gino pagliuca
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Il dibattito sulla crisi è al centro de “La comoda menzogna” (edizioni Dedalo, euro 16), un volume scritto da Giovanni La Torre, autore di fortunati testi di divulgazione economica. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Lei sostiene che alla base della crisi vi è anche la crescente sperequazione tra i redditi. L’impressione è che il dopo crisi abbia accentuato le differenze anziché diminuirle. Significa, allora, che la bassa crescita è destinata a durare a lungo?
Come hanno dimostrato economisti ben più autorevoli del sottoscritto, come Stiglitz, premio Nobel 2001, e Fitoussi, la causa prima di questa crisi globale sta proprio nella mortificazione dei redditi bassi e medio bassi che si è avuta a partire dagli anni Ottanta del Novecento. Lo spostamento dei redditi dai salari ai profitti è un dato certificato da innumerevoli ricerche anche del Fondo Monetario Internazionale, quindi è ormai un fatto assodato. È evidente che questa situazione ha comportato un grave problema di domanda e, di converso, un “eccesso di risparmio”, che ha vagato alla ricerca di speculazioni. Da qui, l’ubriacatura finanziaria ed immobiliare che abbiamo avuto ed, alla fine, l’esplosione di tutte le bolle. La crisi, quindi, già c’era da prima, solo che era nascosta dalla bolla del facile credito (al consumo), che suppliva all’insufficienza dei redditi spendibili. Il tutto è crollato quando quei finanziamenti avrebbero dovuto essere rimborsati. Lì, si è visto che i redditi non erano sufficienti e la crisi non è potuta più essere nascosta.
Sennonché, la crisi ha comportato un’accentuazione di queste sperequazioni, la cui soluzione vera non potrà avvenire nel breve termine. Infatti, hanno ripreso a crescere solo i Paesi che contano sulle esportazioni (Cina e Germania), ma questo è un modo che non può essere esteso a tutti, per il semplice fatto che il mondo intero non commercia ancora con altri pianeti. Se non si alimenta la domanda interna, soprattutto dei Paesi esportatori, ogni ripresa sarà sempre molto precaria. Questa è una crisi globale: o ci si salva tutti, o non si salva nessuno.
La confusione regna tra gli economisti: ci sono analisi effettuate con l’avallo della Confindustria che sostengono il fallimento del liberismo, altre di studiosi vicini alla Cgil che temono un maggiore interventismo dello Stato. Come si spiega?
Si tratta di una delle conseguenze della fine dell’impero sovietico. Tra i liberisti si sono avuti due tipi di reazioni: da una parte, c’è chi ha approfittato della fine dell’avversario per spingere sull’acceleratore dell’iperliberismo, da qui la svolta del reaganismo; dall’altra, chi, invece, liberatici tutti dai vincoli ideologici della guerra fredda, ha cominciato a pensare più liberamente, vedi la ricerca di Stiglitz-Fitoussi commissionata dalla Luiss. Dalla parte della sinistra, vi è stato chi ha reagito acquisendo una maggiore libertà e autonomia intellettuale, ma anche chi, per eccesso di reazione, ha assunto posizioni più liberiste dei suoi ex avversari. Purtroppo, questo atteggiamento da parte di certa sinistra rischia di non farci cogliere l’occasione della crisi per voltare autenticamente pagina.
Lei dice anche: “È errato prendersela con la globalizzazione”. Però, se prima c’era un miliardo di persone benestanti e ora sono diventate tre, il tenore di vita del miliardo originario è destinato a diminuire …
In termini relativi, senz’altro ... Ma vogliamo forse pensare che il mondo debba rimanere cristallizzato allo stesso modo per sempre? Che chi è nell’indigenza lo resti per sempre? In questi giorni, ci si meraviglia che la Cina abbia superato il Giappone nella classifica del Pil. Ma, la Cina ha dieci volte la popolazione del Giappone; basta che ogni cittadino cinese produca un decimo di quanto produce quello giapponese ed ecco che ha raggiunto il Giappone. Vogliamo che il cittadino cinese continui a produrre meno di un decimo di quello giapponese? Non dimentichiamo che se, negli ultimi vent’anni, è andata avanti anche l’economia reale nel mondo intero, e non solo quella finanziaria, ciò è dovuto solo alla crescita dei Paesi emergenti, Cina in testa, che costituiscono ormai la vera locomotiva della crescita mondiale. Piuttosto, preoccupiamoci di battere la Cina sfruttando e cercando di mantenere il vantaggio acquisito nei decenni scorsi in termini di tecnologie, professionalità ed innovazione, non rincorrendola solo sul piano del costo del lavoro, perché non la batteremo mai.
Lei scrive sulla teoria della decrescita di Latouche; che ne pensa?
Quella teoria è valida come invito ad assumere certi comportamenti nei consumi e negli sprechi che tengano conto degli equilibri ambientali e della qualità della vita. Però, considero quella scuola di pensiero molto debole sul piano scientifico e, sotto certi aspetti, anche pericolosa, se dovesse prevedere norme cogenti di comportamento nei consumi, perché abbiamo già visto nel Novecento cosa hanno determinato quelle teorie che hanno voluto imporre alle persone cosa e come consumare.
Aspettative di vita più lunga, pensioni decrescenti, timore di disoccupazione: ammesso che si possano far crescere i redditi, non c’è il rischio che l’eventuale surplus si trasformi in risparmio e non in consumi?
Dipende a chi vanno quegli aumenti di reddito. Ad ogni buon conto, prima di concludere, vorrei precisare meglio un concetto per evitare equivoci. Non voglio dire che i profitti sono negativi. Tutt’altro. Diventano negativi, come ci insegna Keynes o Sylos Labini, quando sono eccessivi e comprimono i redditi destinati ai consumi. Perché è vero che gli stessi investimenti si fanno con i profitti, oltre che con il credito, ma è anche vero che, se non ci sono prospettive positive di vendita dei prodotti che si andranno a produrre, quegli investimenti non si faranno mai. Allora, in quel caso, i profitti si indirizzano verso la speculazione e provocano i disastri che abbiamo visto. Come diceva Sylos Labini, ci deve essere un equilibrio tra profitti e salari. Dagli anni Ottanta del Novecento in poi, l’equilibrio si è rotto a favore dei profitti e dei redditi alti e questo ha provocato i disastri che stiamo vedendo.
pubblicata su gdweek
- 7 marzo 2011www.gdoweek.it - www.gdoweekTV.it
{ Pubblicato il: 16.03.2011 }