenti onnicomprensivi, trasparenti, legati a parametri certi. Ugualmente, negli enti locali, dalla regione alla più piccola amministrazione comunale, si seguono criteri analoghi, e non si lasciano le decisioni in questo campo all'autogoverno. Sicuramente necessaria è l’anagrafe pubblica degli eletti in qualsiasi organismo pubblico.
La partecipazione. Dal partito personale al partito democratico.
Tra la rappresentanza istituzionale e la società civile ci sono i partiti. È urgente la definizione di uno statuto pubblico dei partiti, una sorta di statuto-quadro che offra garanzie di correttezza e di democraticità alla vita interna di ogni associazione politica. È inaccettabile che proprio il più rilevante canale di partecipazione politica sia del tutto estraneo alle regole dello Stato di diritto. Oggi in tutti i partiti non sono garantite le minoranze, non è garantito il processo di formazione dei gruppi dirigenti, non esiste alcun mezzo per opporsi all'eventuale violazione dei regolamenti interni. Assolutamente non trasparenti sono poi le scelte delle candidature elettorali, né i bilanci. Il passo determinante verso ciò che si può definire uno stato di vera illegalità è stato compiuto col passaggio dal partito oligarchico al partito del capo-padrone, il cosiddetto partito personale. Non crediamo che un'iniezione di democrazia e di trasparenza possa nuocere all'efficienza del partito. Anzi, oggi il partito, così come si è ridotto, è del tutto incapace di svolgere il suo ruolo, è svuotato di iscritti ed è percepito esclusivamente come luogo dove s’intraprende una carriera proficua. È percepito quasi un luogo losco.
Obbligatorio è un annuale congresso nazionale e a tutti i livelli locali, con regolamenti elettorali democratici e con possibilità di ricorso al tribunale civile; il numero dei delegati è proporzionale alla consistenza elettorale e non al numero degli associati.
Le tanto esaltate primarie, così come sono regolamentate in Italia, costituiscono semplicemente una truffa demagogica: o sono dei plebisciti confermativi delle decisioni assunte dell'apparato di partito o sono distorte dalla prevalenza degli apparati stessi sulla volontà degli elettori. Non ultimo, in paesi come gli Stati Uniti, nella determinazione del risultato il fattore economico ha preso decisamente il sopravvento, mentre in Italia - non essendo determinato l'elenco dei partecipanti al voto - sovente le primarie si sono ridotte ad offrire la possibilità alla parte contraria di scegliersi il proprio avversario. Con il sistema elettorale qui auspicato, le primarie di coalizione nei vari collegi sarebbero superflue perché di fatto sostituite dal primo turno elettorale.
Se fosse varata la da noi auspicata riforma di un finanziamento attraverso le tasse di un X per 1000, ci sarebbe anche il notevole vantaggio di fornire ai partiti un elenco certo di assegnatari a cui concedere il diritto di voto per le decisioni più importanti, tra cui quelle delle candidature e delle cariche interne.
Il finanziamento pubblico, proprio perché pubblico, è sottoposto ogni anno al controllo della corte dei conti e lo statuto pubblico stabilisce la ripartizione dei fondi tra l'organizzazione centrale e le sedi periferiche.
Il finanziamento pubblico è in larga parte indiretto attraverso la concessione di sedi, di franchigie postali, di facilitazioni sulla stampa e sulla comunicazione.
Per il finanziamento pubblico diretto, l'ipotesi che avanziamo prevede un contributo a tutte le organizzazioni dedite 1) alla libertà di espressione di coscienza (chiese, fondazioni, istituti culturali ecc.), b) alla partecipazione politica e c) alle attività di volontariato e di ricerca, attraverso un X per 1000 che ogni contribuente assegna per ciascuno di questi tre settori. All'assegnazione del contributo per la partecipazione politica concorrono tutte le organizzazioni che sottoscrivono lo statuto pubblico e non solo quelle che partecipano alle competizioni elettorali. L’assegnazione dell’X per mille all’associazionismo politico sancirebbe da parte dello Stato il riconoscimento ai partiti del loro carattere costitutivo del complessivo regime democratico.
Il finanziamento pubblico è pressoché sostitutivo di quello privato. A parte le quote associative è proibito al partito di riscuotere contributi se non da persone fisiche e limitati ad un'entità modesta stabilita dallo statuto pubblico. Al finanziamento pubblico deve corrispondere una normativa penale assai severa per ogni violazione, considerando questa gravemente lesiva della correttezza della competizione politica.
La democrazia integrata prevede anche forme di intervento diretto.
