Vi è stata la fase 1 “salva Italia” dove sono stati fatti fare grossi sacrifici ai ceti medi e popolari (e altri ve ne saranno se scatterà l’aumento Iva al 23%), vi è stata la fase 2 “cresci Italia” delle cosiddette liberalizzazioni, si preannuncia ora una fase 3 delle “semplificazioni”. Va bene, diamo ancora fiducia a questo governo e confermiamo che se sedessimo in Parlamento gli voteremmo a favore. Però non nascondiamo che cominciamo a sentirci come il Pasquale dell’
“esipodio” di Totò, quello che prendeva schiaffi da uno sconosciuto ma non reagiva perché voleva vedere “dove vuole arrivare”. E sì, perché finora, ci pare non sia stata aggredita nessuna delle cause vere e profonde del cosiddetto declino italiano. In una nota redatta per la Fondazione Critica Liberale, quale capitolo economico del progetto “Il Partito che non c’è (ancora)”, ho scritto che i due presupposti strutturali principali del declino italiano sono l’elevato debito
pubblico e il livello di corruzione, e la spiegazione è presto fatta. Le entrate complessive della pubblica amministrazione ammontano all’incirca a 660 miliardi di euro, così suddivise (cifre arrotondate e non aggiornate):
• - imposte dirette 230 mld.
• - imposte indirette 220 mld.
• - oneri sociali 210 mld.
Se pensiamo che gli oneri sociali hanno una loro compensazione e destinazione obbligata nelle prestazioni pensionistiche, sono le altre due voci che finanziano le prestazioni della pubblica amministrazione (istruzione e ricerca, sanità, provvedimenti per lo sviluppo, difesa e ordine pubblico, esercizio della giustizia, ecc.). Il costo annuale per gli interessi sul debito pubblico ammonta ormai a quasi 80 mld. di euro, l’entità della corruzione è stata calcolata dalla Corte dei Conti in altrettanti 80 mld. di euro; assumendo che l’entità della corruzione si trasforma in uguale costo per la pubblica amministrazione (ma temiamo che il costo sia maggiore), in totale vi
sono 160 mld. di euro che escono dalle casse dello stato senza che si
producano servizi e prestazioni a favore dei cittadini. Il 70% circa,
più dei due terzi, delle imposte dirette (cioè quelle di cui le
persone avvertono materialmente il pagamento) non tornano indietro al
cittadino attraverso servizi della pubblica amministrazione. La
sensazione diffusa che gli italiani hanno di ottenere dallo stato meno
di quanto danno è una sensazione giusta e deriva dal servaggio della
corruzione e del debito pubblico. Il giorno che i cittadini si
renderanno conto di questo forse potrà cominciare una nuova fase nello
sviluppo del nostro paese. Ma c’è bisogno che qualcuno che sta su
glielo dica. Nella graduatoria sulla corruzione redatta da
Transparency International nel 2011 l’Italia figura al 69° posto: un
paese del G7 che come corruzione compare al 69° posto, una cosa
desolante. Meno corrotti di noi vengono ritenuti numerosi paesi
appartenenti al cosiddetto Terzo Mondo. Ma la cosa ancora più
raccapricciante è il voto medio che viene dato all’Italia: 3,9 (la
sufficienza è 6). Se consideriamo i paesi europei che più sono a noi
paragonabili come posizione internazionale e livello economico,
notiamo che la Germania (14°) ha un voto di 8, Regno Unito (16°) ha un
voto di 7,8, la Francia (25°) ha un voto di 7, la Spagna (31°) ha un
voto di 6,2. Come si vede hanno tutti la sufficienza piena, e con tali
voti diventa perfino secondario il posto in classifica. Quando si dice
che gli investitori non vengono in Italia a causa dell’alto costo del
lavoro e l’alto livello della tassazione si mente e, molte volte,
sapendo di mentire: in Italia non si viene perché si ha il terrore di
essere taglieggiati, e questo è emerso in importanti ricerche. La
corruzione diffusa, come si registra in Italia, altera la concorrenza
non a favore delle imprese più efficienti ma di quelle dalla tangente
facile, seleziona una classe politica e, più in generale dirigente,
molto scadente, avvelena il processo democratico. Pensiamo che la
corruzione sia alla base anche del cancro dell’evasione fiscale.
Purtroppo finora pare che i due temi non siano stati messi neanche in
agenda. Gli stessi sacrifici imposti serviranno a ridurre il deficit,
ma non aggrediscono minimamente il debito, che anzi continuerà ad
aumentare. Quando si dichiarerà la lotta alla corruzione? Perché non
si introduce un’imposta patrimoniale da destinare esclusivamente alla
riduzione del debito, creando una sorta di “gestione separata”? Infine
un’ultima domanda al governo Monti: sono stati chiesti e imposti
sacrifici ai cittadini. Alle imprese cosa si è chiesto finora? Nulla,
si sono solo dati dei soldi. Per fare cosa? Boh!
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{ Pubblicato il: 27.01.2012 }