Fondazione Critica Liberale   'Passans, cette terre est libre' - Abbiamo scelto come logo la fotografia d'un autentico 'Albero della Libertà ancora vivente. È un olmo che fu piantato nel 1799 dai rivoluzionari della Repubblica Partenopea, Luigi Rossi e Gregorio Mattei, a Montepaone Superiore, paese dello Jonio catanzarese. La scritta &lequo;passans ecc.» era qualche volta posta sotto gli 'Alberi della Libertà' in Francia.
 
Direttore: Enzo Marzo

Dal 1969 la voce del pensiero laico e liberale italiano e della tradizione politica che difende e afferma le libertà, l'equità, i diritti, il conflitto.

"Critica liberale" segue il filo rosso che tiene assieme protagonisti come Giovanni Amendola e Benedetto Croce, Gobetti e i fratelli Rosselli, Salvemini ed Ernesto Rossi, Einaudi e il "Mondo" di Pannunzio, gli "azionisti" e Bobbio.

volume XXIV, n.232 estate 2017

territorio senza governo - l'agenda urbana che non c'è

INDICE

taccuino
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67. paolo bagnoli, la nostra preoccupazione
68. coordinamento democrazia costituzionale, appello alla mobilitazione per una legge elettorale conforme alla Costituzione
106. comitati unitari per il NO al “rosatellum”, l’imbroglio degli imbrogli
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territorio senza governo
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69. giovanni vetritto, l’italia del “non governo” locale
73. pierfranco pellizzetti, alla ricerca del civismo perduto
79. antonio calafati, le periferie delle metropoli italiane
84. paolo pileri, molta retorica, pochi fatti
86. giovanni vetritto, post-marxisti inutili
88. valerio pocar, primo comandamento: cementificare
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astrolabio
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89. riccardo mastrorillo, finanziare sì, ma come?
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GLI STATI UNITI D'EUROPA
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93. sarah lenderes-valenti, la risorsa più grande
94. luigi somma, le democrazie invisibili
97. claudio maretto, la discontinuità paga
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castigat ridendo mores
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100. elio rindone, basta con l’onestà!
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l'osservatore laico
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103. carla corsetti, il principio di laicità
107. gaetano salvemini, abolire il concordato
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terrorismo e religione
109. pierfranco pellizzetti, jihad combattuta alla john wayne
114. alessandro cavalli,quattro cerchi
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lo spaccio delle idee
117. gianmarco pondrano altavilla, cari liberisti, chi conosce un buon medium?
118. luca tedesco, savoia o borbone? lo storico è un apolide
119. gaetano pecora, ernesto rossi, “pazzo malinconico”
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78.92.102. spilli de la lepre marzolina
116. la lepre marzolina, di maio ’o statista
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Critica liberale può essere acquistata anche on line attraverso il sito delle Edizioni Dedalo con transazione crittografata e protetta.
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comitato di presidenza onoraria
Mauro Barberis, Piero Bellini, Daniele Garrone, Sergio Lariccia, Pietro Rescigno, Gennaro Sasso, Carlo Augusto Viano, Gustavo Zagrebelsky.

* Hanno fatto parte del Comitato di Presidenza Onoraria: Norberto Bobbio (Presidente), Vittorio Foa, Alessandro Galante Garrone, Giancarlo Lunati, Italo Mereu, Federico Orlando, Claudio Pavone, Alessandro Pizzorusso, Stefano Rodotà, Paolo Sylos Labini. Ne ha fatto parte anche Alessandro Roncaglia, dal 9/2014 al 12/2016.
