Durante i periodi di grande crisi, sia per un’organizzazione che per
un intero paese, è frequente che si verifichi un vuoto di potere di
fatto, come conseguenza dell’impotenza di fronte ai problemi posti
dalla crisi. In questi casi è altrettanto frequente che ognuno si
senta in diritto, anzi molte volte e in buona fede “in dovere”, di
dire la sua per cercare di raddrizzare la situazione, anche a costo di
proporre soluzioni un po’ troppo “originali”, per non dire infantili.
Ultimamente in Italia sono circolate diverse di queste proposte che
hanno trovato spazio anche sulla grande stampa nazionale. Vediamone
alcune:
1) comprare tutti dei titoli pubblici in modo da toglierli dalle mani
straniere… Siamo proprio sicuri che ogni acquisto verrebbe fatto su
titoli di proprietà di stranieri, o non ci sarebbe il rischio che le
banche ne approfittino per svuotare i loro portafogli o quelli dei
loro amici, come hanno fatto con i bond Parmalat e Cirio? E poi, se
gli acquisti andassero veramente all’estero, la liquidità per
comprarli verrebbe sottratta alle banche (depositi) con il rischio di
contrarre ancora di più il credito alle imprese;
2) tassare il prelievo di contante… A parte il forte dubbio che il
mero prelievo di contante possa essere considerata una manifestazione
di capacità contributiva, e quindi il connesso rischio di
incostituzionalità, vi è la considerazione che il riciclaggio di
denaro sporco, o l’esportazione occulta (ricordo che quella palese non
è vietata) di capitali non teme il pagamento di qualche percento. Per
contro si metterebbe in piedi un meccanismo complicato di versamenti,
detrazioni e rimborsi che intaserebbe ancora di più gli uffici
finanziari e quelli dei sostituti d’imposta;
3) un ulteriore aumento dell’aliquota Iva determinerebbe un vantaggio
competitivo per le nostre merci in Europa, perché le importazioni
pagherebbero un’Iva aumentata… Questa proprio non si sa da quale dato
di fatto sia stata dedotta. Nell’Ue sono vietati i dazi, e allora vi
pare possibile che sarebbe così facile aggirare questo divieto
attraverso la variazione dell’aliquota Iva? Ad alcuni, anche
autorevoli, commentatori pare proprio di si. Bontà loro! A ulteriore
precisazione va detto che in Ue si è stabilito il principio che ogni
merce sconta l’Iva del paese nel quale viene venduta. Se ne deduce che
se l’Italia portasse l’aliquota al 23% essa graverebbe allo stesso
modo sui prodotti domestici e sulle importazioni. Mentre le
esportazioni continuerebbero a pagare l’Iva del paese dove vengono
esportate, qualunque sia la variazione effettuata nel paese di
origine. In entrambi i casi, appare evidente, non si avrebbe alcun
vantaggio competitivo per chicchessia. Però il fatto che questa
corbelleria circoli, può significare che si stia cercando di
giustificare la pillola amara che ingoierebbero i ceti popolari con un
ulteriore aumento dell’Iva. Mi auguro che Monti non faccia il gioco
delle tre carte di diminuire l’Irpef e contemporaneamente aumentare
l’Iva, perché getterebbe un’ombra sul suo governo, e renderebbe la sua
dichiarata e verbalmente ostentata “equità” qualcosa di simile
all’antimercatismo di Tremonti.
[PER LEGGERE LE PRECEDENTI "TREMONTI NEWS" DI GIOVANNI LA TORRE CLICCARE NELLA COLONNA DI SINISTRA SUL VOLUME "ECONOMIA CRITICA"]
{ Pubblicato il: 30.11.2011 }