Fondazione Critica Liberale   'Passans, cette terre est libre' - Abbiamo scelto come logo la fotografia d'un autentico 'Albero della Libertà ancora vivente. È un olmo che fu piantato nel 1799 dai rivoluzionari della Repubblica Partenopea, Luigi Rossi e Gregorio Mattei, a Montepaone Superiore, paese dello Jonio catanzarese. La scritta &lequo;passans ecc.» era qualche volta posta sotto gli 'Alberi della Libertà' in Francia.
 
Direttore: Enzo Marzo

Dal 1969 la voce del pensiero laico e liberale italiano e della tradizione politica che difende e afferma le libertà, l'equità, i diritti, il conflitto.

"Critica liberale" segue il filo rosso che tiene assieme protagonisti come Giovanni Amendola e Benedetto Croce, Gobetti e i fratelli Rosselli, Salvemini ed Ernesto Rossi, Einaudi e il "Mondo" di Pannunzio, gli "azionisti" e Bobbio.

volume XXIV, n.232 estate 2017

territorio senza governo - l'agenda urbana che non c'è

INDICE

taccuino
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67. paolo bagnoli, la nostra preoccupazione
68. coordinamento democrazia costituzionale, appello alla mobilitazione per una legge elettorale conforme alla Costituzione
106. comitati unitari per il NO al “rosatellum”, l’imbroglio degli imbrogli
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territorio senza governo
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69. giovanni vetritto, l’italia del “non governo” locale
73. pierfranco pellizzetti, alla ricerca del civismo perduto
79. antonio calafati, le periferie delle metropoli italiane
84. paolo pileri, molta retorica, pochi fatti
86. giovanni vetritto, post-marxisti inutili
88. valerio pocar, primo comandamento: cementificare
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astrolabio
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89. riccardo mastrorillo, finanziare sì, ma come?
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GLI STATI UNITI D'EUROPA
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93. sarah lenderes-valenti, la risorsa più grande
94. luigi somma, le democrazie invisibili
97. claudio maretto, la discontinuità paga
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castigat ridendo mores
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100. elio rindone, basta con l’onestà!
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l'osservatore laico
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103. carla corsetti, il principio di laicità
107. gaetano salvemini, abolire il concordato
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terrorismo e religione
109. pierfranco pellizzetti, jihad combattuta alla john wayne
114. alessandro cavalli,quattro cerchi
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lo spaccio delle idee
117. gianmarco pondrano altavilla, cari liberisti, chi conosce un buon medium?
118. luca tedesco, savoia o borbone? lo storico è un apolide
119. gaetano pecora, ernesto rossi, “pazzo malinconico”
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78.92.102. spilli de la lepre marzolina
116. la lepre marzolina, di maio ’o statista
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Critica liberale può essere acquistata anche on line attraverso il sito delle Edizioni Dedalo con transazione crittografata e protetta.
.A ROMA IL FASCICOLO PUO' ESSERE ACQUISTATO ANCHE PRESSO L'EDICOLA DEI GIORNALI IN PIAZZA DEL PARLAMENTO.
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comitato di presidenza onoraria
Mauro Barberis, Piero Bellini, Daniele Garrone, Sergio Lariccia, Pietro Rescigno, Gennaro Sasso, Carlo Augusto Viano, Gustavo Zagrebelsky.

* Hanno fatto parte del Comitato di Presidenza Onoraria: Norberto Bobbio (Presidente), Vittorio Foa, Alessandro Galante Garrone, Giancarlo Lunati, Italo Mereu, Federico Orlando, Claudio Pavone, Alessandro Pizzorusso, Stefano Rodotà, Paolo Sylos Labini. Ne ha fatto parte anche Alessandro Roncaglia, dal 9/2014 al 12/2016.
 
