felice mill colorni
Nessun commentoSottopongo queste riflessioni personali all’attenzione di chiunque si proponga di dar vita, in qualsiasi forma, a una rinnovata ed esplicita presenza liberale nella politica italiana.
1. CHIUDERE LA STAGIONE DEGLI ANNI DI FANGO. Qualunque presenza liberale che non sia pura e semplice impostura, nell’Italia del 2012 deve innanzitutto impegnarsi a farla finita nel modo più chiaro e inequivoco con una stagione di ciarlataneria populista in cui si è tentato di sostituire la democrazia liberale e il governo delle leggi con una costituzione materiale, e anche formale, democratico-plebiscitaria; una stagione che, negli ultimi diciotto anni più che mai in precedenza, ha imbarbarito il paese, svuotato lo Stato di diritto, indebolito le garanzie costituzionali, umiliato il Parlamento, ridicolizzato le istituzioni, delegittimato il principio della divisione dei poteri e ogni freno e contrappeso costituzionale, asservito ulteriormente i media, azzerato la memoria storica, degradato il sistema educativo, distrutto la ricerca scientifica, dissestato il territorio e l’ambiente, piegato i poteri pubblici a usi privati e clientelari, ridotto i cittadini a sudditi e postulanti, assaltato la spesa pubblica, dissanguato le finanze, seminato analfabetismo civile, sfidato la decenza, riattivato tutti i tradizionali stereotipi negativi e annichilito la reputazione internazionale dell’Italia. E non ha fatto pressoché nulla, quando era possibile farlo in condizioni molto migliori di oggi, per ridurre il debito pubblico, per riformare e snellire la Pubblica Amministrazione anziché asservirla ulteriormente alla politica, per riformare la giustizia anziché moltiplicare spregevoli leggi ad personam. E tanto meno per modernizzare l’economia italiana, in modo da metterla in grado di essere parte di un’Europa integrata e di competere nel mondo globale, determinandone invece la stagnazione e il declino, e trascinandola nella prima linea della crisi europea. Scalzare le posizioni dominanti create dalla politica nel mercato dei media e della raccolta pubblicitaria, e abrogare tutte e ciascuna le leggi vergogna, adeguare i quorum costituzionali all’intervenuto mutamento delle leggi elettorali anziché indulgere ancora nella macelleria costituzionale, sono i primi, elementari passi necessari per dimostrare una chiara volontà di cambiamento, per restaurare regole certe e trasparenti e uguaglianza di trattamento e di diritti nell’economia e nella vita politica. È condizione preliminare di ogni rinnovamento tornare a trattare i cittadini elettori da adulti responsabili, ed escludere intese o convergenze con chi sia stato in questi anni complice o parte del disastro civile, economico, politico e culturale che si è prodotto, con chi abbia concorso a occultarlo, minimizzarlo, banalizzarlo. E ancor più con chi ha osato ascrivere o associare la ciarlataneria populista dominante in questo nefasto diciottennio alla storia e alla tradizione liberale.
