La Confindustria ha espresso la massima preoccupazione per le sorti dell’economia italiana, e ovviamente le imprese aderenti all’organizzazione non c’entrano nulla, la colpa sarà sempre dello stato, dei sindacati, della finanza, ecc. ecc.. E invece la colpa è proprio di queste, perché negli ultimi trent’anni hanno sacrificato i redditi dei dipendenti, mortificando la domanda. Si dice: “ma c’è la concorrenza cinese”; ci siamo ridotti proprio male se siamo costretti a far concorrenza sul costo del lavoro. E poi, questa questione della dumping sociale della Cina, vi risulta che mai qualcuno l’abbia portato seriamente all’ordine del giorno di qualche organismo
internazionale? A noi non pare, a cominciare dal parolaio e antimercatista Tremonti. E allora sembra proprio che faccia comodo avere una sorta di benchmark al ribasso da poter utilizzare all’interno dei paesi sviluppati, solo che non si sono ancora resi conto, o si sono resi conto ma non vogliono ammetterlo, che in questo modo hanno prosciugato l’acqua in cui nuotavano perché i prodotti restano invenduti, perché se ci sono famiglie che non arrivano alla quarta settimana del mese ci sono imprese che nella quarta settimana
non vendono. Non penso ci sia bisogno che resusciti Keynes per rendersi conto di una verità così elementare. E invece no! I dipendenti devono fare ancora altri sacrifici, la colpa è tutta dell’alto costo del lavoro e dell’alta pressione fiscale. Salvatore Bragantini all’ultima puntata dell’Infedele ha provato a sostenere che
forse le disuguaglianze nei redditi non è l’effetto della crisi, ma la
causa, ma non so neanche se è stato compreso, tanto si è prevenuti nel
dare tutta la colpa alla finanza cattiva. Effettivamente è schick dare l’impressione di intendersi di finanza, straparlare di derivati e cartolarizzazioni, come faceva Tremonti, ma soprattutto procura
sollievo ai politici e agli imprenditori, i quali invece sono stati gli autori della crisi, in tutto il mondo, non solo in Italia. E quindi consentono che in questa emergenza si diano soldi pubblici solo alle imprese, per fare cosa non si sa, visto che sono tutte in una situazione di sottoutilizzo di capacità produttiva. Questa della Supply Side Economics già aveva poco senso quando nacque, che pure aveva dalla sua la circostanza che la crisi degli anni settanta veniva
dal lato dei costi per l’aumento improvviso e notevole del costo del
petrolio e della spirale salari-prezzi, ma oggi in cui la crisi è di
domanda quelle teorie sono proprio al di fuori di ogni logica. Eppure
sono a galla e hanno conquistato tutti i governi compreso il nostro.
Prevengo l’eventuale lettore che dovesse accusarmi che sono
insensibile alle urgenze di maggiore efficienza e produttività delle
imprese, dicendo che certamente le imprese devono essere più
efficienti e liberate da vincoli ed oneri eccessivi, ma nella fase
attuale anche questa è una condizione necessaria ma non sufficiente.
Gli economisti italo americani che ci vengono a raccontare un giorno
sì e l’altro pure che la colpa è tutta della pressione fiscale che in
Italia è del 45% mentre in America è del 30%, non dicono che un terzo
circa della pressione fiscale italiana è dovuta ai contributi
previdenziali che fanno scopa con le pensioni dal lato delle uscite.
Negli Usa buona parte non solo della previdenza ma anche della sanità
è privata, e allora inviterei costoro a fare questo conto: sommare
alla pressione fiscale totale la spesa privata per la sanità e la
previdenza in entrambi i paesi, e poi vedere cosa viene nei totali da
mettere a confronto. L’altra cosa che questi “americani” non ci dicono
mai è che i loro idoli politici, Reagan e Bush per intenderci, sono
stati i presidenti più disastrosi per il bilancio pubblico del loro
paese, e questo senza che ci fosse la crisi attuale, e che il
presidente più virtuoso è stato il democratico Clinton, il quale non
andava propagandando certe idee. Non è la prima volta che negli Usa
sorgono teorie economiche ad “uso esportazione”, la differenza
rispetto a prima è che questa volta sono venuti degli italo americani
a divulgare e diffondere il verbo, oltre tutto sfruttando la
credibilità dei giornali di sinistra che li ospitano. E poi, per
favore, quando si parla degli Usa si deve sempre tener conto che la
loro valuta è moneta di regolamento internazionale, circostanza questa
che conferisce dei privilegi (come per esempio l’assenza del vincolo
dell’equilibrio nella bilancia commerciale) che gli altri paesi non
hanno, quindi i confronti economici con questo paese non hanno molto
senso. Non ci stancheremo mai di ripetere che questa è una crisi di
domanda e, dato che i bilanci pubblici sono tutti scassati, solo il
settore privato può fare qualcosa per rilanciarla, riequilibrando
l’attuale distorta distribuzione dei redditi.
[PER LEGGERE I PRECEDENTI "INTERMEZZI" DI GIOVANNI LA TORRE CLICCARE NELLA COLONNA DI SINISTRA SUL VOLUME "ECONOMIA CRITICA"]
{ Pubblicato il: 15.12.2011 }