L’obiettivo di smaltire l’arretrato delle cause pendenti è un vecchio pallino del legislatore italiano.
Per riuscirvi la fantasia giuridica non ha limite, anche se troppe volte le montagne di pretese riforme partoriscono al più i topolini di interventi tampone straordinari (come le vecchi sezioni stralcio o altri esempi, si veda il nostro contributo su La Pelle di Zigrino.- Giustizia al rallentatore. Una riforma possibile).
Da tali strettoie non se ne esce senza ripensare, alla luce dei principi ispiratori dei modelli processuali, civile e penale, vigenti in Italia la stessa funzione del procedimento giudiziario.
In particolare uno degli elementi di maggior disagio non è solo l’incertezza degli esiti di un processo, bensì la spesso difficilmente prevedibile sua durata. Sul versante civile ciò rende particolarmente conveniente, in termini di efficienza, l’inadempimento delle obbligazioni, rinforzando quello che i giuseconomisti chiamano efficient breach (c.d. inadempimento efficiente).
Sul versante penale, la lunghezza del processo, inteso nelle sue attuali articolazioni (primo grado, appello e ricorso per cassazione), rende maggiormente allettante la scelta del dibattimento, anziché dei riti alternativi deflattivi, posto che l’eccezionale lentezza spesso conduce ad una pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Nel processo penale questa maggior appetibilità del dibattimento svilisce la funzione che i riti alternativi [In particolare il giudizio abbreviato e l’applicazione della pena su richiesta delle parti, il c.d. patteggiamento.] dovrebbero assumere di deflazione del carico pendente tramite il riconoscimento di sensibili incentivi premiali in termini di pena.
Se, infatti, nelle dinamiche virtuose (si pensi ai modelli di common law, dai quali il processo penale della riforma aveva voluto trarre ispirazione) la quota dei procedimenti svolti in dibattimento è minimale, a fronte della definizione alternativa del procedimento, in Italia la lentezza dell’accertamento inverte tale dinamica contribuendo alla paralisi del sistema di accertamento.
Per facilitare la comprensione della materia, proponiamo di seguito alcune brevi riflessioni sulla struttura e le finalità dei modelli processuali.
Il processo penale.
Tra i modelli processuali ai quali il nuovo processo penale italiano del Codice Vassalli si ispirava vi era il modello dell’adversary trial dei sistemi di common law.
Nel sistema adversary ciò che muta è l’epistemologia del processo. Si abbandona la logica immanente del modello inquisitorio che vuole, infatti, un processo ad approssimazioni successive indirizzato alla ricerca della Verità.
Il modello adversary o accusatorio, tipico degli sistemi di common law, invece, postula un accertamento della verità di tipo convenzionale/stipulativo.
Ciò che importa è che nell’indagine volta ad accertare un evento e la sua riconducibilità ad un imputato, tipica di qualsiasi sistema penale, il punto focale è posto sul metodo col quale si accerta un determinato fatto, non il fine ultimo ovvero la Verità dei modelli inquisitori.
Logica conseguenza è che non si vuole, nei modelli di common law, un accertamento per approssimazioni successive ma ci si “accontenta” di quella verità emersa all’esito del contradditorio pieno.
Simili presupposti epistemologici postulano un diverso sistema delle impugnazioni.
Il processo penale italiano ha riformato il proprio procedimento sommando le garanzie, tendenziali, che sarebbero derivate dal modello accusatorio, al procedimento conoscitivo della Verità proprio del modello inquisitorio: di qui la mantenuta previsione di tre gradi di giudizio, due dei quali – il primo e l’appello – volti all’accertamento del fatto, mentre il giudizio di cassazione mantiene la finalità di giudizio di legittimità.
Il modello accusatorio, invece, prevede un grado di merito nel quale si conosce del fatto, in contraddittorio (salvo che non si opti, nella stragrande maggioranza dei casi, per un rito alternativo/deflattivo), mentre l’appeal è anch’esso un giudizio di legittimità.
Tale ratio è evidente in particolare nel modello nordamericano dove la costituzionalizzazione del trial by jury (ovvero il giudice del fatto che pronuncia il verdetto, vere dictum, è un collegio di dodici cittadini laici), permette di confermare empiricamente come il giudizio di appeal non sia l’omologo funzionale del nostro appello (in secondo grado, infatti, non vi è un’ulteriore presenza della giuria perché il fatto è accertato, positivamente o meno, nel primo grado).
In sintesi: ciò che il legislatore italiano non ha voluto fare è stato il ripensamento, sulla base di quel diverso presupposto epistemologico, del sistema delle impugnazioni, munendo il processo penale italiano di cintura e bretelle, rendendo ingestibile, anche in termini di lunghezza, l’intero accertamento della responsabilità penale che in una logica garantista, appunto, non può essere destinatario di un sforzo indeterminato. Di qui la falla aperta nel sistema complessivo. Invece di optare, quando utile e possibile, su di un rito alternativo/deflattivo, si è sistematicamente prediletto il dibattimento che, grazie alla sua ridondanza, consentiva più agevolmente di lucrare la prossima, e sempre prediletta, prescrizione del reato.
Diversi i limiti del procedimento civile.
In tali materie l’appello mantiene la funzione di una impugnazione a critica libera, con divieto di domande nuove nel secondo grado. Nel giudizio di cassazione, come in sede penale, ci si limita ad un vaglio di legittimità.
Per come è strutturato, il grado di appello civile diviene una seconda revisione di quanto avvenuto in primo grado, salva l’eventuale acquisizione di istanze istruttorie già chieste in primo grado e respinte dal Giudice.
Nella prassi il giudizio di appello è una sostanziale reiterazione del primo grado [Su questo punto non diviene determinante la percentuale di riforma della precedente decisione, bensì il materiale sul quale si è chiamati a decidere].
Una tale dinamica conduce ad una spesso automatica impugnazione delle sentenze di primo grado, con sottrazione di risorse e atteggiamenti spesso meramente defatigatorie.
Avendo chiare queste premesse è più agevole comprendere come intervenire per una fattiva riforma del processo, finalmente scevra da interessi personali dei pretesi riformatori.
4 gennaio 2012
http://www.linkiesta.it/blogs/la-pelle-di-zigrino/contributi-una-riforma-della-giustizia-un-nuovo-modo-di-concepire-il-proce#ixzz1iy4sLdSx
{ Pubblicato il: 09.01.2012 }