2. UN’EUROPA FEDERALE PER NON SCOMPARIRE. I liberali devono porre al primo posto della propria agenda politica la ripresa del processo di integrazione europea, contrapponendosi a ogni forma di demagogico sovranismo, nazionalismo o etnoregionalismo, per tornare a fare dell’Italia, quale era sempre stata in precedenza nella storia della Repubblica e come era nella visione di alcuni fra i più lungimiranti protagonisti del Risorgimento, uno degli attori principali della nascita di una vera Europa federale. Questa è oggi il solo strumento possibile per far valere nel mondo globale i principi, gli interessi, i valori civili ed etico-politici dell’Europa, e per salvaguardare, assieme alle altre democrazie liberali, il primato nel mondo delle libertà individuali, dei diritti umani, della libertà di circolazione delle persone, delle idee, delle merci e dei servizi, contro il rischio di nuove egemonie illiberali e autoritarie, che oggi promettono prosperità senza libertà. Solo istituzioni federali europee direttamente e democraticamente legittimate disporranno della forza, dell’autorevolezza internazionale e delle risorse necessarie per farci uscire dalla crisi, per sostenere il risanamento, per avviare la ripresa. Non si deve aver paura di contrapporsi al populismo antieuropeo, di spiegare agli elettori che abbandonare l’euro equivarrebbe a sprofondare nel disastro; che non fuori dall’Europa, ma solo attraverso un’Europa federale, sarebbe possibile riappropriarsi della capacità di autodeterminazione democratica. Non c’è altro modo di assumere decisioni tempestive quando esse siano necessarie: l’attuale Europa intergovernativa può solo faticosamente rincorrere accordi unanimistici, sempre inefficaci e tardivi; e adottati in modo necessariamente non democratico, negoziati a porte chiuse, sottoposti solo ex post ai Parlamenti statali, senza possibilità reali di discuterli e neppure modificarli. Senza un governo federale dell’Europa non esiste il solo soggetto politico che potrebbe essere in grado di affrontare e fronteggiare la crisi in corso.
3. MODERNIZZARE E LIBERALIZZARE. La corruzione politica, assieme alla criminalità organizzata, e ai tempi della giustizia, costituisce la principale palla al piede dell’economia italiana, e anche in questo campo le rilevazioni internazionali attestano il continuo sprofondamento dell’Italia nell’ultimo diciottennio. Non vi è altro mezzo per combatterle seriamente, e per iniziare a ridurre da subito il peso dell’immensa rete di relazioni clientelari e malavitose che soffocano la vita economica, politica e civile dell’Italia, che ridurre drasticamente il peso dell’intermediazione politica e la discrezionalità dell’intervento pubblico, politico e burocratico, nell’economia italiana: non solo a livello centrale, ma anche, e forse soprattutto, a livello regionale e periferico. Questo non significa assecondare l’ondata populista che mette oggi sotto accusa tutti i fondamentali pilastri del costituzionalismo liberale e della democrazia rappresentativa. Non significa accodarsi o ammiccare a toni e argomenti dell’esondante polemica antiparlamentare che, come negli anni Dieci del Novecento, e come allora simultaneamente da destra e da sinistra, sta rischiando di travolgere la democrazia liberale. Non significa neppure far professione ideologica di radicale liberismo o sottovalutare gli effetti depressivi che l’aumento della disuguaglianza provoca, indebolendo la domanda aggregata e ostacolando il superamento della crisi. Ma di fronte all’attuale politica italiana, nelle sue forze maggiori degenerata oltre il punto di non ritorno negli anni di fango, e ormai incapace di riformarsi, va affermato il principio che ogni attività economica che possa svolgersi in regime di concorrenza deve essere privatizzata, liberalizzata e affrancata dalla tutela e dall’abbraccio soffocante di questa politica. Così come deve essere riconosciuto, anche e soprattutto se si vuole salvaguardare quel che può esserlo di un welfare universalistico, che i mutamenti demografici e tecnologici intervenuti negli ultimi decenni non permettono la conservazione o il ritorno alle strutture del welfare e del mercato del lavoro che si sono sviluppate nella società industriale del Novecento. Che la difesa corporativa e clientelare dell’intermediazione politica, e della gestione diretta, politica e burocratica, dei servizi, comporta costi insostenibili, che si traducono inevitabilmente nella progressiva riduzione di prestazioni garantite ai cittadini ormai sempre più solo sulla carta. Che difendere le opportunità di lavoro non può significare, in un’economia aperta alla competizione nel mondo globale, porre a carico delle imprese la salvaguardia dei posti di lavoro esistenti, ma è obiettivo che deve essere perseguito promuovendo la salvaguardia e la riqualificazione dei lavoratori, e spezzando l’apartheid fra lavoratori garantiti e precari, che sta ormai producendo più di una generazione di indigenti.
