gim cassano
Nessun commentoQuest’impressione conferma quella avuta a proposito delle cosiddette misure di rilancio e liberalizzazione dell’economia, dove si affiancavano provvedimenti di nessuna efficacia pratica ad una proposta più dannosa e perversa che inutile, ma che aveva il pregio comunicativo di esser dotata di elevato contenuto simbolico e propagandistico (la modifica dell’Art.41 della Costituzione).
Detta in altri termini, il cavaliere ha capito di non potersi limitare al tentativo di rispondere al discredito ed alle accuse che gli piovono addosso dall’opinione pubblica italiana e straniera sfuggendo in un modo o nell’altro ai processi, ed ha capito di dover cercare di giustificare la propria inamovibilità dandosi l’apparenza di uno statista, trasferendo la discussione dalle sue personali necessità a concetti generali e non riconducibili al fatto personale: ed ecco così il solerte corifeo Galan che, riferendosi alla riunione del consiglio dei ministri che ha varato la proposta, dichiarare prontamente che si è trattato di un dibattito “alto”.
In effetti, nella proposta del governo non è rintracciabile nulla che possa essere specificatamente riferito alle vicissitudini giudiziarie di Papi, salvo la concezione generale del ruolo della magistratura giudicante e della pubblica accusa. Ed occorre anche considerare come i due punti-chiave di questa proposta non possano essere di per sé considerati come eversivi dei fondamenti costituzionali dello Stato di Diritto. L’autonomia della Magistratura non è affatto messa in discussione dal fatto che i magistrati debbano rispondere civilmente dei loro possibili errori con colpa; e neanche è messa in discussione dal fatto che alla separazione funzionale tra PM e giudici possa corrispondere una separazione di carriere e di organi di controllo.
Non mi pare quindi, che un’opposizione che non intenda mettere da parte una concezione garantista della Giustizia possa, in nome della separazione dei poteri e dell’autonomia della Magistratura, cadere nella trappola di contestare in quanto tali l’introduzione della separazione delle carriere e della responsabilità civile del Magistrato: non verrebbe capita da chi comunque ritiene che una riforma della Giustizia sia necessaria, e cioè dalla quasi totalità degli italiani, i quali finirebbero col concludere con un sonante “almeno questo ci ha provato!”.
Detto questo, l’inefficacia della proposta governativa per un verso, ed i suoi frutti avvelenati per l’altro, sono invece rivelati da altri aspetti che si collocano a valle dei principii generali e degli slogans che la informano, e che però nel concreto la improntano in senso autoritario ed opposto ai principii di separazione dei poteri e di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; e, quel che è più grave, antigarantista. Ed è su questi aspetti che invece dovrebbe mobilitarsi l’opposizione.
Intanto, occorre rilevare come questa non sia una Riforma della Giustizia, ma molto più prosaicamente e nel concreto, una Riforma, o Controriforma, della Magistratura, e limitata al puro aspetto penale. Nulla di quanto è stato previsto potrebbe condurre alla riduzione dei tempi dei processi; nulla, se non il timore dei magistrati di esser chiamati a pagare e la non appellabilità delle sentenze di assoluzione, modificherebbe i diritti dell’imputato o della parte civile (e cosa succederebbe dei diritti di quest’ultima ove ritenga non giusta la sentenza di assoluzione in primo grado?); nulla renderebbe più celeri le indagini preliminari, anzi avverrebbe il contrario e, se possibile, con ancora minori garanzie per l’indagato.
L’impianto autoritario si rivela quando, cercando di eludere il principio generale dell’obbligatorietà dell’azione penale, si stabilisce che questo resti valido salvo le priorità stabilite da leggi ordinarie, cioè dal Parlamento. Essendo apparso eccessivo il ledere apertamente tale principio, si è preferito affidarne la violazione alla legge ordinaria, con la motivazione che la politica giudiziaria spetti non ai giudici, ma alla sede politica dei rappresentanti del popolo, cioè al Parlamento.