 
05.02.2018

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"La Storia è infinita". Riflessioni sul libro di Paolo Ercolani: "La storia infinita. Marx, il liberalismo, la maledizione di Nietzsche"

andrea cabassi

5 commenti
5 commenti
Un titolo quanto mai azzeccato quello di Paolo Ercolani in questo suo bel libro denso, pieno di spunti che ci portano a vedere da angolazioni inconsuete i rapporti tra liberalismo e socialismo,tra Marx e Nietzsche.Un titolo quanto mai azzeccato perchè la storia non ha fine e non ha un fine.Fino a quando esisterà l'essere umano sulla terra gli uomini costruiranno storie e la Storia, magari inconsapevolmente, magari inventando nuovi e diversi modi di pensare che, oggi, non riusciamo neppure ad immaginare. Nessuno di noi può prevederlo.Nessuno può prevederlo perchè la Storia è soggetta a processi stocastici e non deterministici. Si può partire dallo stesso punto per arrivare a diverse ed imprevedibili conclusioni: basta un soffio di vento in una direzione invece che in un'altra e tutto cambia perchè siamo fuscelli, piccoli nei nell'universo. La Storia non ha fine e, di conseguenza, non si concluderà mai nello Stato Assoluto o in un Comunismo Utopico dove i conflitti tra gli uomini termineranno. La dialettica è infinita e non può spegnersi proprio per la sua intrinseca conformazione.La Storia non ha un fine perchè va dove vuole, con percorsi a zig zag, non vi è nessuna escatologia, nessuna Provvidenzialità, nessun fine al quale essa tenda, non è un work in progress, non tende al Paradiso in terra. Diffcile per noi accettarlo perchè l'escatologia nella storia sostituisce la trascendenza ed una sua componente redentiva è smentita dai fatti e sarebbe solo consolatoria. La Storia continua, siamo noi che la facciamo, è l'economia che la fa, sono le nostre illusioni, aspettative, desideri, la nostra mentalità culturale che la fa, la fanno, soprattutto, gli storici che trovano la concatenazione dei fatti ed una trama, esattamente come il narratore che, dalle parole, costruisce una trama. Fatta questa premessa necessaria in cui volevo dimostrare quanto fosse giusto il titolo del libro, entro più nel vivo delle cose. Il punto di forza è la tesi forte che lo sostiene: liberalismo e socialismo non sono e non sono state monadi, non sono sistemi autopoietici che hanno seguito i loro percorsi ingnorandosi. Anzi, si sono spesso scontrati e incontrati, si sono contamininati Sono dell'idea che non esista il liberalismo, ma i liberalismi, che non esista il socialismo, ma esistano i socialismi in una tensione continua che ha prodotto cambiamenti, spesso modificazioni importanti. Il liberalismo è stato costretto ad assumerere in sè gli aspetti sociali. Basti pensare ad Hobhouse che, forse, fu uno degli ispiratori di "Socialismo liberale" di Rosselli e a Dewey e al suo liberalismo sociale, o allo stesso Bertrand Russell, figura atipica, il cui libro "Socialismo, anarchismo, sindacalismo" mi avvicinò alla politica in tempi ormai lontani, ma la cui lezione mai ho dimenticato. E se è vero quello che sostiene Ercolani, come pure Losurdo, che il marxismo è stato più impermeabile ai cambiamenti è anche vero che il socialismo ha dovuto assumere in sè gli aspetti della libertà. A proposito di tensioni e contaminazioni tra tra queste due grandi correnti di pensiero vorrei fare due esempi. Il primo ha il nome di liberalsocialismo. Il liberalsocialimo è stata una componente fondamentale del Partito d'Azione, in particolar modo per l'area centro- meridionale. Ne ha fatto la miglior sistematizzazione filosofica Guido Calogero. Il liberalsocialismo non può essere considerato come un po' di liberalismo più un po' di socialismo, ma è la dimostrazione evidente che non c'è incompatibilità. Come dicevano gli psicologi della Gestalt, e la cosa si rivela vera anche in questo caso, il totale è più della somma delle parti. Il liberalsocialismo ha una sua autonomia teorica e filosofica che è impossibile riassumere qui. Basti leggere "Le regole della democrazia e le ragioni del socialismo" dello stesso Calogero: in questo testo egli dimostra come libertà e giustizia siano, da una