05.02.2018

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a 150 anni dall’unità d’italia: salviamoci dallo sfacelo.

gim cassano

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In un crescendo di discredito interno ed internazionale di cui la figura del capo del governo è il simbolo, sta avviandosi al perfezionamento il ciclo della seconda Repubblica: quella del progressivo degrado delle Istituzioni e dello svuotamento della democrazia e dello Stato di Diritto, di una politica ridotta ad esercizio di gioco tattico nel quale ogni astrazione diventa possibile e non ci si scandalizza più di nulla. ll Paese osserva come finzioni e menzogne non convincano più nessuno; sa di esser governato da un immorale despota orientale, dalle dubbie origini finanziarie, spergiuro, dedito alla cura di interessi e piaceri che trascendono la sfera privata nel momento in cui le funzioni pubbliche, le istituzioni, la giurisdizione, vengono di volta in volta ed a seconda dei casi distorte per consentire, nascondere, rendere non sanzionabili fatti, azioni, comportamenti più che equivoci. Ma questa nuova consapevolezza che si sta facendo strada non trova rappresentanza politica compiuta, nel senso che non riesce ancora ad incontrare proposte e strategie politiche credibili.
Di questo è conscia anche la politica, non solo quella di opposizione; lo avverte anche la corte del sultano,  che trova però conveniente assecondare il despota nella repubblica del baratto e, ben remunerata, si riduce a negare l’evidenza ed a far quadrato attorno a lui. E, se le forze di opposizione sbandierano ovviamente la loro diversità rispetto a questo stato di cose, perse in un continuo gioco a rimpiattino di posizionamenti e riposizionamenti reciproci, non riescono nel loro insieme a proporre al Paese un’alternativa politicamente e culturalmente credibile che, per esser tale, se non può limitarsi all’antiberlusconismo, neanche può procedere tra ricorrenti indignate proclamazioni ed altrettanto ricorrenti tentazioni spartitorie, e tantomeno  può ricorrere alla fede ideologica.
Berlusconi sa bene che in questa situazione eventuali elezioni anticipate sono una grossa alea: l’ondata di indignazione sulla sua persona rappresenta un’incognita dalle dimensioni imprevedibili e che rischia di travolgerlo proprio su quel piano personale cui ha sempre puntato. Le casalinghe che faticano a far la spesa, e che guardando le reti di Mediaset si sono sempre fidate del “ghe pensi mi”, iniziano a rendersi conto che il presidente del fare ha ben altre cose da fare che occuparsi del Paese che non ce la fa. Ed allora, ha bisogno assoluto di guadagnar tempo, di far sì che possa reggere in Parlamento una qualsivoglia maggioranza, comunque possa esser composta, purchè lo riconosca come capo e faccia proprie le sue esigenze; ed ha bisogno che il governo vada in un modo qualsiasi avanti, evitando lo scioglimento delle Camere, purchè porti a compimento quei provvedimenti di cui ha bisogno per chiudere le sue pendenze e la sua partita con i giudici.
Assistiamo così alle convulsioni di un signore che, avendo perso ogni credito internazionale ed ogni credibilità interna in un groviglio di menzogne in contraddizione l’una con l’altra, di superficiali improvvisazioni, di volgarità, dedica ogni sforzo al tentativo di “allargare” la maggioranza, come se si trattasse del presidente di una società quotata in Borsa fatta oggetto di una scalata ostile, che cerca di acquistare a qualsiasi costo, lecito o meno, piccoli pacchetti di azioni per rinsaldare il pacchetto di controllo; in questo caso, del Paese.
