federico orlando
Nessun commentoQuelle buone si vedono, appena usciti di casa, piccole e a volte sghembe, cucite a mano, issate su canne o pendenti da finestre, talune col vecchio stemma, che qualche rigattiere o amatore comprò all’Unione Militare, quando esisteva. Di quei tricolori che ti parlano al cuore abbiamo diffidato, buoni per romanisti e laziali la domenica quando gioca la nazionale.
Ecco la patria, tricolori da sventolare per i goal. Oggi non è più così, la patria non è più limitata al pallone. È capitato un evento che nessuno, sotto i cinquant’anni, aveva potuto conoscere: né nel 1911 nel 1961, oggi l’Italia fa 150 anni. La giovinezza continua.
«La giovinezza non ha età», dice Giorgio Albertazzi queste sere al Quirino, dove recita Cercando Picasso. Nudo come il grande pittore, perché la giovinezza non ha età. Mentre «lunghissima è l’età per conquistarla ».
Ripassiamo la storia: rivolte, moti, poesie di Alfieri Prati Foscolo, guerre d’indipendenza, abdicazioni di re e impiccagioni di congiurati, monarchie, repubbliche, costituzioni, concordati e dopo 150 anni, per tenere in allenamento la giovinezza, ecco i secessionisti che stamattina non saranno in parlamento ad ascoltare il capo dello Stato; ecco i falciatori di cultura, che rischiano di fomentare un mutamento antropologico del paese Al Quirinale è andato invece ieri il segretario di stato Bertone, a portare gli auguri del papa al presidente. Quando studiavo storia del diritto ecclesiastico alla Sapienza, il mio professore Arturo Carlo Jemolo non avrebbe scommesso, da cattolico liberale, su un simile evento, in democrazia. Aveva scritto il suo capolavoro Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, dalla sconfitta di Carlo Alberto a Novara al travaglio del primo dopoguerra. E in quel lungo periodo non aveva trovato che guerre fra le due forze che ai cattolici liberali come lui sembravano le colonie su cui costruire l’Italia: le istituzioni maturate in Piemonte nei decenni liberali e il cattolicesimo guidato dalla Chiesa.
Di Gioberti non s’è parlato in questi mesi. S’è temuto di spacciarlo per teocon, con quella parte meno felice del suo progetto, la federazione degli statereli sotto la presidenza del papa. Un altro visionarismo, dopo quello laico di Cattaneo, repubblicano ma non unitario come Mazzini. E Gioberti, ch’era stato mazziniano, se n’era allontanato, «politico d’immaginativa, non di ragione». L’Italia dei «Tre fratelli / tre castelli» irrisa da Giusti continuava nei suoi odii fraterni.
Li superarono, senza amarsi, Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele. Risolvendo con la forza quel che altri, non meno patrioti, volevano risolvere con la dottrina..
Fu giusta la soluzione della forza? Crocianamente parlando, sì. Del resto, oggi celebriamo il frutto della forza guidata da un grande pensiero, la nuova “religione” dell’Ottocento. Diceva, richiamandosi a Ranke, per il quale la storia è sempre storia dei rapporti tra Stato e Chiesa, che la Chiesa è coscienza morale e lo Stato forza ed economia. Ma se la Chiesa cessa di essere l’ideale definito da Croce e si fa gerarchia, allora diventa essa stessa altra forma di Stato, che con lo stato laico può essere in pace armata o in separazione. È proprio in questa visione non irenistica che il ruolo dei cattolici liberali diventa sostanziale, suggerisce soluzioni e opzioni, rifiuta l’ immobilismo.
Fu così per Manzoni, Rosmini, Gioberti, Lambruschini, i liberali cattolici; e fu così, dopo la grande depravazione clerico-fascista, fra De Gasperi e Croce. Il Risorgimento era cominciato col Primato di Gioberti, almeno là dove tracciava le vie alla Chiesa e allo Stato sabaudo. Il «secondo Risorgimento», come si prese a chiamare l’Italia della resistenza, attinse forza alla contiguità Croce-De Gasperi. «Non si riflette abbastanza –scriveva negli anni ’80 Augusto Del Noce – che il successo degasperiano fu possibile per la complementarietà con l’egemonia che Croce ancora esercitava sul pensiero laico». Molti anni prima, nei Quaderni dal carcere, recentemente mostrati per i 90 anni del Pci, Antonio Gramsci aveva definito il filosofo “il papa laico”. Perciò il suo conservatorismo appariva a Del Noce «conservazione anzitutto della morale cattolica».
Ci sono ancora cattolici liberali e liberali cattolici che sappiano restituire al paese, insieme a nuovi socialisti democratici, qualcosa che s’avvicini ai livelli di questa politica? Quando andai a trovarlo, nella casa ai Prati, poco prima che si spegnesse, Jemolo mi disse no, non ce ne sono. Le ultime fiamme, che avrebbero dovuto ardere nel ’900, le spense l’ecatombe della Grande guerra, che insieme ai soldati contadini falcidiò il ceto medio dei nostri ufficialetti di complemento. La ripresa – profetizzò – verrà solo da una rivolta contro le degenerazioni morali.
L’ultima degenerazione, quella di Bossi e Berlusconi, con un solo colpo ci regala lo sfascio dell’unità nazionale e del costume.
Jemolo non fece in tempo a vederla.
Ma si sarebbe compiaciuto dell’enorme serenità sprigionata da giovani, insegnanti, donne, cittadini tutti, legati alla Costituzione, alle leggi, alla scuola, al lavoro; allo stato sociale, dove i cattolici liberali avevano dato il massimo di quel poco che potettero allo Stato liberale, prima dell’irruzione delle masse. Ma già allora, riservato sul femminismo ma lieto delle conquiste al femminile, pensava che la sempre fragile democrazia italiana avrebbe raddoppiato le sue energie con la scesa in campo delle donne. E oggi forse concorderebbe, come tanti di noi, con quel titolo di un settimanale, !Sorelle d’Italia” e con le splendide immagini di giovani, belle, vigorose e patriottiche attrici, riunite in un film recente, Solarino, Finocchiaro, Chiatti, Bellucci, insieme alle icone, Levi Montalcini, Hack, Loren, Fracci. «Icone senza età», come l’Italia.
{ Pubblicato il: 17.03.2011 }