La crisi economica e finanziaria che ha investito il mondo, e con particolare virulenza l’Italia, non produrrà, come molti pensano, la morte del capitalismo. Anche perché le alternative che propongono i suoi velleitari affossatori sono quanto mai vaghe e, in taluni casi, apertamente reazionarie. Ma se il capitalismo non è morto e non ha alcuna intenzione di morire, è certamente defunta, dopo un’agonia di qualche anno, l’ideologia neoliberista con il suo mito del mercato che risolve automaticamente i problemi senza bisogno delle decisioni politiche. Ci pare che anche le argomentazioni che Monti ha usato nella sua conferenza-stampa di fine anno confermino questa diagnosi. L’Italia non può crescere continuando a mortificare il mercato con una pubblica amministrazione farraginosa e soffocante e con una giustizia civile che spaventa tutti coloro che si rivolgono a lei; ma non decolla neppure se la politica non fa le riforme necessarie, che solo il parlamento può fare, e non mette in atto quegli ammortizzatori sociali che debbono, fra l’altro, consentire la ripresa della domanda. Il capo del governo appare fin troppo prudente e frenato, ma dalla crisi si esce giocando all’attacco. Il catenaccio non basta.

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