Di sicuro, vi sarà chi affermi che il fine giustifica i mezzi, e che il mercato delle pecore avviato in Parlamento, gli incontri ed i colloqui affidati alle attente ed esperte mani di personaggi come Denis Verdini, non hanno altro fine che quello di ristabilire la volontà degli elettori, riportando all’ovile un po’ di nullità il cui nome non entrerà mai in alcuna storia o cronaca (forse in quelle giudiziarie), e che devono il loro “valore” attuale solo al fatto di esser stati a suo tempo nominati, ma non eletti, a schiacciare il famoso pulsante. Fastidi e seccature del Parlamento, quelli di dover riacquistare quanto era già tuo. E quindi, che facciano il santo favore di mettere il dito sul pulsante giusto, quello per pigiare il quale erano stati nominati, e consentano alla maggioranza di andare avanti. Poi, qualcosa per loro vi sarà di sicuro, forse un nuovo pulsante.
Ma, a parte il non trascurabile dettaglio che, in democrazia, il fine non giustifica i mezzi, val la pena di soffermarsi su quali siano fini ed obbiettivi di questa maggioranza; su cosa significhi per essa andare avanti. E così risulta evidente come, pur nel seguire linee inefficaci e di segno opposto a quanto sarebbe necessario, la loro vera priorità non sia, quella di cercare almeno di affrontare le cause della paralisi del Paese, ma semplicemente quella di disegnare un modello politico-istituzionale che, perpetuando ed istituzionalizzando questo stato di cose, assicuri, insieme alla propria presenza ed all’impunità del proprio capo, il passaggio definitivo ed irreversibile ad una repubblica fondata sul populismo e sul particolarismo, dove un esecutivo legittimato plebiscitariamente governi senza i controlli e contrappesi di una democrazia.
Che il rimettere in movimento il Paese e restituirgli un minimo di dignità internazionale non siano le priorità di questa maggioranza, è dimostrato da alcuni recenti fatti.
Ne abbiamo avuto la riprova col cosiddetto pacchetto di misure di rilancio e liberalizzazione dell’economia: un provvedimento che contiene poco di utile, molto di inutile, e parecchio di dannoso, come la proposta di modifica dell’Art. 41 della Costituzione. Ma, soprattutto, un provvedimento avente carattere puramente propagandistico ed ideologico, al quale neppure la maggioranza, con Tremonti in testa, crede.
Ed ancora, mentre la crisi libica esplode e non si trova il tempo di disturbarsi o di disturbare un criminale recidivo, e si cerca vergognosamente di minimizzare l’entità della repressione cogliendone solo l’aspetto della prevedibile pressione alle frontiere (vedi le sgrammaticate dichiarazioni del sen. Angela Maraventano), oppure ci si augura che Gheddafi, personaggio stimato nella comunità internazionale, alla fine riesca a reggere, se possibile in modo un po’ meno sanguinario (Dini), ci accorgiamo di come non ci si preoccupi affatto di dare un minimo di decoro alla nostra politica estera, già ridicolizzata non dalle congiure della stampa estera, ma dai rapporti della diplomazia americana divulgati da Wikileaks.
La vera preoccupazione è invece quella di rimettere in pista un federalismo sgangherato e di far partire gli ennesimi provvedimenti ad personam sulla giustizia. Prescindendo dall’acquisto di parlamentari, la maggioranza si regge infatti sul reciproco baratto tra Lega e PdL dei provvedimenti sulla giustizia necessari al premier ed alla sua corte con il federalismo fiscale che occorre alla Lega per proseguire la sua opera di disgregazione del Paese. Entrambi sanno che il vero obbiettivo, quello su cui occorre concentrare attenzione e sforzi, sono questi due gruppi di provvedimenti, il primo distante dagli interessi della Lega, ed il secondo da quelli del cavaliere; ma, si sa, bisogna pur accontentare il complice, se si vuol assicurarsene l’aiuto. Su questo ignobile baratto, simili a due malfattori che si spartiscono il bottino, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia costoro celebrano la distruzione della democrazia e dello Stato di Diritto da un lato, e dei fondamenti dell’Unità nazionale dall’altro. Tutto il resto è marginale ed occupa poco spazio nelle preoccupazioni della maggioranza: è su giustizia e federalismo che se ne giocano le sorti; e, in negativo, anche quelle del Paese.