1) Referendum abrogativo e referendum facoltativo confermativo. Occorre tornare ad una applicazione sostanziale dell'articolo 118, quarto comma, della Costituzione, secondo cui: «Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento per le attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». È noto il fallimento del referendum abrogativo, così come è regolamentato. Dal 1997 al 2010 i 16 quesiti referendari votati sono stati tutti invalidati per la mancanza del quorum di partecipazione. La necessità di un quorum favorisce la non partecipazione perché equipara le astensioni al voto a un voto negativo, e avvantaggia quindi in misura determinante le forze antiabrogazioniste che possono, già in partenza, annettersi la quota di astensionismo fisiologico. Paradossale è che il requisito del quorum per l'abrogazione delle leggi ordinarie non sia necessario per i referendum confermativi relativi alle leggi di revisione costituzionale, che ovviamente sono ben più importanti. Il referendum abrogativo va superato con l'introduzione del referendum facoltativo confermativo per bocciare o confermare le leggi di cui è chiesto di verificare il consenso maggioritario presso l'elettorato. Ovviamente senza quorum. Per le leggi già andate in vigore prima della riforma il referendum abrogativo prevede un aumento del numero dei richiedenti e l'abolizione del quorum.
2) Iniziativa popolare legislativa. Fallimentare è stata anche la prevista iniziativa popolare legislativa. Dal 1996 al 2001 più del 90% delle proposte non sono state neppure prese in considerazione; la percentuale nella seconda Repubblica è persino aumentata.
Anche qui si prevede un aumento del numero dei proponenti ma anche l'impegno del Parlamento ad approvare o respingere la proposta entro un congruo numero di mesi. In caso di bocciatura parlamentare o di mancata discussione, automaticamente scatta la consultazione popolare. Con un iter più severo deve essere istituita l'iniziativa popolare costituzionale.
3) Richiesta popolare della verifica di costituzionalità. Come è noto, in Italia la costituzionalità di un provvedimento legislativo è verificata preventivamente dal Parlamento e successivamente, in taluni casi, dalla Corte costituzionale. La verifica di costituzionalità oggi è promossa con un ricorso da parte di un organo costituzionale o di enti territoriali, oppure può essere “incidentale”, ovvero promossa da un giudice durante un processo su richiesta delle parti o d'ufficio. Una democrazia integrata deve prevedere (come in Germania e in Austria) il ricorso avanzato da un numero congruo i cittadini.
Ridimensionamento del principio di maggioranza.
L'affermazione del principio di maggioranza è inevitabile. Ma dovrebbe essere limitato, perché una maggioranza non è necessariamente virtuosa e vi sono spazi in cui il potere, anche quello democratico, non deve accedere. Particolarmente odiosa (specie in un regime maggioritario) è percepita la possibilità per una maggioranza parlamentare (che può corrispondere a una minoranza elettorale che ha goduto di un premio di maggioranza che si è precedentemente deciso da sola) di modificare con leggi ordinarie le regole elettorali, perpetuando anche in eterno il proprio potere. È evidente la necessità di costituzionalizzare le leggi elettorali e quindi sottrarle all’arbitrio di una semplice maggioranza parlamentare.
Già in altre occasioni abbiamo sostenuto che è truffaldino conservare gli stessi quorum, là dove sono richiesti, dopo il passaggio da un regime proporzionale a uno maggioritario.
Lo Stato di diritto.
Oggi in l'Italia l'attuale maggioranza non solo si è messa sotto i piedi lo Stato di diritto, ma - ciò che è più grave - ha fatto cadere quella “maschera di ipocrisia” che da sempre è la salvezza del regime democratico. Gli usi e costumi della democrazia non solo vanno rispettati ma vanno anche consolidati con l'esempio. Esaltare invece le loro violazioni corrompe in profondità tutto il sistema: attaccare platealmente di altri organi dello Stato, depenalizzare moralmente la criminalità organizzata, ostentare il disinteresse per le violazioni di legge, candidare e offrire responsabilità di governo a corruttori, mafiosi e quant'altro, tutto ciò induce a far credere che alla classe politica tutto sia lecito. Oggi lo Stato di diritto non si restaura con nuove leggi ma con il recupero del principio di legalità e di una severa etica pubblica. «Vaste programme», direbbe De Gaulle. Si sta radicando nel popolo la convinzione che possano esistere due modelli di comportamento, uno per i cittadini e un altro per la classe politica. Il che è vero ma in senso opposto, perché dappertutto le norme dell'etica pubblica non sono più lassiste di quelle comuni, bensì si chiede a chi amministra una ben maggiore severità.
Separazione dei poteri.
