Si ha a volte l’impressione che i politici non abbiano ancora capito
che con l’ingresso nell’euro è cambiato tutto, anche per la stessa
politica. In particolare pare che non abbiano compreso che è
tramontata l’idea di “Centro”, almeno come l’abbiamo concepita in
Italia dagli anni settanta del Novecento e fino alla fine della Prima
Repubblica. Il Centro ha potuto governare in Italia per tanto tempo
per due motivi: perché ha goduto del sostegno, se non addirittura
l’impulso, degli Usa e del Vaticano (per via della “conventio ad
excludendum” verso il Pci) e perché non aveva vincoli di bilancio.
Infatti l’opportunità che ha avuto la Dc di governare per tanti anni,
pur non avendo la maggioranza assoluta, è stata legata alla
possibilità di poter disporre di un bilancio pubblico elastico in modo
da cooptare, attraverso la dilatazione della spesa senza tasse, i
diversi partiti satelliti nella maggioranza, sia di destra che di
sinistra a seconda delle convenienze del momento. E questa elasticità
di bilancio veniva anch’essa “tollerata” all’estero per non turbare
gli equilibri internazionali.
Oggi, con i vincoli di bilancio introdotti dall’euro (ma che avremmo
comunque dovuto imporci da soli anche senza la moneta unica, una volta
finita la guerra fredda), la possibilità di coalizioni numerose
intorno a un partito di centro è venuta meno: adesso o si servono
certi interessi o se ne servono altri, non ci sono più soldi per
tutti. E allora appare abbastanza incomprensibile questa affannosa
corsa al centro che fanno tutti i partiti con la speranza di poter poi
aggregare altri a seconda di come si mettono le cose dopo le elezioni.
E appare incomprensibile anche questo voler accreditare a tutti i
costi il governo Monti come un governo di centro, “interclassista”
come si diceva una volta. Monti è un governo di destra e la cosa non
deve essere considerata un’offesa, ma solo un’indicazione di come si
comporta nella distribuzione delle poche risorse disponibili o, che è
la stessa cosa, di come distribuisce i cosiddetti sacrifici. Ma ancora
più incomprensibili sono i tentativi che periodicamente emergono di un
Pd che vuole accreditarsi come partito di centro. In effetti, però, il
tentativo più serio portato avanti nella Seconda Repubblica di
rifondare una sorta di nuova Dc è stato quello di D’Alema del 1998
quando, pur di costituire il suo governo, chiese e ottenne voti
dappertutto, ci mancava solo che importasse anche voti dall’estero. E’
stato un tentativo alquanto maldestro, che oltre tutto ha messo a nudo
il dilettantismo di fondo di quello che veniva considerato il “più
intelligente”, ma che è servito soprattutto a far capire che l’idea di
un partito che si asside al centro e da lì attira di volta in volta
satelliti a destra e a sinistra è tramontata. E questo perché i limiti
di bilancio impediscono di spalmare la colla più forte delle
coalizioni: la spesa pubblica. Il pensare di costituire un grande
partito di centro al tempo dell’euro è una contraddizione che non si
può ridurre in alcun modo, ma si può solo eliminare con una chiara
scelta di campo. Ma molto probabilmente tutti i tentativi di costruire
un “grande centro” in realtà vanno letti come tentativi coscienti di
costruire una “grande destra”. Di tutto questo si deve tener conto
anche nel riformare la legge elettorale.
[PER LEGGERE I PRECEDENTI "INTERMEZZI ALLE T.(REMONTI) N.(EWS)" DI GIOVANNI LA TORRE CLICCARE NELLA COLONNA DI SINISTRA SUL VOLUME "ECONOMIA CRITICA"]
{ Pubblicato il: 22.04.2012 }