Si vorrebbe convincere il Paese che possano essere priorità per esso e non per le sorti del premier quella di “normalizzare” la Corte Costituzionale e rendere il CSM espressione di un Parlamento di nominati, col risultato che il garante operativo dell’indipendenza della magistratura risponderebbe alla maggioranza parlamentare, cioè all’Esecutivo; quella di rispolverare il decreto sulle intercettazioni nella sua stesura peggiore [sostanzialmente quella originaria, prima dei paletti posti da Fini]; quella di ripristinare l’immunità parlamentare ad uso di un Parlamento in cui sono ben pochi gli inquisiti per reati di natura “politica”, e ben di più quelli per reati che nulla hanno a che fare con l’esercizio della rappresentanza parlamentare; quella di introdurre qualche ulteriore marchingegno prescrittivo salva-premier. E, perla meravigliosa, al tutto si aggiungerebbe la richiesta leghista (poteva mancare il contributo della sua cultura giuridica?) di far eleggere dal “popolo” i Procuratori della Repubblica. Proviamo ad immaginare i Procuratori di luoghi i cui Consigli Comunali, eletti anch’essi dal popolo, vengono già ricorrentemente sciolti per mafia; o quelli delle valli prealpine agire in casi in cui siano coinvolti immigrati regolari e non; ed ancora, più in generale, proviamo ad immaginare un Procuratore eletto dal “popolo” agire su casi di corruzione locale nei confronti di amministratori eletti dallo stesso “popolo”. Il tutto, aggravato dalla richiesta di render discrezionale l’azione penale, sancendo così il principio che la giustizia, oltre che non esser eguale per tutti, non è neanche la stessa ovunque.
Naturalmente, il tutto vien presentato come “riforma liberale” della giustizia, e non per quello che in effetti è, che nulla ha di liberale, ed invece molto del despotismo feudale: la subordinazione della funzione giudiziaria all’Esecutivo. Perché  aumentare i poteri di un parlamento di nominati, e quindi della sua maggioranza, nei confronti di Corte Costituzionale e CSM, significa esattamente questo.Ed invocare il concetto liberale della privacy non può arrivare ad estendersi sino ad impedire l’accertamento della verità ed a nasconderla, proteggendo chi ha molto da nascondere e mettendolo sullo stesso piano di chi non ha nulla da temere. E, se per ostacolare la temuta diffusione di informazione e conoscenza, si facilita l’immunità di criminali e mafiosi, poco importa. Il ministro Maroni dovrebbe ben sapere come quegli stessi successi nella lotta alla criminalità organizzata che lui sbandiera derivano da indagini e ricerche condotte proprio facendo ricorso a quelle intercettazioni che oggi si vorrebbe limitare. Nell’intento di dar valenza il più possibile generale e di attutire l’accusa di provvedimenti ad personam a quello che altro non è che un estremo rimedio finalizzato ad assicurare l’impunità ad un signore che altrimenti, privo di tutele particolari e di volta in volta studiate ad hoc, avrebbe già subito più di un provvedimento cautelare o definitivo sul piano penale e su quello civile, non si esita a buttare all’aria ogni fondamento dello Stato di Diritto. Per assurdo, farebbe minori danni una legge composta di un solo articolo: “il Sig. Silvio Berlusconi non è imputabile di nulla”.
E poi, si vorrebbe convincere il Paese che un federalismo sgangherato, fatto passare a colpi di maggioranza e senza alcuna seria discussione, del quale nessuno sa nulla di preciso, e del quale nessuno conosce bene costi, limiti, garanzie, rappresenti l’altra riforma prioritaria di cui il Paese ha bisogno. Per intanto, aumenta l’imposizione fiscale comunale a seguito del cosiddetto “federalismo comunale”. Visti i precedenti, e vista la qualità giuridica dei suoi autori, c’è da immaginare che, una volta che il federalismo fiscale sia approvato nella sua interezza, ci sentiremo dire da qualcuno dei suoi padri che si tratta di una “porcata”, ma che comunque esso serve allo scopo di allontanare tra loro le parti del Paese. In realtà, alla Lega non interessa nulla se la progettata riforma federale funzioni oppure no, né quali ne siano i costi: a costoro interessa solo ottenere il risultato di portare a casa, insieme