parte, la stessa cosa, dall'altra che si implichino l'un l'altra e come una libertà senza la giustizia porti ad una società talmente diseguale che il sistema può non reggere e può autodistruggersi; e a come un regime di sola giustizia porti dritto dritto alle dittature che abbiamo conosciuto, come quella dell'Urss, e che poi, nel corso del tempo il loro destino è quello di collassarsi. Un sistema di libertà senza giustizia porta esattamente agli esiti che abbiamo conosciuto oggi: ad un neoliberismo selvaggio che provoca devastazioni economiche e diseguaglianze. Io credo che il neoliberismo, proprio perchè non credo, come Ercolani, che il mercato abbia la capacità di autoregolarsi ( le dimostrazioni che questo non accade sono, ormai, evidenti e chi lo sostiene, lo fa in malafede, con nessuno spirito scientifico, o per interesse personale) se non è frenato, conduca ad una contraddizione fondamentale (e questo lo sostengo senza sentirmi fondamentalista, ma profondamente laico): la contraddizione, non più tra capitale e lavoro, ma tra uomo e natura con la distruzione di quest'ultima dopo il suo saccheggio. Nel neoliberismo non c'è un pensiero del futuro, tutto deve essere consumato nell'hic et nunc, tutto deve, da subito, trasformarsi in profitto. E, a proposito di futuro, ricordo che Vittorio Foa, una volta, ebbe a dire che quello che distingue la destra dalla sinistra è che la siniistra ha presente un'idea di futuro che non esiste nella destra. A proposito di neoliberismo vorrei spendere due parole su Hayek e sulle possibili interpretazioni "progressiste"del suo pensiero: quando Hayek parla di spontaneità pare costeggiare pericolosamente i lidi delle teorie della complessità, teorie che sembrano confermare l'imprevedibilità della direzione che prenderà il sistema come se tutto fosse indipendente dall'agire umano, spontaneo appunto. E' bene soffermarsi un attimo su questo perchè le cose non stanno in questi termini e Hayek credo non possa essere associato a tali teorie strettamente connesse alle filosofie della post-modernità. Nelle teorie della complessità il vincolo tra il possibile e il necessario è sempre ben delineato. I sistemi non sono liberi di andare in qualsiasi direzione possibile perchè esistono i vincoli. I nuovi equlibri di un sistema, l'innovazione che emerge in campo economico non sono frutto della spontaneità, ma dall'umano agire. Anche sel'umano agire potrà arrivare a risultati che non aveva previsto. Nel 2010 è uscito un libro dell'economista Cristiano Antronelli che si intitola "La mossa del cavallo. Verso un'economia politica liberalsocialista" (Ed.Rosenberg & Sellier). Pur prendendo in considerazione Hayek e Schumpeter egli arriva a conclusioni molto diverse dai due economisti: l'uomo liberalsocialista è agente attivo che determina, con le sue azioni, i cambiamenti anche se, laicamente, non è onnisciente. Le azioni possono produrre cambiamenti inattesi e innovazione, l'innovazione può produrre crisi, disfunzioni nel mercato, squilibri. Lo Stato deve essere politicamente presente per gestire l'innovazione, per impedire che il sistema si autodistrugga, che provochi intollerabili diseguaglianza, non metta in soffita l'equità, non disgunga la libertà dalla giustizia: si tratta di un approccio nuovo alle prblematiche del liberalsocialismo. Nuovo perchè vengono utilizzate le teorie della complessità e perchè sono utilizzate in modo disambinguanti rispetto a certe intrepretazioni "progressiste" del pensiero di Hayek. Tornando ai liberalismi e al liberalsocialismo vorrei ricordare Ernesto Rossi che si definiva liberista, ma liberista non era, che si definiva liberale, ma il suo liberalismo gli stava stretto, tanto che, negli ultimi anni della sua vita, pare votasse socialista. E i suoi libri come "Abolire la miseria" erano, senz'altro, oltre il il liberismo ed oltre i liberalismo che definisco, per semplificare, "tradizionale". Lo stesso Partito d'Azione, l'icocervo di cui parlava Croce, fu la coniugazione , a mio avviso, più avanzata, di liberalismo e socialismo. Il secondo esempio che vorrei fare è quello del rapporto tra liberalismo e democrazia. Siamo