elisa ferrero
Nessun commentoCi eravamo lasciati con la notizia della ridicola condanna degli assassini di Khaled Said a sette anni di carcere e relativa indignazione degli egiziani. Purtroppo oggi dobbiamo tornare a parlare del feroce scontro in corso tra il Consiglio Militare, da un lato, e i blogger e gli attivisti per i diritti umani, dall'altro.
Il padre dei blogger egiziani Alaa Abdel Fattah, qualche giorno fa, è stato convocato per indagini, assieme all'amico e attivista Bahaa Saber, presso la Procura Militare. Alaa era negli Stati Uniti quando ha ricevuto la convocazione, ma è rientrato oggi, recandosi immediatamente in Procura assieme a Bahaa. L'accusa nei confronti dei due è incitamento alla violenza, in relazione agli scontri del 9 ottobre tra copti ed esercito. Entrambi i convocati hanno già avuto esperienza del carcere anni fa, sotto il regime di Mubarak. Alaa, tra l'altro, è sposato con Manal, un'altra blogger e attivista, ora al nono mese di gravidanza.
Ma l'attesa di un figlio non ha fermato Alaa, che ha dato prova di grande coraggio di fronte alla Procura Militare, rifiutando di rispondere alle domande. Alaa, infatti, con un gesto che, secondo qualcuno, è una vera e propria presa di posizione politica, ha contestato la legittimità della Procura, ribadendo che i civili non possono essere sottoposti a processi militari. Inoltre, altra ragione per non rispondere, i militari non sono affatto un arbitro neutrale nelle indagini sui fatti del Maspero, bensì una parte in causa, essendo accusati di aver causato la morte di 27 manifestanti. Dunque non possono né condurre indagini in proposito né interrogare civili.
La presa di posizione di Alaa ha spinto la Procura ad arrestarlo, ponendolo sotto custodia cautelare per 15 giorni. Bahaa, invece, pur essendosi rifiutato anche lui di rispondere, è stato rilasciato. Uscendo in lacrime per la sorte toccata all'amico, ha subito preso a scandire slogan contro il Consiglio Militare.
La Procura Militare, però, non si è accontentata dell'arresto di Alaa. Senza provare alcun senso di vergogna, ha infatti inserito i testa alla lista degli accusati per le violenze del 9 ottobre l'attivista Mina Daniel, ucciso dagli stessi militari proprio durante gli scontri del Maspero. Un commento sarcastico su Twitter è stato: "Adesso il Consiglio Militare si crede Dio e pretende di giudicare persino i morti! Sta a vedere che alle prossime elezioni voteranno anche i morti...". Quest'ultima rischia di non essere una battuta, purtroppo. Al tempo di Mubarak, infatti, votavano effettivamente anche i morti in quella farsa chiamata "elezioni".
Disgraziatamente le brutte notizie non finiscono qui. Giovedì scorso vi è stata un'altra morte sospetta in carcere, da molti già definita come un nuovo caso Khaled Said, a causa delle numerose somiglianze con il barbaro assassinio del giovane di Alessandria. Questa volta la vittima è stata un detenuto di nome Essam Atta, condannato come baltaghy. Al di là del delitto che possa aver commesso o meno, sembra che Essam Atta sia riuscito, giovedì scorso, ad ottenere di nascosto, tramite la sorella, una sim card con la quale comunicare con l'esterno. Una guardia del carcere l'avrebbe scoperto e gliela avrebbe fatta pagare. Le associazioni per i diritti umani, infatti, sostengono che Atta sia stato orrendamente torturato, con l'inserimento, in bocca e nell'ano, di tubi di gomma attraverso i quali sarebbe stata pompata dell'acqua a forte pressione, forse contenente anche sostanze chimiche tipo detergenti. Ma i medici legali sostengono che non ci sono segni di tortura. Sarebbe tutta colpa di Atta che avrebbe ingerito della droga. E questa storia quanto ricorda Khaled Said!
Chiaramente, questi due episodi stanno scatenando una forte reazione tra i blogger, gli attivisti e le persone con un minimo di coscienza umana. La pazienza sta lentamente scemando. Non mi stupirei se assistessimo a una nuova forte esplosione della rivolta, forse dopo le elezioni per l'Assemblea del Popolo, a gennaio. Ci sono troppe somiglianze con il periodo precedente la rivoluzione di gennaio 2011. Il malumore è lo stesso. Allora c'era rabbia per la continua violazione dei diritti umani e per il soffocamento della libertà di espressione e di opinione, rabbia che si era acuita con l'assassinio di Khaled Said. Oggi vi sono nuovamente dei casi simili. Allora vi era il timore che Mubarak passasse i poteri al figlio Gamal. Oggi vi è il timore che il governo torni in mano ai militari. Allora vi era la profonda indignazione per i clamorosi brogli elettorali che avevano cancellato ogni forma di opposizione dal Parlamento. Oggi si crede che le prossime elezioni produrranno un Parlamento addomesticato, sottoposto al volere dei militari. Gli ingredienti per una nuova rivolta, dunque, ci sono tutti, anche perché gli egiziani - e questo è ciò che è cambiato dall'anno scorso - non mollerano la presa tanto facilmente. Hanno lottato per un briciolo di libertà, pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane, e ora non hanno certo intenzione di rinunciarvi. La tensione si taglia con il coltello tra gli attivisti presenti sui social media. Se anche gran parte dell'opinione pubblica perderà la pazienza, la situazione potrebbe farsi pericolosa.
In questo clima generale, non fa più notizia nemmeno l'ennesimo rinvio del processo di Mubarak al 28 dicembre. Giovedì scorso, invece, è finalmente avvenuto lo scambio della "spia israeliana", Ilan Grapel, con 25 prigionieri egiziani. Ciò che non è stato pubblicizzato, tuttavia, è che nello scambio l'Egitto ha ricevuto anche alcuni F16 statunitensi. Per quanto riguarda le elezioni del sindacato dei giornalisti, ha vinto Mamduh Wally, candidato sostenuto dai Fratelli Musulmani, pur non essendo membro della Fratellanza. Infine, prosegue il duro scontro tra avvocati e giudici. I primi hanno addirittura accusato questi ultimi di aver sparato su di loro, all'uscita della Corte Suprema del Cairo.
L'Egitto ribolle...
p.s: la vignetta illustra il lavoro che la rivoluzione ha fatto e deve ancora fare: il guantone (la rivoluzione) ha staccato la punta della piramide (Mubarak); sotto, restano da abbattere i feloul (gli avanzi del regime di Mubarak), seguiti dalla corruzione morale, intellettuale e amministrativa, e infine la passività degli egiziani (ossia il "partito del sofà").
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{ Pubblicato il: 01.11.2011 }