L’ultimo coniglio che l’ex capo del governo ha tirato fuori dal suo inesauribile cilindro conferma le affinità che passano tra la cosiddetta antipolitica ed il populismo della nostra destra.
Ammesso che si possa considerare cosa normale il fatto che ad un simile personaggio sia stato consentito di modulare sulla sua persona e sui suoi interessi quasi un ventennio di vita pubblica, una volta presa coscienza dei guasti prodotti e del discredito di cui, insieme alla sua persona ad all’istituzione che impersonava, ha circondato l’Italia, se fossimo nel famoso paese “normale”, costui sarebbe stato mandato a casa senza alcun rimpianto, per rimanervi a vita. E, sempre nel medesimo paese normale, e dotato di un sistema politico normale, questa azione di igiene civile sarebbe stata condotta in primis dalla sua stessa parte politica, ove questa fosse stata dotata di un minimo di dignità.
Non in Italia: qui non avviene nulla di simile. Come, non molto tempo fa, ha avuto modo di scrivere il mio amico Andrea Bitetto, nei paesi “normali”, i politici vanno e vengono sull’onda dei loro insuccessi o successi; ma i partiti restano, perché capaci di rinnovarsi. Da noi, invece, i politici restano, imperturbabili, ed i partiti vanno e vengono, in quanto incapaci di far ciò. Inutile poi stupirsi del dilagare di un qualunquismo avverso alla politica in quanto tale, sia che questo prenda la strada del non-voto, che quella del seguire il pifferaio di turno, come i topi o i bambini di Hamelin.
La recente mossa di Berlusconi, consistente nella pseudo-proposta di trasformazione in senso presidenziale della nostra Repubblica, non può esser vista che come l’ennesimo esempio del degrado del nostro sistema politico; ma sarebbe riduttivo sottovalutarla e derubricarla ad iniziativa rivolta unicamente a consentire il ritorno del cavaliere ai vertici istituzionali del Paese. Obbiettivo, questo, che sicuramente viene tenuto in considerazione; ma non ne costituisce il nocciolo essenziale: si tratta di un obbiettivo secondario, da perseguire sì, ma solo dopo che sia stato acquisito il risultato principale. E che, seguendo Von Clausevitz, ove venisse portato avanti come fine primario, rischierebbe di compromettere l’intera strategia, che non è certo quella di far passare una riforma di tipo presidenziale alla francese, con riduzione dei poteri delle Camere, riguardo alla quale il cavaliere sa perfettamente che non c’è in Parlamento alcuna maggioranza disposta a vararla. E si può stare altrettanto certi del fatto che né lui, e tantomeno i suoi collaboratori abbiano perso molto del loro tempo a studiarla, approfondirla, e prepararla.
Infatti, non si è assistito ad una proposta di riforma costituzionale rivolta da una forza parlamentare agli altri partiti perché questa venga discussa ed approvata in Parlamento. Ed il fatto che venga o meno depositata una proposta di legge di modifica costituzionale sarebbe questione di pura forma: i veri destinatari non stanno né a Palazzo Madama, né a Montecitorio.
E’ stata invece condotta una ben congegnata operazione di marketing: la mossa non è stata preceduta da alcun dibattito pubblico, ma solo dal preannuncio di “una grande novità”. Seguendo le migliori tecniche di comunicazione pubblicitaria, il preannuncio di una novità tenuta nascosta e riguardo alla quale si lascia filtrare qualche indiscrezione, ma nulla più di questo, ha amplificato l’effetto-sorpresa e ne ha accresciuto l’impatto, come si fa nel lanciare un nuovo modello di auto.
Il fine non è quello istituzionale di conseguire una riforma, sulla quale si può convenire o meno (ed il sottoscritto non la condivide), ma che è comunque da discutere, in primo luogo nei suoi aspetti giuridico-istituzionali e poi nei suoi effetti politici: si tratta di una manovra prettamente politica che risponde a tre scopi:
• Quello di smarcarsi dall’appoggio passivo ad un governo che a malincuore si è dovuto sostenere, ma che rappresenta, nell’oggi, la massima discontinuità possibile ed un più che imbarazzante confronto rispetto al governo precedente, e rispetto al quale si ritiene utile prender le distanze per sfruttare a proprio vantaggio l’impopolarità delle misure che esso ha dovuto assumere. Non viene quindi visto con sfavore il fatto che tale mossa possa finire per creare difficoltà all’interno della maggioranza anomala che oggi sostiene Monti.
• Quello di scompigliare un quadro politico che vede la destra in affanno e priva di prospettive, cominciando dall’ingarbugliare la discussione sulla modifica della legge elettorale, col probabile risultato di finire per confermare, per il 2013, il Porcellum. Non che la proposta di intesa sulla legge elettorale sulla quale si sta discutendo fosse una proposta decente: ma il Porcellum offre al cavaliere maggiori garanzie di condizionamento.
• E, soprattutto, quello di riorentare su un terreno “nuovo” e congegnale agli umori del Paese il tradizionale populismo della destra italiana. Il che, ancora una volta, dimostra il tempismo del personaggio nel cercar di interpretare a proprio vantaggio le difficoltà del Paese.
Occorreva una bandiera attorno alla quale radunare un esercito in fase di sbandamento, che gli stessi luogotenenti hanno dimostrato di non essere adeguati a condurre, come le elezioni amministrative hanno ampiamente dimostrato; ma occorreva anche attenderne l’esito disastroso, perché fosse chiaro a tutti, ad iniziare dai suoi seguaci, che senza di lui, e senza novità tali da intercettare gli umori del Paese non sarebbe stato possibile alcun tentativo di rilancio.
