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Nessun commentoPare sempre più probabile che debba essere Mario Monti a tentare l’improba impresa di trarre il Paese fuori dal pantano politico ed economico nel quale sta affogando.
Se si troverà a giocare questa partita decisiva per l’Italia, dovrà da subito, all’atto stesso della formazione della compagine governativa, porre una ipoteca decisiva sulle sorti del suo tentativo; la cui riuscita dipenderà in misura grandissima dalla capacità di scegliere i Ministri da proporre per la nomina al Capo dello Stato, nel rigoroso rispetto della lettera dell’art. 92 della Costituzione, sul difficile ma ineludibile crinale che consenta di contemperare rappresentatività politica e competenza tecnica, nel segno della più assoluta discontinuità con l’ultimo sciagurato ventennio.
Ma seppure riuscirà in questo difficile compito, Monti o chi per lui non avrà ancora fatto abbastanza.
Chi conosce le dinamiche reali del potere e delle formazione della decisione pubblica sa benissimo che servirà un’altra decisiva operazione di rinnovamento, volta a spazzare via anche il fondamentale livello del sottogoverno che ha contribuito (con parole, opere e omissioni) allo sfascio del Paese. È il livello dei Capi di Gabinetto e dei più alti dirigenti dei Ministeri, la cui nomina ha carattere eminentemente fiduciario, ma che sono stati per due decenni optimi amici omnium: uomini che in cambio di laute prebende hanno sistematicamente dato attuazione a qualsiasi infamia governativa, che non hanno mai alzato un dito per arginare lo sfascio, che alle peggiori malefatte hanno dato corpo amministrativo e forma giuridica distorta.
Se, pur risolto il rompicapo della formazione di una compagine ministeriale all’altezza, Monti o chi per lui non avesse il coraggio di cacciare dagli uffici ministeriali questa camorra di sottogoverno, che ha attraversato immarcescibile i governi di tutti i colori della cosiddetta Seconda Repubblica, senza mai imporre un criterio di razionalità o una correttezza di scelta, sottoscrivendo e bollinando ogni “porcata”, l’esito dell’esperienza di governo non potrebbe che essere infausto.
Non potrà un nuovo governo segnare la necessaria discontinuità valendosi dei servigi del tal consigliere di Stato che ha sfornato gli obbrobri legislativi della Gelmini; del tal altro che vagola da decenni tra Tremonti e Di Pietro nominando la commissione d’esame che fa vincere a sua moglie il concorso nella magistratura amministrativa; del braccio destro di Bassanini passato al mezzo servizio tra Alemanno e Montezemolo; del pretoriano di Mazzella che ha dimostrato la sua caratura tecnica finendo agli arresti domiciliari; del rampante lanciato da Sacconi ma subito sbeffeggiato per le sue illegalità sui quotidiani nazionali; né, men che mai, facendosi gattopardescamente suggerire qualche finta novità di seconda fila dal solito mammasantissima del Consiglio di Stato che sembra far tutto tranne che guidare l’authority a lui affidata, dalla solita accolita di grembiulini, da qualche alto prelato.
Se farà un simile errore, il suo destino sarà drammaticamente segnato.
E non si venga a dire che quella marcia accolita di complici del degrado è l’unica “riserva della Repubblica” disponibile. Si vada, piuttosto, a valorizzare quella dirigente generale emarginata da Brunetta che è stata (poco poco) presidente del gruppo sul management pubblico dell’OCSE; si scelga quel tal direttore dell’ufficio di controllo di Palazzo Chigi ascoltando il quale si sarebbe potuto evitare che il bubbone della Protezione Civile di Bertolaso si infettasse; si rilanci quel Consigliere di Stato che ha dovuto riparare al Quirinale per aver dimostrato schiena dritta e cervello fine; si recuperi quell’esemplare Prefetto della Repubblica cacciato con ignominia dall’Interno per aver servito il Paese e non il Governo; si rimetta in pista il Ciampi boy del Tesoro che ormai lavora più per Bruxelles che per Roma; si trovi un ruolo per i tanti segretari generali e direttori generali di Comuni che rappresentano spesso il meglio della managerialità in ambito pubblico.
Nel 1876, in occasione di una delle pochissime “rivoluzioni parlamentari” della nostra infelice storia unitaria, il nuovo governo come suo primo atto sostituì tutti i segretari generali dei ministeri, che erano lo snodo tra politica e amministrazione del tempo.
Se si vorrà tirar fuori l’Italia dal pantano occorrerà, come allora, marcare questa invisibile ma decisiva discontinuità. Cacciare il governo, ma anche il sottogoverno.
{ Pubblicato il: 11.11.2011 }