Abbiamo già accennato a quale stato di finzione si sia ridotto il principio della separazione dei poteri, indispensabile iniezione liberale alla struttura democratica. Per avviarsi su di un concreto percorso separatista alcuni passi sono decisivi e necessari. In breve:
a) Per la separazione tra politica ed economia, è necessario ridurre al minimo l’influenza del denaro (a meno che non sia estremamente parcellizzato e trasparente) sul processo decisionale. Le violazioni in questo campo dovrebbero essere sanzionate assai severamente.
b) Per la separazione tra politica e magistratura, va resa definitivo e irreversibile il passaggio da un campo all'altro. Ugualmente, ai magistrali non deve essere consentita alcuna prestazione che non sia quella loro propria dell’ufficio. Come è deleteria l’ingerenza dell'Esecutivo sulla magistratura requirente, così dovrebbe cessare ogni coinvolgimento di magistrati nel ministero di Giustizia. Anche se è sconsigliabile un intervento normativo perché i magistrati sono anch'essi cittadini, i magistrati stessi dovrebbero rendersi conto di rappresentare un potere autonomo e quindi astenersi spontaneamente dal partecipare in alcun modo alla lotta politica diretta. Nello stesso tempo occorre trovare il modo per annullare il corporativismo dei parlamentari, i quali sembrano non immaginare neppure quale danno arrecano alla democrazia e al parlamentarismo, e quindi a loro stessi, quando - come è consuetudine - regalano al parlamentare sott'inchiesta giudiziaria un salvacondotto che lo rende privilegiato rispetto al comune cittadino. Anche solo il sospetto che alle decisioni legislative partecipino personaggi che, se non fossero stati deputati o senatori, avrebbero dovuto seguire un iter di giustizia assai diverso inficia mortalmente l'autorevolezza parlamentare. È ovvio che è necessario trovare una protezione in caso di effettivo fumus persecutionis o di accuse per reati d'opinione, ma tutta la questione non si può ridurre a interna corporis e risolversi con un abusivo protezionismo corporativo. Una soluzione sta nel concedere al parlamentare inquisito la possibilità di chiedere l’immunità parlamentare a un soggetto terzo come la Corte costituzionale. Il punto più dolente è quello della valenza fortemente negativa che assume presso l'opinione pubblica la stessa notizia di reato, che danneggia fortemente il politico fin dall’inizio. È il caso di imboccare la via esattamente opposta a quella praticata dal regime berlusconiano. Non si tratta di mandare per le lunghe i processi per arrivare alla loro estinzione grazie alla prescrizione. Soluzione questa che offende l’opinione pubblica e lascia in dubbio se il reato sia stato effettivamente compiuto dall’inquisito. Si tratta invece di liberare al più presto possibile l'opinione pubblica dall’incertezza d'essere rappresentata da un personaggio indegno. È quindi nell'interesse stesso del politico-imputato ottenere al più presto una sentenza che lo liberi da accuse ch’egli giudica infamanti. Poiché sono in campo interessi pubblici rilevanti e generali, si deve prevedere una “corsia preferenziale”, un processo rapido, che l'imputato può sollecitare per risolvere il vulnus.
c) Per la separazione tra l’economia e i media, il discorso è molto più complesso. Se è vero che una democrazia non è tale se i cittadini non sono in grado di formarsi una loro opinione attraverso media liberi, non basta il pluralismo dell'informazione ma è necessaria l'autonomia di ogni singolo vettore mediatico. Qui sarebbe troppo lungo descrivere le proposte, che peraltro avanziamo contemporaneamente in altro luogo, ma resta ferma la necessità di escogitare formule per rendere autonomo il potere mediatico sia dalla politica sia dall'economia. Ancora più grave è questa commistione nel settore radiotelevisivo e rappresenta lo scandalo più lesivo della democrazia italiana, data la rilevanza dell'influenza diretta del mezzo televisivo sulla opinione politica dei cittadini-telespettatori. Eppure basterebbero alcune poche norme di applicazione del principio separatista per porre in essere una vera rivoluzione democratica che parte da una constatazione semplice: una informazione di Stato non è in alcun caso libera, e altro non è che un'informazione governativa. Ormai è fatiscente il concetto di “servizio pubblico” con cui si è voluto mascherare ciò che non è altro che informazione drogata servita dalla maggioranza di governo o, al suo massimo di democraticità, lottizzata e spartita tra i partiti. La privatizzazione della Rai è ormai obbligatoria, ma certamente non basta, perché come corollario necessario deve avere l'interdizione per qualunque soggetto del possesso di quote azionarie ( anche di minoranza) di più di un canale televisivo con contenuti informativi e di un qualunque altro vettore mediatico.
{ Pubblicato il: 28.10.2011 }