Abbiamo definito il governo complessivo che guida l’Europa un
“monocolore di destra”, e di questo monocolore fa parte anche il
nostro governo. La destra non può farci uscire da questa crisi per il
semplice fatto che l’ha determinata con il modello sociale introdotto
sin dagli anni 80 e che si ostina a perpetuare. Ormai l’organo
ufficiale italiano di questo monocolore pare stia diventando
Repubblica e questo non solo con gli interventi di economisti di fede
iperliberista (v. anche P. Pellizzetti su www.criticaliberale.it), ma,
ultimamente, anche attraverso gli editoriali del suo fondatore. Quello
di domenica scorsa era specificatamente indirizzato alla Segretaria
della Cgil perché si autolimitasse nelle richieste. Per essere
persuasivo ha riportato dei passi di un’intervista a Lama del ’78,
nella quale lo storico segretario prendeva atto di dover limitare le
richieste salariali. La Camusso gli ha risposto in maniera pertinente
il giorno dopo ricordando, tra l’altro, che nel ’78 era tutt’altra
cosa la ripartizione dei redditi tra capitale e lavoro. Inoltre ha
ricordato che lo svilimento eccessivo del salario e del lavoro è causa
e non effetto del calo di produttività che si è avuto in Italia (V.
anche Ricci, Damiani e Pompei su www.lavoce.info) in quanto
disincentiva l’innovazione e gli investimenti in tecnologia. Infine ha
sostenuto la tesi che cerchiamo di affermare sin dallo scoppio della
crisi e cioè che i bassi salari, a livello globale, hanno provocato la
crisi di domanda che ci ha portati alla recessione. E qui la Camusso
poteva aggiungere una considerazione che aggiungiamo noi al suo posto.
Nel ’78 le difficoltà delle economie avevano origine dai costi di
produzione delle imprese, per effetto delle crisi petrolifere, oggi
invece le difficolta provengono dal crollo della domanda, il quale
prima della crisi era stato nascosto dall’espansione del credito al
consumo, che aveva compensato l’insufficienza dei redditi disponibili.
Riportiamo di seguito un passo del più grande economista italiano del
secondo novecento, Paolo Sylos Labini, che è utile a far capire
benissimo cosa è accaduto prima e ci ha portato alla crisi attuale:
«Non pochi economisti ritengono che in un sistema capitalistico
l’aumento di profitti, per quanto criticabile sul piano dell’equità o
della giustizia sociale, non può che giovare all’economia e al suo
sviluppo. Ma le cose non stanno cosí. Già Smith nella sostanza aveva
respinto – giustamente – un punto di vista come quello ricordato. La
verità è che in ogni data situazione, come si è già detto, c’è un
optimum nella quota e nel saggio di profitto, particolarmente nel
settore industriale: un saggio decrescente, almeno da un certo punto
in poi, frena l’accumulazione – come tante volte si è sostenuto; ma un
saggio crescente di profitto di norma è l’indice di una flessione
della quota di reddito che va al lavoro dipendente; e ciò non può non
riflettersi in un indebolimento del tasso di crescita della domanda
dei beni di consumo e, indirettamente, nella domanda dei beni di
investimento: l’intero processo di sviluppo risulta frenato.» (Le
Forze dello Sviluppo e del Declino. Laterza 1984).
[PER LEGGERE I PRECEDENTI "INTERMEZZI" ALLE T.(remonti) N.(ews) DI GIOVANNI LA TORRE CLICCARE NELLA COLONNA DI SINISTRA SUL VOLUME "ECONOMIA CRITICA"]
{ Pubblicato il: 31.01.2012 }