4. LAICITÀ SENZA AGGETTIVI. Non è possibile promuovere alcuna modernizzazione economica e sociale e continuare a isolare l’Italia da tutto il resto dell’Europa occidentale in materia di diritti di autodeterminazione dell’individuo moderno, come ha fatto la politica italiana negli anni di fango. In una società sempre più secolarizzata e sempre più religiosamente plurale, la laicità senza aggettivi, intesa cioè nel suo unico significato saliente, come rigorosa neutralità religiosa delle istituzioni pubbliche, è, molto più ancora che nel passato, condizione essenziale della garanzia delle libertà di ciascuno e della pari dignità sociale di tutti i cittadini. La laicità più rigorosa è anche la sola possibile garanzia contro le derive comunitaristiche che non tarderanno a manifestarsi quando, continuando a garantire intollerabili privilegi alla religione tradizionalmente egemone, questi non potranno alla lunga non essere estesi anche a nuovi integralismi e fondamentalismi. Una società plurale non può tollerare ulteriormente che vengano sottratti coattivamente dalle tasche di tutti i contribuenti i fondi necessari alle attività delle confessioni religiose che i loro aderenti non sono disposti a fornire volontariamente nella misura ritenuta necessaria dalle loro gerarchie. Per i liberali non è tollerabile che si continuino a finanziare con fondi pubblici o a esentare dal pagamento delle imposte enti ecclesiastici e scuole confessionali. Che le libertà e i diritti degli individui siano limitati da pregiudizi religiosi imposti a tutti con la forza della legge. Che si accetti il veto clericale a legiferare sul “divorzio breve”. Che su ogni questione etica “controversa” il solo parere preso in considerazione sia quello delle gerarchie cattoliche. Non è tollerabile lo stupro obbligatorio, promesso a tutti gli italiani non più capaci di far valere espressamente la propria volontà, dalla legge che disconosce il valore del testamento biologico e che vieta ogni forma di eutanasia volontaria. Non è tollerabile che sia ancora in discussione la pillola abortiva RU386, approvata e in uso da anni in quasi tutti i paesi europei, o che addirittura non siano ovunque disponibili i contraccettivi di emergenza post-coitali, che altrove si acquistano senza prescrizione medica. Non è tollerabile il boicottaggio della legge sull’aborto in intere regioni. Non è tollerabile che gli italiani siano obbligati a ricorrere all’estero all’inseminazione artificiale. Che la ricerca scientifica sia limitata dai diktat delle autorità religiose cattoliche. Che gli hate crimes commessi contro gli omosessuali, e solo contro di loro, non siano puniti anche come tali e che non sia prevista anche per le minoranze sessuali alcuna organica normativa antidiscriminatoria. Che l’Italia sia il solo paese dell’Europa occidentale a non riconoscere alle coppie gay il diritto di sposarsi e neppure di poter regolare con parità di diritti i propri rapporti giuridici e patrimoniali. Che non si sia ancora risolto decentemente e ovunque il problema dell’ora alternativa a quella di religione cattolica nella scuola pubblica. Che in molti Comuni ai funerali laici non siano assicurate condizioni minime di decenza. E non è tollerabile che il problema, che sarà sempre più decisivo nei prossimi decenni, dell’integrazione degli immigrati nei valori e nei principi della democrazia liberale, sia abbandonato al “dialogo interreligioso” fra gerarchie cattoliche e imam fondamentalisti, che i diritti degli individui appartenenti a comunità minoritarie – apostati, donne, minori, omosessuali – possano essere compressi in nome di una pretesa diversità culturale, di fatto imposta a tali individui, e che i percorsi per l’acquisizione della piena cittadinanza siano pretestuosamente ostacolati e passino per vie diverse da quella dell’adesione volontaria e individuale al patto costituzionale.
{ Pubblicato il: 18.07.2012 }