così abituati a parlare di democrazia liberale come il miglior sistema possibile ( ed è probabile che sia così) che ci dimentichiamo o non conosciamo le tensioni che ci sono state, nel corso della Storia, tra liberalismo e democrazia. Ercolani ne parla con grande chiarezza. Spesso il liberalismo ha visto con diffidenza, per non dire con ostilità, la democrazia, pensando che la democrazia fosse un freno alle libertà e che la democrazia fosse sinonimo di istanze socialiste. Insomma il loro rapporto è stato molto tormentato. Dovremmo ricordarcelo quando parliamo di democrazia liberale. Sarebbe interessante ( ed Ercolani ha cominciato a farlo) concepire uno studio genealogico e archelogico utilizzando strumenti foucaultiani: quando cominciano a prodursi universi di discorso e quali discorsi vengono prodotti sul rapporto tra democrazia e liberalismo, quando questi due universi di discorso cominciano a confluire e si parla come fossero un binomio pacificato? E' davvero così o i rapporti sono, latentemente, ancora di tensione? Credo che faremmo scoperte interessanti e che andrebbero ad arricchire il panorama degli studi sulle idee ed ideologie politiche. Merito di Ercolani e della "Controstoria del liberalismo"di Domenico Losurdo aver cominciato ad intraprendere questo percorso. Che direi essere uno degli altri grandi meriti del libro. L'irruzione sulla scena del Novecento e sulla scena del libro di Nietzsche è fondamentale e mi permette di aprire un discorso che apparentemente non c'entra, ma che, in realta, c'entra molto. Nietzsche è un filosofo che smaschera, smaschera e ci mette a contatto con realtà non piacevoli. Aveva ragione Nietzche contro Marx, ed Ercolani lo sottolinea, quando si parla di masse. Le masse andarono ad ingrosare le file dei partiti totalitari, le masse hanno votato Berlusconi fino quasi alla sua caduta. Nietzche diffidava delle masse.Allora il problema che si pone è quello del rapporto tra élites e masse, delle élites e delle minoranze. Se noi guardiamo alla nostra storia dobbiamo riconoscere, almeno questo è il mio pensiero, che i momenti topici di essa sono stati condotti da minoranze: la rivoluzione napoletana del 1799 (la cui importanza è stata troppo spesso sottovalutata), il Risorgimento, la Resistenza. Per quanto concerne la Resistenza uno dei partiti che pagò il più grande contributo di sangue fu il il Partito d'Azione che fu un partito minoritario. Se andiamo a studiare, non tanto la sua genesi, ma le vicende biografiche degli uomini che vi appartennero, ci accorgeremmo che molti di loro, a partire da uno dei precursori, Piero Gobetti, furono influenzati, in particolar modo, dalle teorie di Gaetano Mosca e/o di Vilfredo Pareto. Lo stesso Carlo Rosselli ne fu influenzato, anche se poi le trasformò in qualcosa di democratico.E' indubbio,comunque, che le radici culturali del Partito d'Azione fossero nelle teorie elitarie e che il suo rapporto con le masse e con l'organizzazione ne fosse condizionato. Credo che questa sia una delle ragioni del suo fallimento nel momento in cui partiti di massa come la DC e il PCI si stavano affermando. E sul ruolo dei partiti di massa e, appunto, il loro rapporto con le masse, si dovrebbe aprire un discorso che è stato troppo spesso dato per scontato. Hanno avuto una funzione pedagogica- educativa? Hanno avuto una funzione culturale? Hanno avuto una funzione di freno all'assunzione della responsabilità individuale e a sviluppare un modo di pensare laico? Qui collocherei Gramsci. Quale importanza ha avuto per le masse il suo pensiero? Come è stato l'impatto? La vulgata togliattiana è stata una vittoria politica, ma una sconfitta filologica che ne ha depotenziato l'oroginalità del pensiero? Cosa significa il fatto che quando Croce lesse gli scritti di Gramsci disse "E' uno dei nostri"? E di certo si riferiva alle componenti liberali del pensiero di Gramsci. In effetti le influenze sia gentiliana sia crociana sul suo pensiero sono numerose ed evidenti. In queste settimane è uscito un llibro strano, interessante, inquietante, forse discutible che si intitola "I due carceri di Gramsci. La prigione fascista e il labirinto