Da questo punto di vista, il voto amministrativo non lo ha toccato più di tanto, avendo fornito l’occasione e gli argomenti da sbandierare: la disfatta, in quanto addebitata al “vecchio” PdL, viene considerata come una battaglia che si sapeva già persa, dalla quale non a caso il capo si è tenuto accuratamente alla larga, e che rende necessaria ed anzi agevola una riorganizzazione ed un riposizionamento; il mancato successo del Terzo Polo allontana per il momento l’ipotesi che questo possa costituire un’alternativa alla “sua” destra; il fatto che il centrosinistra avanzi in percentuale conquistando sindaci e seggi fornisce l’occasione per agitare ancora una volta il pericolo rosso; ma il fatto che il PD arretri in quanto ad elettori conferma che vi sono grandi bacini sui quali la destra possa cercare di avviare il recupero: quello di un astensionismo non più solo di sinistra, quello di chi è stanco di questo sistema politico, e quello degli scontenti, molto più numerosi di quanto fossero a dicembre, nei confronti dell’attuale governo. Ed infine, quello di chi vede nell’Europa un’entità astratta che ci impone regole distanti dal nostro modo di veder le cose e dai nostri interessi.
L’estemporanea proposta di Berlusconi è quindi da vedere come una nuova bandiera, che mira a raccoglier consensi in questi bacini: questa non poteva esser agitata attorno a promesse di efficienza, al fare, ai patti con gli italiani: tutte cose già viste, regolarmente disattese, e nella cui spendibilità non crede più nessuno, ad iniziare da chi, avendo negato per anni che potesse presentarsene anche la semplice eventualità, è stato il maggior responsabile dell’aver condotto il Paese sull’orlo del disastro.
Così, si inventa la “lista civica nazionale”, accompagnata ad una proposta istituzionale di stampo gaullista che, mirando sostanzialmente a ridurre il ruolo del Parlamento, va a solleticare la diffusa avversione all’attuale sistema politico, andando a far concorrenza a Grillo sul suo stesso terreno.
Ovviamente, del quadro fa parte il far balenare ai “moderati”, come nel ’94, e nel 2006, il rischio che quella che vien definita come sinistra, grazie all’astensionismo ed alla presenza dei centristi, pigli tutto, e si può star sicuri che l’argomento della diga e del voto utile a destra sarà nel 2013 uno dei cavalli di battaglia della cosiddetta alleanza dei moderati.
E contemporaneamente si lasciano trasparire apertamente denigrazioni e critiche nei confronti del governo europeista di Mario Monti e delle sue misure, e si iniziano a far circolare, affidati a figure dello spessore della Santanchè, di La Russa, Gasparri & C., messaggi del tipo “si stava meglio quando si stava peggio”.
Da questo punto di vista, anche le invettive della Lega e di Di Pietro nei confronti del governo Monti e dell’Europa sono musica per le orecchie del cavaliere, che spera, al momento opportuno, di poterne raccogliere i frutti.
Il tutto, ovviamente prescinde dal dover considerare quanto la durezza delle misure avviate dal nuovo governo sia funzione delle scelte e delle incapacità del governo che lo ha preceduto. Ma, si sa, l’uomo è maestro nell’utilizzo di verità monche, nell’utilizzo indifferente della verità o della menzogna, nell’utilizzo di messaggi che, più che ragionamenti, sono suggestioni o slogans.
L’importante è far passare agli occhi degli italiani un messaggio nel quale si mescolino abilmente un’idea di proposta (perché più di questo non c’è) che, insieme a pezzi del repertorio tradizionale, consenta di saldare in un disegno unico il populismo antifiscale, quello antieuropeo, e quello dell’avversione nei confronti di un sistema politico degenerato, del tutto incurante del fatto di esserne stato non solo uno dei protagonisti, ma l’artefice primo. Il tutto, ovviamente, in nome di un “sano” moderatismo che, nell’eterna lotta tra il bene ed il male, identifica ancora una volta nella “sinistra” il nemico da battere e l’artefice di tutti i guasti italiani.
Ecco perché l’operazione studiata da Berlusconi non va sottovalutata. In un Paese stanco e preoccupato, che non riesce, in larga maggioranza, ad identificare un’effettiva capacità di dare risposte adeguate in nessuna delle forze che oggi si propongono all’attenzione dell’opinione pubblica, essa rischia di riuscire a collegare nelle forme di un populismo abilmente rinnovato le diverse e variamente motivate insoddisfazioni e paure che percorrono oggi il Paese.
Il centrosinistra farebbe un gravissimo errore a ritenere di avere già la vittoria in tasca: lo fece nel periodo intercorso tra le regionali del 2005 e le politiche del 2006 (quelle dei 24.000 voti di maggioranza), col risultato di aver visto ribaltarsi nel giro di un anno quella che si riteneva una vittoria oramai acquisita, Oggi, la partita è ancora più critica; le prossime elezioni politiche saranno cruciali per le prospettive, non solo economiche, del Paese; ed il vero rischio, al di là dei risultati dei singoli partiti, è che si prosegua in una situazione di incertezza, nella quale l’alternativa reale, nell’impossibilità di far funzionare una democrazia “normale”, sia quella tra demagogia populista e tecnocrazia.
Ad evitar ciò, non si può affidare ogni speranza alla sola capacità degli italiani di non farsi nuovamente turlupinare, e non c’è che una strada: quella che venga loro presentata un’alternativa convincente, recidendo le radici a partire dalle quali si sviluppano populismo e tecnocrazia: irresponsabilità, corruzione, inefficienza, sperequazioni, rottura della coesione sociale, distanza dalle aspettative e dalle necessità dei cittadini.
Gim Cassano (Alleanza Lib-Lab), 28-05-2012 (gim.cassano@tiscali.it)
{ Pubblicato il: 30.05.2012 }