alle multe sulle quote latte e qualche altra vergogna del genere, un qualcosa da poter sbandierare ai propri fedeli come fattore di separatezza del Nord e come premessa di ulteriori spinte autonomiste. D’altra parte, questi signori, anche di recente, hanno dichiarato in pubblico quanto segue:  «Noi vogliamo arrivare a realizzare i nostri obiettivi democraticamente, poi se la gente vorrà dare la spallata finale, io ne sarò ben contento». [Bossi, ministro della Repubblica, a Verdello (BG), il 23 agosto 2010]. Parole del genere, pronunciate da un opportunista che ha giurato fedeltà alla Costituzione, di per sè giustificherebbero uno scandalo ed una crisi di governo, se non l’interessamento della Magistratura.
Tale è il perfezionamento della seconda repubblica che si profila, insieme ad una politica degli interessi particolari, alle iniquità, all’indifferenza sociale, alla perpetuazione dei mille privilegi di cui è piena l’Italia, in occasione dei suoi 150 anni. Di fronte a gravissime difficoltà economiche, che non sono un’esclusiva dell’Italia, ma che da noi sono più gravi che altrove, e soprattutto preesistenti alla crisi ed amplificate dai troppi ritardi del Paese, di fronte ai più che certi ulteriori vincoli di bilancio che l’Europa imporrà (a tutti, ma che da noi, dato il nostro debito, avranno maggior peso), abbiamo una maggioranza irresponsabile che sacrifica le fondamenta dello Stato di Diritto ed i presupposti della stessa coesione del Paese quali reciproche concessioni, entrambe necessarie alla propria sopravvivenza. Non interessa qui entrare nel merito di una discussione sulla forma federale dello Stato. Ma occorre dire che una struttura federale, perché possa funzionare, richiede un forte senso di coesione nazionale. Negli Usa, nessuno si sogna di irridere al 4 Luglio, o alla bandiera a stelle e striscie; e lo stesso avviene in Germania, in Svizzera. E qui, invece, al di là del merito dei singoli provvedimenti, è proprio il senso di coesione nazionale che si intende far venir meno sull’altare della propria sopravvivenza, e si tollera che alcuni signori, ministri che hanno giurato fedeltà alla Costituzione, dichiarino di non aver nulla da festeggiare.
Se la politica berlusconiana riuscirà a procedere, e se le cosiddette “riforme” della giustizia e federale arriveranno a compimento, si profila una situazione di disgregazione istituzionale e territoriale irreversibile, nella quale non sarebbe più possibile il funzionamento di una normale democrazia fondata sull’equilibrio ed il bilanciamento dei poteri, non sarebbe più possibile alcuna seria politica economica, sociale, di welfare, e la distanza politica, civile, sociale ed economica dall’Europa diverrebbe abissale. Nel momento in cui le disfunzioni amministrative di molte regioni, prevalentemente meridionali, richiederebbero maggiori capacità di controllo ed intervento da parte dello Stato, queste vengono ridotte. Un Mezzogiorno che unisce alle cause storiche del suo ritardo anche le maggiori carenze di infrastrutture e la peggior qualità della vita vede rarefarsi le risorse a disposizione, anche perché la contrazione della spesa centrale in cultura, ricerca, istruzione, penalizza maggiormente quelle aree meno sviluppate che hanno minori possibilità di ricorso a finanziamenti locali, pubblici o privati che siano. Si istituzionalizza per questa via, e si rende permanente il concetto di un’Italia a due velocità ed a due standards di vita.
Di fronte alla gravità di una situazione che non vede mettere in discussione solo scelte di linea politica, ma i fondamenti stessi della democrazia e del sistema istituzionale, nonchè il modello di sistema statuale, sorprendono i limiti di un’opposizione che non riesce a costruire un’alternativa convincente ed adeguata ad interrompere questo processo.