comunista" di Franco Lo Piparo (Ed.Donzelli). L'autore prospetta, addirittura, una possibile fuoriuscita dal comunismo di Gramsci e per sostenere la sua tesi utilizza una raffinata tecnica linguistica. Si domanda perchè, quando ottenne la libertà provvisoria,Gramsci non scrisse quasi più nulla e sottolinea un riferimento esplicito di Gramsci al liberalsocialismo. Sono ipotesi che andrebbero ulteriormente verificate e sviluppate. Due cose sono certe. La prima è che la situazione di Gramsci era paradossale: in carcere era libero di pensare, fuori non sappiamo cosa sarebbe potuto accadere perchè tutta la riflessione gramsciana è oltre, molto oltre lo stalinismo. La seconda è che l'interpretazione di Lo Piparo rappresenta una ulteriore conferma delle tesi del libro di Ercolani: liberalismo e socialismo sono sempre stati in una relazione forte che poteva essre di conflitto, di reciproca influenza, di contaminazione. Vorrei concludere con Popper. In anni, ormai, passati la sua "Miseria dello storicismo" fu argomento centrale dell'esame di "Metodologia delle scienze umane" cha affrontai con il professor Santambrogio. Fu un bel confronto che ricordo tuttora con piacere. Allora pensavo che l'errore di fondo di Popper fosse quello di aver trasposto nelle scienze umane le metodologie tipiche delle scienze della natura. Se non ho interpretato male è la stessa tesi sostenuta da Ercolani. Ancora oggi penso che il suo errore sia stato quello. Malgrado, attualmente, ci sia una ibridazione tra disicipline, resto convinto che regga ancora la distinzione di Dilthey tra scienze della natura e scienze dell spirito perchè ognuna di esse produce universi discorsivi differenti. In questo sono un conservatore.


{ Pubblicato il: 04.04.2012 }




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Commento inserito da RD il 05.04.2012:
Gentile Andrea, ho letto con interesse. Se posso le rivolgo una domanda: la seguente tesi forte "Il punto di forza è la tesi forte che lo sostiene: liberalismo e socialismo non sono e non sono state monadi, non sono sistemi autopoietici che hanno seguito i loro percorsi ingnorandosi." non potrebbe applicarsi con altrettanta efficacia alla supposta divergenza tra scienze della natura e scienze dello spirito? Sa, ritengo che al di là di ogni posizione teoretica, vi sia nell'individuo pensante la capacità naturale di compiere miracolse sintesi, basate spesso su esplorazioni metodologiche in cui non sempre i passaggi sono discretizzabili, in cui, piuttosto, si osservano salti, come dice lei, imprevedibili, che veicolano innovazioni. Quale stupore a leggere, per esempio, sull'epistolario tra Pauli e Jung a propostio di oggettività che risiedono nella terra di mezzo che si delinea nello spazio empirico e pratico dell'osservazione spregiudicata. Quella, per intenderci, in cui si attende in silenzio di scoprirsi spettatori che influenzano, con il solo guardare, l'evolversi di un fenomeno. In fin dei conti, estremizzando, e forse non troppo, ogni apparato strutturale acquista, allorqando viene descritto ai fini di una sistematica riproduzione, o meglio ancora, rappresentazione, indispensabile a garantirne il mantenimento o reiterazione, il carattere di un artefatto che può essere, ad esempio cognitivo, scientifico o sociale, a seconda delle ricadute che comporta e che più urgentemente si considerano e si (an)notano. Rimane da chiedersi se è davvero possibile descrivere ogni aspetto del reale che consideriamo, o se, per dirla (sono ripetitiva, mi perdoni) con Jung, a volte non possiamo che giungere, onestamente, alla conclusione che è possibile, in certi casi, solamente circoscrivere. L'esperienza passata è di per sè un presente che Bergson definisce irripetibile. La vita di ogni rappresentazione si trova nella sua riattivazione presente. E la prospettiva da cui si agisce per compiere un atto di reviviscenza è importante nel creare gli sconquassi di cui lei ha giustamente parlato, quanto la reviviscenza stessa. Sono davvero le masse che bisogna temere, oppure sono da temere i processi di massificazione? Di domande ne ho fatte due, in realtà. Confido nella sua pazienza...
