paolo ercolani
Nessun commentoNella foto una scena di Drive In, prototipo delle trasmissioni berlusconiane da cui ha tratto ispirazione Minzolini
In questa epoca caratterizzata da una sovrabbondanza di notizie, che ci vengono propinate in maniera sempre più superficiale e veloce, la nostra naturale tendenza a dimenticare si rivela sempre più forte.
Eppure basterebbe un esercizio di memoria per ricordarsi un evento assai significativo per quanto episodico. Eppure spesso sono proprio gli episodi, per definizione minori, a possedere la capacità di inquadrare una realtà molto più di trattati e analisi approfondite.
Ed è proprio da un episodio quanto mai significativo che è partita la deriva del nostro Paese, il secondo ventennio di vergogna nazionale dopo la lunga parentesi del fascismo.
Ricordo ancora quelli che sono stati dei veri e propri miti per molti esponenti della mia generazione e non solo, personaggi anche ironici e colti, rappresentativi di valori buoni e ispirati al buon senso, come i compianti Corrado e Raimondo Vianello, gettare nel cesso decenni di onorata e rispettabile carriera di comparse nelle case degli italiani per dichiarare proprio sugli schermi tutto il loro fervido e convinto appoggio alla discesa in campo di Silvio B.
Si è fatto presto ai giorni nostri, e tutto sommato si è rivelata anche un’operazione semplice, a deprecare la prostituzione delle varie Ruby, a pensarci bene povere anime vogliose di sfondare nel mondo dello spettacolo e inebriate dalla cultura del soldo facile, ma ci si è ben guardati, all’alba di questo disastro epocale che è stato lo “sgoverno” dello psiconano, quando ancora si poteva fare qualcosa, a denunciare con la giusta energia quello che di fatto era un atto di prostituzione somma da parte di fior di professionisti dello spettacolo.
Quale differenza, in fondo, tra gli spettacolini in maschera che queste ragazze dovevano mettere in mostra per compiacere i pruriti del Sultano, e gli spettacolini altrettanto artefatti e comunque a pagamento che i signori della televisione hanno dovuto mettere in mostra a quel tempo (era il 1994, una vita fa!) per compiacere il proprio datore di lavoro?
Siamo sempre e perfettamente all’interno di una logica mercificatoria e che esalta il potere del più forte e del più ricco sul più povero, sempre all’interno di quel «mondo capovolto» di cui parlava Debord, in cui «il falso diventa un momento del vero e il vero un momento del falso», non si sa più chi è persona e chi personaggio, chi sta recitando un copione e chi svendendo la propria dignità. L’unico elemento che unisce tutto, l’unico vero e universalmente riconosciuto produttore di senso, è quel denaro con cui il forte e potente si permetteva e si è permesso di piegare ai propri voleri la dignità delle persone, che fossero o meno entusiaste di lasciarglielo fare, che fossero o meno consapevoli di essere la triste realtà rappresentata da quello specchio sempre più deformato che nel tempo è diventato l’Italia.
Soltanto quella peculiare ipocrisia perbenista e bisognosa di modelli positivi, oltre che radicalmente maschilista, tipica della nostra cultura, ha permesso che tanto venissero sbertucciate le olgettine quanto poco venissero biasimati i professionisti dell’apparenza (o uomini di spettacolo che li si voglia chiamare).
Eppure era proprio allora che si affermava, e legittimava, come mai prima il principio sovrano della prostituzione, quella stessa prostituzione che il nostro Paese catolico e quindi bigotto non vuole riconoscere nella sua versione più cruda e popolare (pensiamo alle case chiuse, ma anche alle tante povere donne lasciate in mano alla malavita, donne che pure forniscono uno dei «beni» più richiesti, fatto curioso per una società di mercato…), ma che invece è stato prontissimo a riconoscere e promuovere nella sua versione più elitaria: quella del sussiego al sovrano, del chinare la testa di fronte al potente di turno, arrivando persino a convincersi nel fondo della propria anima di quanto egli sia buono, bello e bravo.
Da questo punto di vista le olgettine hanno rappresentato una pur significativa parentesi che non serve a capire.
