Portofranco era un uomo come tanti altri . Uno di quelli che doveva sbarcare il lunario. Un giorno trovò un partito e trovò un tesoro. Un tesoro che gli altri non sapevano di avere. Perché nel Paese dove le cose non si sanno accadono sempre cose particolari. Le case si pagano da sole e i viaggi anche. Un Paese incantato dove si spendono cento euro e te ne danno centomila. Un Paese in cui per essere eletti non serviva candidarsi, perché era un Paese di “pochi eletti” che venivano nominati perché c’erano già i preferiti e quindi non servivano le preferenze. Un Paese nel quale le pulizie si facevano sempre dopo, perché se fatte prima sarebbero durate poco e comunque non avrebbero pulito a fondo. Portofranco non era di destra ne di sinistra. O forse era sia di destra, sia di sinistra ma per non scontentare nessuno si metteva al centro.
Tutto ebbe inizio un giorno, nella sede del partito, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei soldi. Nessuno se ne accorse tranne Portofranco che proprio lì arrivava ogni mattina con un auto di colore blu.
Aveva questo Portofranco un occhio molto adatto alla vita di città non c'era un pertugio di tarlo in una tavola, buccia di fico spiaccicata sul marciapiede che Portofranco non notasse, e non facesse oggetto di ragionamento, scoprendo i mutamenti della stagione, i desideri del suo animo, e le miserie della sua esistenza.
Così un mattino, aspettando l’auto di colore blu che lo portava alla sede del partito dov'era uomo di fatica, notò qualcosa d'insolito: in certi punti, al ceppo degli alberi, sembrava si gonfiassero bernoccoli che qua e là s'aprivano e lasciavano affiorare tondeggianti corpi sotterranei.
Si chinò a legarsi le scarpe e guardò meglio: erano soldi, veri soldi, che stavano spuntando proprio nel cuore della città! A Portofranco parve che il mondo grigio e misero che lo circondava diventasse tutt'a un tratto generoso di ricchezze nascoste, e che dalla vita ci si potesse ancora aspettare qualcosa, oltre la paga destinata agli eletti, la contingenza, gli assegni familiari e il caropane.
Al lavoro fu distratto più del solito; pensava che nel buio della terra i soldi silenziosi, lenti, conosciuti solo da lui, maturavano la polpa porosa, assimilavano succhi sotterranei, rompevano la crosta delle zolle.
«Basterebbe una notte di pioggia, – si disse, – e già sarebbero da cogliere». E non vedeva l'ora di mettere a parte della scoperta la sua famiglia.
– Ecco quel che vi dico! – annunciò durante il magro desinare. – Entro la settimana mangeremo tantissimo! V'assicuro!
E ai bambini più piccoli, che non sapevano cosa i soldi fossero, spiegò con trasporto la bellezza delle loro molte specie, la delicatezza del loro sapore, e come si doveva gestirli; e trascinò così nella discussione anche sua moglie, che s'era mostrata fino a quel momento piuttosto incredula e distratta.
– E dove sono questi soldi? – domandarono i bambini. – Dicci dove crescono!
A quella domanda l'entusiasmo di Portofranco fu frenato da un ragionamento sospettoso:
«Ecco che io gli spiego il posto, loro vanno a cercarli con una delle solite bande di monelli, si sparge la voce nel quartiere, e i soldi finiscono nelle casse altrui!» Così, quella scoperta che subito gli aveva riempito il cuore d'amore universale, ora gli metteva la smania del possesso, lo circondava di timore geloso e diffidente.
– Il posto dei soldi lo so io e io solo, – disse ai figli, – e guai a voi se vi lasciate sfuggire
una parola.
Il mattino dopo, Portofranco, avvicinandosi verso l’auto di colore blu, era pieno d'apprensione.
Si chinò sull'aiuola e con sollievo vide i soldi un po' cresciuti ma non molto, ancora nascosti quasi del tutto dalla terra.
Era così chinato, quando s'accorse d'aver qualcuno alle spalle. S'alzò di scatto e cercò di darsi un'aria indifferente. C'era uno spazzino che lo stava guardando, appoggiato alla sua scopa.
Questo spazzino, nella cui giurisdizione si trovavano i soldi, era un giovane occhialuto e Spilungone e a Portofranco era antipatico da tempo, forse per via di quegli occhiali che scrutavano l'asfalto delle strade in cerca di ogni traccia naturale da cancellare a colpi di scopa.
Era sabato; e Portofranco passò la mezza giornata libera girando con aria distratta nei pressi dell'aiola, tenendo d'occhio di lontano lo spazzino e i soldi, e facendo il conto di quanto tempo ci voleva a farli crescere.
La notte piovve: come i contadini dopo mesi di siccità si svegliano e balzano di gioia al rumore delle prime gocce, così Portofranco, unico in tutta la città, si levò a sedere nel letto, chiamò i familiari. «È la pioggia, è la pioggia», e respirò l'odore di polvere bagnata e muffa fresca che veniva di fuori.
All'alba – era domenica –, coi bambini, con un cesto preso in prestito, corse subito all'aiola. I soldi c'erano, tutti interi, sulla terra ancora zuppa d'acqua. – Evviva! – e si buttarono a raccoglierli.
– Babbo! guarda quel signore lì quanti ne ha presi! E il padre alzando il capo vide, in piedi accanto a loro, lo spazzino anche lui con un cesto pieno di soldi sotto il braccio.
– Ah, li raccogliete anche voi? – fece lo spazzino.
– Allora sono buoni per mangiare? Io ne ho presi un po' ma non sapevo se fidarmi... Più in là nel corso ce n'è nati di più grossi ancora... Bene, adesso che so, avverto i miei parenti che sono là a discutere se conviene raccoglierli o lasciarli... e s'allontanò di gran passo.
Portofranco restò senza parola: soldi ancora più grossi, di cui lui non s'era accorto, un raccolto mai sperato, che gli veniva portato via così, di sotto il naso. Restò un momento quasi impietrito dall'ira, dalla rabbia, poi – come talora avviene – il tracollo di quelle passioni individuali si trasformò in uno slancio generoso. A quell'ora, molta gente stava aspettando l’auto blu , con l'ombrello appeso al braccio, perché il tempo restava umido e incerto. – Ehi, voialtri! Volete farvi una scorpacciata di soldi questa sera? – gridò Portofranco alla gente assiepata alla fermata. – Sono cresciuti i soldi qui nel corso! Venite con me! Ce n'è per tutti! – e si mise alle calcagna dello spazzino, seguito da un codazzo di persone.
Trovarono ancora soldi per tutti e, in mancanza di cesti, li misero negli ombrelli aperti.
Qualcuno disse: – Sarebbe bello fare un pranzo tutti insieme!? Invece ognuno prese i suoi soldi e andò a casa propria…
ma nessuno sapeva nulla…
p.s. “Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s'accorgono solo poche anime sensibili, come i raffreddati del fieno, che starnutano per pollini di fiori d'altre
terre”
Questo è il vero incipit del libro MARCOVALDO . Le righe sopra sono state prese in prestito da questo capolavoro del grande Italo Calvino e adattate ai nostri giorni per raccontare quello che succede in un Paese dove le cose accadono, ma nessuno se ne accorge...
Se la realtà supera la fantasia allora usiamo la fantasia per raccontare la realtà!
ANTONIO CAPITANO
{ Pubblicato il: 24.04.2012 }