Commento inserito da Andrea Cabassi il 09.04.2012:
Gentile RD, è lei che ha dovuto avere pazienza ad attendere una mia risposta. Il fatto è che ha sollevato interrogativi di notevole importanza che mi hanno fatto riflettere molto. La metto a parte di alcuni risultati di queste mie riflessioni. Lei cita Jung ( autore che ben conosco, che mi ha sempre affascinato, che ha avuto alcune intuizioni che condivido, altre un po’ meno) e Pauli. Ho letto il loro carteggio e li cita a ragion veduta perché il loro epistolario starebbe lì a dimostrare che le scienze dello spirito e le scienze naturali non sono monadi, ma interagiscono in profondità. Per associazione di idee lei mi ha fatto venire alla mente un altro fisico: Werner Heisenberg. Grande fisico, ma anche grande filosofo. E questo starebbe, ancora una volta, a dimostrare che scienze umane e scienze della natura seguono percorsi che si intrecciano. Come lei sa fu Heisenberg a scoprire il principio di indeterminazione che, da punto di vista epistemologico, rivoluziona la relazione soggetto/oggetto. Secondo il principio di indeterminazione il soggetto che osserva una particella elementare la modifica già nel momento in cui la osserva perché produce spostamenti, movimenti. L’oggetto è, dunque, immancabilmente, modificato dal soggetto. E’ una scoperta di grande importanza. Ma lo stesso Heisenberg ammoniva, credo, ne suo libro “Fisica e Filosofia” ( mi scuso per le mie eventuali imprecisioni) a non trasporre meccanicamente la sua scoperta dall’ambito delle discipline scientifiche e fisiche a quello delle scienze umane. Teneva a ribadire che la sua scoperta si riferiva al mondo delle particelle infinitesimali. Ritengo che di questo ammonimento si debba tener perché le trasposizioni meccaniche possono rivelarsi epistemologicamente scorrette. Il fatto che lei abbia citato Jung mi ha condotto alla psicoanalisi e alle critiche di Popper nei confronti di questa disciplina. Popper riteneva che la psicoanalisi non fosse una scienza perchè non era falsificabile, ma per falsificarla egli usava gli strumenti tipici delle scienze naturali. Io credo che la psicoanalisi sia molto più vicina e produca universi discorsivi strettamente imparentati con la narrativa e con l’arte. Ho sempre pensato che la psicoanalisi e la psicoterapia, proprio per questo motivo, non siano misurabili o falsificabili come non è falsificabile un romanzo. Forse la conclusione del mio scritto è anche troppo perentoria perché mi rendo conto che le scienze naturali, soprattutto la fisica attuale, hanno fatto passi da gigante: non vi è più determinismo, meccanicismo, finalismo. Ci sono scienziati come Edgar Morin e Ilya Prigogine che, in tutta la loro attività, hanno tentato di gettare un ponte tra scienze della natura e scienze umane. Non a caso Prigogine, insignito del premio Nobel, ha intitolato uno dei suoi libri “La nuova alleanza”. E si riferiva all’alleanza tra scienze naturali e scienze umane. Tuttavia ritengo che gli universi discorsivi di questi due campi del sapere, per abusare ancora una volta della terminologia di Foucault, siano diversi. Non vi è in me nessun dubbio, invece, che, all’interno del campo delle scienze umane, le contaminazioni, le influenze reciproche ci siano in modo massiccio, è bene che ci siano e siano una ricchezza anche quando l’oggetto di una disciplina non è più ben delimitato, ma deborda. Lei poneva, poi, un altro interrogativo quando si parlava di masse e si chiedeva se non possiamo parlare di massificazione. Sinceramente mi è difficile dare una risposta. Nel suo libro Ercolani mette ben in luce come le aspettative di Marx sulle masse siano andate deluse. Prima di massificazione parlerei di nazionalizzazione delle masse che è quanto accade nei primi trent’anni del Novecento con il fascismo e il nazismo. Nazionalizzazione delle masse significa loro manipolibilità ed essere soggette alle influenze di un capo carismatico ( e qui potremmo aprire un lungo capitolo a parte). La massificazione è quella a cui abbiamo assistito in questi ultimi anni e che Pasolini aveva intravisto agli inizi degli anni 70 quando parlava di omologazione. Ancora una volta diventa cruciale il rapporto