E, se Berlusconi consegue qualche successo nella campagna di riacquisti ed acquisti e di indebolimento di FLI, ciò si deve più che a corrispettivi immediati o futuri, essenzialmente al fatto che chi fa dell’opportunismo un metodo politico si posiziona o riposiziona in funzione dell’aria che sente tirare. Il che, come bravi topi “responsabili” che scelgono di abbandonar la nave se questa affonda, o altrimenti di restarvi o tornarvi, è un chiaro segnale della diffusa convinzione del fatto che la proposta della destra venga ritenuta più attendibile di quella di un “nuovo” centro-destra che faccia perno sul Terzo Polo.
La debolezza della proposta di un Terzo Polo di cui oramai Casini è il dominus politico oltre che l’azionista di maggioranza è al tempo stesso causa ed effetto del rapido indebolirsi di FLI. Perché, agli occhi di chi comunque non ha mai negato la sua appartenenza alla destra, la presenza autonoma del Terzo Polo, con questo sistema elettorale, si troverebbe indebolita dall’accusa di facilitare il compito al nemico, alla sinistra; e, vincendo PdL e Lega, sarebbe una presenza superflua. Tanto vale, allora, non passar per nemici e, quel che è più grave, perdenti, ed attrezzarsi non fuori tempo massimo a passare o restare dalla parte del presunto vincitore.
E’ questa la contraddizione intrinseca dell’iniziativa centrista: che avrebbe avuto un senso solo a condizione di dichiarare preventivamente la rescissione di ogni rapporto con questa destra. Cosa che non era possibile a chi sino a ieri di questa destra ha condiviso tutto, come Fini, o a chi, oltre che per lo stile ed il modo di governare, non la critica per gli indirizzi di fondo portati avanti, ma per quanto non ha saputo realizzare di quegli indirizzi.
Ma neanche le proposte politiche che vengono dal centro-sinistra risultano chiare.
Come detto più di una volta, se nel Paese sta maturando una nuova consapevolezza del degrado connesso alle politiche della destra, non è sufficiente il denominatore dell’antiberlusconismo a costruire una prospettiva politica credibile. Né, per converso, è immaginabile che una forza di sinistra democratica che abbia un minimo di volontà riformatrice possa dirsi tale senza porsi seriamente l’obbiettivo prioritario di eliminare Berlusconi dalla scena politica, e di sconfiggere politicamente e culturalmente questa destra, con la quale non è possibile alcuna interlocuzione.
E qui emergono i limiti strutturali di un PD che, non riuscendo a definire se e come esso voglia collocarsi in una prospettiva di terza via o di una nuova sinistra, dopo aver fatto il deserto attorno a sé senza conquistare un solo voto al centro, ha troppo a lungo sperato che fosse possibile procedere per scorciatoie, evitando di affrontare ed approfondire seriamente la questione dell’idea di società e di Paese che si coltiva, e solo conseguentemente quella delle possibili alleanze. Così si è “lanciato” il ragionamento sul “Nuovo Ulivo”, senza che fosse chiaro dove questo iniziasse e dove finisse, e senza che fosse accompagnato ad una indicazione di linee politico-programmatiche; così si è lanciato il ragionamento sul governo di transizione, senza aver chiaro quale schieramento parlamentare potesse sostenerlo; e così si è proposta ad un fronte che va dai centristi a Vendola una sorta di CLB (Comitato di Liberazione da Berlusconi), senza che venisse spiegato come e per che cosa si sarebbe governato in caso di vittoria.
Ed a questo si aggiungono dichiarazioni estemporanee quali i vezzeggiamenti alla Lega con i quali le si assicurerebbe il federalismo qualora vi fosse un cambio di campo. E cosa racconta agli italiani il PD del suo appoggio alla Giunta Lombardo in Sicilia? E si ricorda o no il PD di aver votato il trattato di amicizia e collaborazione, anche militare, con il criminale Gheddafi? E di aver voluto l’ignobile legge elettorale per le Europee? E’ del tutto logico che, così stando le cose, una persona di normale buon senso si chieda per quale ragione il PD debba apparirgli come forza diversa dalla destra non solo nel contrastarla, ma anche nella qualità, nella prassi e nella razionalità della politica.
