A favore 199 deputati, contrari 74 e 5 gli astenuti.
Questi sono i numeri con cui il parlamento greco ha votato il 13 Febbraio le nuove misure d'austerity, che com'è noto sono la conditio sine qua non della così detta “troika” (nome di dubbio gusto tra l'altro) per sbloccare il nuovo aiuto multimiliardario verso i vuoti forzieri ateniesi.
La necessità di chiedere alla Grecia duri sacrifici è stata messa più volte in discussione.
Sono state a lungo sul tavolo altre ipotesi : un default “controllato” con conseguente uscita dell'euro, un rientro solo parziale con il sacrificio dei creditori più esposti, un tentativo di negoziazione con le banche per un posticipo, quasi sine die, dei pagamenti.
Nei momenti di maggior tensione si è sentito ventilare da autorevoli fonti comunitarie l'ipotesi di un'uscita della Grecia dall'euro e forse anche dall'Europa.
Alla fine è prevalsa l'opzione di salvare il paese grazie alla “rete protettiva” della troika, a patto di grandi sacrifici per i cittadini greci.
Altre ipotesi,sul breve periodo, forse sarebbe convenute di più ad Atene.
Non sarebbe stato più semplice e leggermente meno doloroso accettare lo spiraglio di un'uscita dall'euro, ripudiare se non altro una parte del debito, magari quello con l'estero, e dare il via ad una controllata inflazione, tentando di creare un forte sistema di export e di conseguenza una ripresa dell'occupazione e dell'economia?
Sul breve periodo probabilmente si.
E anche le altre strade sarebbero state sul breve periodo migliori ma sopratutto, cosa che dovrebbe essere più importante per un parlamento eletto, più popolari.
Ciò nonostante si è decisa la linea del sacrificio.
Il motivo è che un tentativo di aggiustamento dei conti pubblici, per quanto doloroso, è certamente la strada migliore sul lungo periodo.
Aiuta infatti in primo luogo la Grecia a recuperare,passo dopo passo, una propria credibilità come sistema-paese e inoltre a mantenere buoni rapporti con l'Europa in cui molte banche sono esposte con il debito pubblico ellenico (mettendo quindi a rischio la stabilità finanziaria di molti paesi).
Ma sopratutto aiuta a non creare un pericoloso precedente.
Infatti se la Grecia uscisse dall'euro o addirittura dall'Europa si delineerebbe un precedente gravissimo, ossia che uno stato membro possa lasciare l'Unione per propria convenienza.
In pratica passerebbe il messaggio che l'Unione Europea non è altro che un'alleanza tra Stati, una lega, che è auspicabile non di per sé, ma solo in quanto porta benefici ai propri aderenti.
Se uscisse dall'Unione uno Stato in crisi, perché non potrebbe uscire invece uno, come la Germania, che non avesse un giorno (un giorno molto lontano da oggi,è evidente) più bisogno del mercato comune?
Se l'Unione Europea fosse letta come una semplice alleanza inter-governativa il suo destino sarebbe segnato e non si potrebbero più fare passi avanti né verso una Federazione Europea,
né verso i vaghi buoni propositi di Lisbona.
Il parlamento e la commissione vedrebbero erosa ogni parvenza d'autorità.
La coscienza di questo, se non altro, dovrebbe farci stimare la soluzione ateniese.
Una soluzione politica non solo economica.
Ovviamente si può contestare la correttezza di questa decisione rispetto ad altre, meno invasive e generatrici di minore tensione sociale.
Ciò che non si dovrebbe contestare è lo scatto d'orgoglio che ha dimostrato in questi giorni la classe politica greca.
A prima vista questo può sembrare un paradosso: di certo non è all'orgoglio che si pensa quando si vedono i rappresentanti delle istituzioni greche sentirsi dettare la propria politica interna a Bruxelles, per poi tornare ad Atene per “fare i compiti a casa”.
Certamente questa è una limitazione de facto di una sovranità nazionale.
I partiti moderati che hanno sostenuto e continuano a sostenere il progetto di ricostruzione del primo ministro Papademos si sono presi una grande responsabilità data la drammaticità della situazione, forse superiore anche a quella dei partiti italiani.
La scelta di sostenere una strada di rigore per rimanere in Europa e continuare a gestire l'emergenza in un sistema comunitario ci dimostra un notevole senso di responsabilità e di orgoglio.
Anche il partito conservatore “Nuova Destra”, artefice della crisi, sembra aver cambiato rotta rispetto all'opposizione populista che fino a pochi mesi fa guidava contro i socialisti del Pasok.
In Grecia, come in Italia, sostenere un governo d'emergenza impopolare potrebbe aprire una voragine tra la classe politica e la propria base elettorale, favorendo le campagne demagogiche delle ali estreme.
Tuttavia ci si dovrebbe chiedere che serietà avrebbe un sistema democratico se non si assumesse questo tipo di responsabilità.
Per chi crede nella democrazia, nella vera democrazia libera dal populismo e dalla “tirannia della maggioranza” su cui già Tocqueville ci aveva messi in guardia, una scelta politica giusta ma impopolare appare come un segnale della correttezza del sistema democratico.
Un sistema che dovrebbe mirare a ricercare la soluzione più vantaggiosa per i cittadini senza farsi eccessivamente condizionare dalle ricadute che questo potrebbe avere per una futura rielezione.
Un politico, o una classe politica, che sappia prendere questo genere di decisioni dà credibilità all'intera architettura democratica e dà spessore alle decisioni del policy-maker, uno “stratega” della polis e non uno schiavo dei sondaggi.
Chi crede nella democrazia è anche convinto che, sul lungo periodo, si darà merito a chi ha saputo fare scelte lungimiranti e non a chi in un momento di crisi ha scelto la strada più facile.
E' stato detto,specialmente dai nostalgici del centralismo democratico, che la situazione politica in Grecia dimostra la corruzione dell'attuale sistema democratico, sempre più chiuso nei propri meschini interessi di partito ed indifferente alla sofferenza del popolo.
In realtà il governo Papademos dimostra esattamente il contrario: come la democrazia si possa salvare, anche in momenti d'emergenza, dalla tirannia dell'umore popolare e dalla demagogia.
In ogni momento d'emergenza c'è sempre chi è pronto ad invocare uno stato d'eccezione, spesso con l'accusa che il sistema precedente non aveva saputo prendere decisioni.
La vera scusa di ogni rivoluzione,la sua “aura di legittimità”, sta non tanto nell'inefficacia delle decisioni di un sistema quanto nella sua mancanza di decisioni.
Il sistema democratico è particolarmente volubile a questa mancanza, perché per ovvi motivi rimane spesso bloccato tra veti incrociati.
Il fatto che il sistema politico greco non si sia bloccato, ma anzi abbia saputo (dopo molte esitazioni) prendere finalmente decisioni impopolari, senza ledere i fondamenti della democrazia, dimostra in realtà la forza del sistema democratico e la sua validità ancora oggi.
E' un caso d'orgoglio, d'orgoglio della democrazia rappresentativa, che, se non vacillerà, saprà allontanare gli spettri degli estremismi e trovare una soluzione all'attuale crisi.
Se ogni democrazia nel vecchio continente saprà nei prossimi anni tenersi salda sui propri principi costituenti, sarà certamente più agevole la strada per una democrazia europea trasparente, in un parlamento europeo sovrano, che sappia interpretare responsabilmente il mandato affidatogli.
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{ Pubblicato il: 06.03.2012 }