tra massa ed individuo. Ancora una volta diventa cruciale il ruolo che i partiti di massa hanno avuto nel dopoguerra. Ancora una volta diventa cruciale domandarsi quale spazio ha avuto il senso della responsabilità individuale e la laicità da quel periodo fino ad arrivare ad oggi. Enzo Marzo, in uno scritto, elaborazione di un suo intervento ad un convegno su Ernesto Rossi, che si intitolava “ Ernesto Rossi e il sogno di una sinistra laica” ( contenuto nel bel libro edito da Rubettino e curato da Antonella Braga e Simonetta Michelotti “Ernesto Rossi. Un democratico europeo”) parlava, citando Gaetano Salvemini, di nullismo delle forze laiche. Quel nullismo che ha impedito la formazione di una sinistra democratica laica, mancanza che,secondo l’autore, è stata una vera e propria tragedia per la storia politica italiana. Credo che dalla ricostruzione di un progetto di questo tipo bisognerebbe ripartire. Mi rendo conto che sono passato dall’epistemologia alla politica in modo forse un po’troppo disinvolto. Era per tentare di rispondere ai suoi interrogativi che, in effetti, erano due. Spero, almeno in parte, di esserci riuscito. E se non ci sono riuscito, mi creda, ci ho messo tutto il mio impegno. Non mi resta che ringraziarla e credo che sia doveroso un ringraziamento a Paolo Ercolani il cui libro, pieno di suggestioni, è stato lo spunto per questo nostro scambio. ANDREA CABASSI
Commento inserito da Paolo Ercolani il 13.04.2012:
Sono io che ringrazio voi per la "vita ulteriore" che avete donato al mio libro, in una maniera davvero suggestiva e autorevole. Mi scuso, anzi, per l'impossibilità di inserirmi in discorsi così complessi da richiedere un tempo di riflessione notevole. Purtroppo sono oberato dalle presentazioni e convegni intorno al mio libro. Mi limito a dire che trovo molto pertinente l'operazione di Andrea, che richiama la distinzione fra scienze naturali e sociali, una distinzione che Popper non ha calcolato nel modo dovuto, pretendendo di valutare le scienze sociali col metro di quelle naturali. Da qui, a mio avviso, un fraintendimento che ci troviamo a pagare ancora oggi. Mi scuso davvero per la pochezza del mio intervento, e vi ringrazio ancora per la preziosa attenzione che avete voluto donarmi!
Commento inserito da RD il 15.04.2012:
Buongiorno a voi, debbo dire che è stimolante davvero il prosieguo di questa commentata libera opinione... ecco, l'interrogativo importante da sottolineare e a cui forse prima ancor di tentare di rispondere va umilmente, da parte di ogni individuo, ma forse primariamente da parte di ogni "scienziato" umanista o naturalista che sia, devoluta della seria considerazione, è: a chi e a cosa serve un processo di verifica e di valutazione? troppo spesso il "numerico" viene considerato come rappresentante equanime di una certa correttezza, o meglio, come dispensatore di sicurezze. La madre di ogni possibile baraonda, in senso metodologico, ha origine nella limitata razionalità umana, che mai andrebbe considerata in assenza di altre qualità altrettanto umane (come l'intuzione, la creatività, l'impulsività). Fu Russel a divertirsi nel definire il fanatismo e la saggezza come poli opposti nel continuum che va dalla certezza al dubbio (non quello sistematico, in questo caso ci fermiamo un poco prima...). Un buon metodologo dovrebbe sapere cosa si intende per validità interna ed esterna, cosa si intende per verifica empirica, cosa si intende per misura e misurazione. E un buon metodologo, per tornare a Pasolini, non dovrebbe cercare rifugio nella mimesi, ma affidarsi alla propria capacità di pensiero, anche nel trovare nuove forme di valutazione, articolando figure e sfondi in presenza della suddetta domanda (esegetica). Alla base delle scienze vi è l'uomo ed è forse l'uomo, nel proprio sistema di riferimento a rappresentare la "misura di tutte le cose" come traspare in modo sfavillante nei lucidi e completi lavori di Francisco Varela (ma anche in quelli di Goethe, ma anche in quelli di Zolla, ma anche in quelli di Pasolini e Kandinskij o nel Prometheus di Skriabjn). E qui si apre un altro importante ed incommesurabile capitlo... grazie della sua risposta, a rileggerci presto.
