1) Segreti: Dove sono i tanti soldi dei partiti? I recenti scandali
hanno portato alla ribalta il fiume di soldi che ogni anno va dallo
stato i partiti. Si dice “ma questo è necessario, è il costo della
democrazia”. Potremmo anche crederci se non fosse che l’Italia, come
risulta da importanti rilevazioni internazionali, è anche il paese più
corrotto dell’occidente avanzato, quindi è altamente probabile, anzi
praticamente certo, che un altro fiume di soldi vada ai partiti
tramite le tangenti sugli appalti, e anche per queste quando si
scoprono si dice “è il costo della democrazia” (e sono due!). Poi si
viene a sapere che quando un partito organizza un qualsiasi evento i
loro dirigenti fanno la questua presso imprenditori amici (comprese le
cooperative), i quali contribuiscono in vario modo (per es. le
sponsorizzazioni), e anche questo ci viene spiegato come “il costo
della democrazia” (e sono tre!). Signori, ma siamo certi? Non è che
tutto questo è il “cancro della democrazia”, la vera antipolitica? E
ripetiamo la domanda iniziale: “dove sono tutti questi soldi?”, perché
non crediamo assolutamente che li spendano tutti, anche al netto di
quello che mettono in tasca i singoli politici corrotti.
2) Bugie: l’11 di questo mese, il giorno dopo il ritorno della paura
sui mercati, sono usciti contemporaneamente sulle prime pagine dei due
quotidiani più importanti altrettanti editoriali firmati dai “quattro
cavalieri del liberismo”: Bisin e De Nicola su Repubblica, Alesina e
Giavazzi sul Corriere. Come abbiamo già avuto modo di osservare,
questi liberisti, passata la paura di essere presi a “bastonate” dalla
gente per aver provocato la crisi, grazie anche all’abilità con cui
loro, e non solo loro, hanno raccontato la “Comoda Menzogna” che sia
stata tutta colpa della finanza e delle banche, si sono ringalluzziti
e hanno ripreso a pontificare, pronti a guidarci al disastro prossimo
venturo. Cosa abbiamo letto in quegli editoriali? Che è tutta colpa
della spesa pubblica se in Italia le cose vanno male. E nel dir questo
non si sono fatto scrupoli di “adeguare” la realtà a loro piacimento.
Per esempio i due Cavalieri di Repubblica hanno scritto, a beneficio
degli italiani, che ormai la spesa pubblica ha raggiunto il 50% del
Pil e che “A fronte di questa spesa, ragionando a grandi linee, gli
italiani ricevono scuola, sanità, giustizia, trasporti. E un welfare
sul mercato del lavoro, polizia e difesa, e altri servizi pubblici di
minore rilevanza.” Peccato che in quella lista manchi, quando invece
doveva comparire al primo posto, la voce più grande di quel 50%, le
pensioni, che coprono 1/3 di tutta la spesa. I Cavalieri del Corriere
hanno aggiunto anche una considerazione sulla riforma del lavoro, la
quale, ovviamente per loro, è stata modificata in peggio e quindi si
chiedono, preoccupati per tutti noi “Immaginatevi cosa sceglierà di
fare un imprenditore estero che stesse valutando l'apertura di un'
azienda in Italia sapendo che potrebbe essere non lui, ma un giudice a
decidere in che modo gestire i suoi dipendenti.” Eh già, perché gli
imprenditori devono avere una giustizia per conto loro, come
l’aristocrazia dell’Ancien Régime, non possono essere giudicati da un
magistrato qualsiasi che sentenzia “in nome del popolo italiano”.
Giacché c’erano, potevano anche aggiungere che quando devono pagare un
debito non è giusto che vengano indotti a farlo da un giudice, devono
essere liberi di valutare da soli. I due cavalieri del Corriere hanno
anche, bontà loro, dato en passant una lezione di teoria quando hanno
affermato “Dare a consumatori e imprenditori un messaggio chiaro: le
tasse non aumenteranno perché le spese scendono. Senza queste
certezze, consumi e investimenti continueranno a rallentare.” Questa è
una delle specificazioni delle cosiddetta teoria delle “aspettative
razionali”, una delle tante invenzioni di aria fritta fatta dai
liberisti quando, messi con le spalle al muro dall’evidenza anche
fattuale delle tesi keynesiane, le quali affidano le sorti della
congiuntura al livello della “domanda aggregata”, non sapevano più che
dire per contrastarla. E allora secondo questa tesi i precari italiani
che guadagnano sì e no 7/800 euro al mese, non spendono la quarta
settimana del mese non perché non ci arrivano, ma perché temono un
aumento delle tasse e quindi preferiscono risparmiare i loro “lauti”
guadagni per dover appunto pagare le tasse in futuro, per colpa di uno
stato spendaccione. Finché in Italia si darà spazio (e in prima
pagina) a tesi come quelle dei “quattro cavalieri del liberismo”, non
si farà mai un’analisi seria sui modi per ridurre razionalmente la
spesa pubblica e le tasse.
[PER LEGGERE I PRECEDENTI "INTERMEZZI ALLE T.(REMONTI) N.(EWS)" DI GIOVANNI LA TORRE CLICCARE NELLA COLONNA DI SINISTRA SUL VOLUME "ECONOMIA CRITICA"]
{ Pubblicato il: 14.04.2012 }