Sul versante di sinistra, SEL avrebbe potuto costituire l’autentica novità della Sinistra italiana. Ma la proposta innovativa e liberatoria che ne ha caratterizzato l’origine si è irrigidita in una formula che appare più indirizzata all’esigenza di ricostruire in Italia una forza fondata sugli spezzoni della Sinistra Arcobaleno che a creare le condizioni per una vittoria del centro-sinistra nel suo insieme. Ed allora, si immagina uno sviluppo della sinistra affidato a processi di “scomposizione e ricomposizione” dell’esistente (leggi PD), invece che alla concretezza di crescita, allargamento ad altre esperienze e tradizioni, innovazione, modernità; e, ammesso che questa impostazione possa esser efficace a consentire, passando per una crisi del PD, la costruzione di una forza di sinistra relativamente ampia, certo non è efficace a consentire la sconfitta elettorale, politica, e culturale, della destra. E c’è da chiedersi quanto interessino agli italiani le “scomposizioni e ricomposizioni”, e cosa possano vederci di interessante ed innovativo e di non riecheggiante le convergenze parallele.
Si richiederebbe invece la capacità di convivere e cooperare di tutte le espressioni della sinistra e di operare alleanze con tutte le forze democratiche. D’altra parte si è ascoltato più di una volta il ragionamento che la priorità sia quella di costruire una forza di sinistra, come se si dicesse che, visto che nel medio periodo appare problematico battere la destra, sia opportuno almeno portare a casa l’esistenza di una “vera” sinistra. Da qui l’accento sulle “primarie di Nichi”, che ha condizionato per mesi i ragionamenti e l’iniziativa di SEL e, da ultimo, il coniglio Rosi Bindi tirato fuori dal cilindro: l’una e l’altra due proposte che sono apparse più capaci di creare problemi in casa PD che di persuadere gli italiani del fatto di trovarsi di fronte ad una Sinistra moderna, aperta e plurale, ed in grado di farsi carico degli interessi generali del Paese.
Se è vero che qualcosa si muove nell’opinione pubblica, la prima urgenza del centro-sinistra dovrebbe  essere quella di candidar se stesso alla guida del Paese. Sembra un’ovvietà, ma non lo è. Occorre dare espressione e forma politica propositiva all’indignazione che si sta facendo strada nel Paese. Occorre ricordare che uno schieramento politico vince la propria battaglia quando è in grado di dimostrare di esser più di altri in grado di rappresentare l’interesse generale ed una prospettiva che unisca il Paese. La destra è riuscita, a suo tempo, a dare questa percezione, più per demerito altrui che per capacità propria.
Ciò implica oggi che l’intera area che va dal PD al PSI, a IdV ed a SEL, comprendendovi movimenti, associazioni, gruppi e formazioni ambientaliste, di sinistra laica, liberale, azionista, senza veti (e chi intenda porne, se ne assuma le responsabilità) determini una posizione chiara, univoca e comprensibile sulle questioni cruciali delle politiche economico-sociali, del lavoro in tutte le sue forme, dei ritardi strutturali del Paese, della riforma elettorale, della giustizia, di una visione complessiva dei problemi del Sud e di quelli del Nord, del funzionamento delle Pubbliche Amministrazioni.
Che quest’area si impegni con gli italiani sul piano della moralità pubblica, della trasparenza, del rigore amministrativo, dell’equità, della difesa non formale dei principii costituzionali, del ripristinare il significato della democrazia rappresentativa, dando loro il senso di una politica migliore di quella cui sono abituati.
Che il tutto non si risolva nel nominalismo di formule astratte.
Che, chiariti questi aspetti, apra un confronto aperto e leale con il Centro, indirizzato all’alleanza di tutte le forze democratiche. Solo allora potrà parlarsi di primarie.
Personalmente, ritengo, ovviamente in modo non distaccato, che i ragionamenti che da tempo si stanno sviluppando nell’incontro tra Partito Socialista e Lib-Lab possano dare utili contributi su questa strada.

{ Pubblicato il: 26.02.2011 }




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