Commento inserito da Giampietro Sestini il 05.06.2012:
Caro Cabassi, Giorgio Gaber cantava: "ma cos'è la destra...ma cos'è la sinistra...". In questo particolare momento di crisi della politica italiana, ma non solo italiana, la domanda di Gaber è quanto mai attuale e stringente. Per tentare una risposta, vorrei sottoporle alcune considerazioni. Esistono due filosofie o ideologie di fondo risalenti alla stessa natura umana: il "liberismo" e la "solidarietà". Tutte le formazioni politiche, di destra o di sinistra, hanno nei loro programmi ambedue i valori, ma il valore della solidarietà è più connaturato nella sinistra, così come il liberismo è nella destra. La crisi che attraversa la sinistra, e non solo in Italia, risale anzitutto alla sua mancata ridefinizione di cosa deve intendersi OGGI per solidarietà. Mentre il liberismo, grazie alla globalizzazione delle telecomunicazioni (cui si deve peraltro la conquista della democrazia di molti popoli), ormai governa a livello mondiale la finanza ed i mercati, con i risultati disastrosi che ormai sono evidenti a tutti, manca una politica mondiale della solidarietà che possa e sappia frenarne gli eccessi. Le ideologie del secolo scorso, dal comunismo al socialismo alla socialdemocrazia al liberal socialismo non sono più in grado di arginare il vecchio capitalismo. Resta comunque la ricerca di un ideale per il quale valga la pena di lottare, di rispettare le leggi, di pagare le tasse, di fare "sacrifici".. Il primo punto che la "sinistra" dovrebbe porre nella sua agenda politica è la salvezza del pianeta, ossia il futuro dei nostri figli, e dei figli dei nostri figli. Come lei ha ricordato, "Vittorio Foa, una volta, ebbe a dire che quello che distingue la destra dalla sinistra è che la siniistra ha presente un'idea di futuro che non esiste nella destra". Ciò sarà possibile se alla globalizzazione del mercato corrisponderà la globalizzazione della politica, secondo uno slogan che potremmo definire "solidarietà globale" o "nuovo umanesimo", senza confini di spazio e di tempo. . Sinora il problema è stato affrontato partendo dai "guasti" (surriscaldamento, desertificazione, scioglimento dei ghiacciai, povertà, fame, immigrazione, inquinamento dell’aria, dell’acqua e della terra, smaltimento dei rifiuti, ecc), mai ponendoci la domanda sulle "cause" del disfacimento del pianeta che sono ormai sotto gli occhi di tutti. Ne richiamo le principali: - sovrapopolazione (secondo l'ultimo rapporto del WWF, «La popolazione umana entro il 2050 raggiungerà un ritmo di consumo pari a due volte la capacità del pianeta Terra»), - esaurimento delle fonti energetiche non rinnovabili, - prevalenza degli interessi personali (egoismi) sugli interessi comuni. Così intesa la “solidarietà globale” ha contenuti etici e morali che vanno al di là della nostra stessa vita terrena, nel senso che per i credenti aggiunge, e per i non credenti sostituisce, alla fede nella vita eterna la fede nella vita del pianeta, ossia la speranza di un futuro per l'intera umanità. La Terra è la casa di tutti gli esseri umani: i morti, i vivi e quelli che verranno.