Questo sarebbe un principio anche accettabile per un convinto sostenitore della democrazia parlamentare, salvo l’ovvia constatazione che, in un Parlamento come questo, tendenzialmente bipolare e che comunque va avanti a suon di conversioni di decreti e di voti di fiducia, e composto da signori che, lungi dal rappresentare il popolo, rappresentano invece se stessi e le segreterie dei partiti che li hanno nominati, parlare di autonomia del Parlamento rispetto all’Esecutivo sembra del tutto irreale. Sarà cioè nei fatti l’Esecutivo a stabilire le priorità nell’esercizio dell’azione penale. E non credo, visti i precedenti, che i reati di concussione e corruzione, di falso in bilancio, di frode fiscale, verranno giudicati più “pericolosi” rispetto ad altri. Se è vero che, nei fatti, e nelle condizioni attuali della giustizia, l’obbligatorietà dell’azione penale non può esercitarsi nei confronti di tutti i reati, l’affidare all’esecutivo la scelta dei reati da perseguire e di quelli da considerare residuali.non appare la miglior soluzione, non appare degna di uno Stato di Diritto, ed appare lesiva dei principii della certezza del diritto e dell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge.
Un ragionamento analogo vale per quanto riguarda la composizione degli organi di autogoverno delle due Magistrature. Questi, attraverso gli effetti combinati dell’aumento della quota dei laici e del sorteggio dei togati, saranno controllati di fatto dalla maggioranza di governo: cioè dall’Esecutivo. L’indipendenza della Magistratura viene meno nel momento in cui questa è sottoposta, dal punto di vista disciplinare e delle carriere, degli eventuali conflitti di competenza, del controllo della legittimità degli atti, al controllo di un organo collegiale nella cui formazione l’Esecutivo avrà comunque l’ultima parola. Specie se la presidenza dell’organo di autogoverno dei PM sia affidata al Presidente della Corte di Cassazione.
Ed infine, appare gravissimo l’annunciato stravolgimento del rapporto di diretta dipendenza degli organi di Polizia Giudiziaria al Pubblico Ministero, destinati a venir limitati con legge ordinaria, e la connessa possibilità agli organi di polizia di procedere con indagini autonome e senza il controllo di alcun magistrato, con quali garanzie per il cittadino qualsiasi è facile immaginare. In pratica, organi alle dipendenze dei Ministeri dell’Interno, della Difesa, delle Finanze, potranno procedere ad indagini autonome nei confronti di chiunque e senza rispondere ad alcuno. Ma davvero possiamo pensare che indagini autonome di Polizia di Stato o Carabinieri possano offrire ad un cittadino qualsiasi garanzie maggiori di quelle attuali, e che non siano dirette in quelle direzioni cui il governo, e non un organo autonomo, annette maggiore importanza o urgenza?
E’ quest’ultimo aspetto che svela la reale portata antigarantista della cosiddetta riforma “epocale”. In effetti, essa, ininfluente in termini di effettiva riforma della Giustizia, risulta improntata unicamente al criterio di addomesticare le Procure al controllo politico dell’Esecutivo e di sottrarre loro il controllo e la disponibilità degli strumenti necessari ad adempiere il loro compito.
Di “epocale”, in questa riforma, vi è il tentativo di trasferire l’azione penale sotto il controllo della casta politica, ed in modo particolare, dell’esecutivo, come ulteriore ed importante tassello della concezione delle Istituzioni e dello Stato di Diritto che più volte questa maggioranza ed il suo leader hanno espresso.
Chi sia convinto di ciò deve valutare attentamente come stabilire il proprio modo di opporsi a questa “riforma”, pena il non riuscire a giustificare razionalmente la propria posizione; come detto, i frutti avvelenati non stanno nel concetto astratto della separazione delle carriere: sono a valle, nel modo col quale questi vengono attuati, in quello spazio che sta tra il principio generale e costituzionale e la legge ordinaria.
(14-03-2011)
{ Pubblicato il: 15.03.2011 }