Quello che invece serve alla comprensione è prendere atto del fatto che da Corrado e Raimondo Vianello si è passati a Ferrara e Minzolini, ma anche a un Parlamento che, eletto dal popolo, è stato prontissimo a esprimere la propria convinzione che Ruby fosse la nipote di Mubarak (che vergogna, neanche fosse il Parlamento di Paperopoli pronto a giurare che Qui, Quo e Qua fossero i nipoti di Paperino e dello spirito santo dei paperi!).
Uno dei drammi del nostro Paese, che ne hanno minato la credibilità e onorabilità fin dalle fondamenta, è stato proprio questo esondare della fiction nella realtà, dell’artefatto nel naturale, del falso nel vero. In questo modo siamo diventati una fiction costante, siamo stati per diciassette anni un telefilm di Mediaset a cui molti hanno avuto anche l’ardire di affezionarsi, mentre per il troppo guardare la tv sempre più persone disattendevano gli studi e si costruivano, nel mondo reale, una realtà fatta di subordinazione e di creduloneria rispetto alle fanfaronate del primo degli imbonitori.
Oggi troppe persone, alla puntata finale di questa fiction, pensano che sarà agevole ripartire dopo essersi liberati del fanfarone: ma è illusione allo stato puro. Non ci si può concentrare sul fanfarone e sul disastro oggettivo in cui ci ha condotti senza cercare di comprendere perché lo hanno votato convintamente in tanti e per così tanto tempo. Perché siamo un popolo che arriva a difendere l’indifendibile e lo fa anche con entusiasmo? Perché anche tante persone perbene e dignitosamente acculturate si sono per tanto tempo imbarcate nell’impresa titanica di difendere l’indifendibile, di giustificare quella che era evidente fin dall’inizio si trattava di una masnada di affaristi cinici e incompetenti, votati al solo totem del proprio tornaconto e sempre pronti a vendersi al miglior offerente? Perché perfino tanti grandi intellettuali, tante nobili firme dei giornali e della tv sono venuti meno al dovere di denunciare con forza e coraggio quella che era anzitutto una deriva culturale e civile di un intero Paese, madre del crollo anche economico e sociale? Perché abbiamo sempre di più accettato di assomigliare, anche nella vita reale e diurna, a quel popolo di coglioni che la sera si riunisce a bocca aperta e cervello chiuso di fronte al varietà o alla fiction di turno, incapaci di comprendere che quella fiction rappresentava in realtà la nostra tragica dipartita da un mondo di buon senso e dignità?
I risultati sono universali. Oggi che cade il grande imbonitore lo spettacolo continua però ad andare avanti, perché ormai siamo chiusi da troppo tempo dentro a quella scatola magica che spegne le nostre menti e ci convince di ogni cosa. Ecco perché non c’è una sinistra che sia in grado di produrre un programma alternativo (sì, alternativo per esempio alle ricette ultra-liberiste e sanguinose della Bce!), non c’è una destra seria capace di affidarsi a qualcuno che non sia un picchiatore o un imbonitore, un centro serio capace di dire ed esprimere qualcosa di diverso dai desiderata di quella istituzione moderna e liberale (sic!) che è da secoli la Chiesa!
Ma ecco perché, soprattutto, non emerge un popolo, una società civile che sia per davvero superiore, eticamente, culturalmente, spiritualmente, a quei politici che dice tanto di disprezzare dopo averli ricoperti di voti.
Arrivati a questo punto, con un Pese in ginocchio e intere generazioni costrette al precariato eterno, dobbiamo prendere atto del fatto che siamo tutti noi gli artefici della nostra condizione, rinunciando ai facili capri espiatori e alla solita ricerca di un colpevole che regolarmente non siamo noi.
Perché la situazione di oggi è talmente drammatica da rendere realistica persino la battuta di Karl Valentin, l’amico cabarettista di Brecht, quando affermava che «un tempo il futuro era migliore!».
Ed è proprio da qui che, orfani del futuro, dobbiamo renderci conto di quella coglioneria strutturale in cui siamo piombati e darci da fare per uscire in maniera seria e responsabile da questa melma. In attesa di recuperare questo futuro, fino a quel momento dobbiamo accontentarci di aver recuperato soltanto la piena legittimità di alzare al cielo un grido corale e unanime, da popolo unito (vero, Bossi?) e capace di una necessaria solidarietà (vero, signori che vi siete arricchiti in questi anni sciagurati?). Qual è il grido? Beh, è ovvio: Forza Italia!
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{ Pubblicato il: 10.11.2011 }