stefano pietrosanti
Nessun commentoUn fatto su cui poco si riflette, è quanto male siano stati usati nella storia continentale i termini “conservazione” e “forze conservatrici”. Volendo mantenersi alla loro lettera, questi intenderebbero l’atto del conservare un assieme di oggetti o relazioni e le forze che compiono questo atto. Il grande fraintendimento nacque proprio con la Rivoluzione, che individuava come avversari coloro che volevano appunto conservare il precedente stato di cose: la reazione alla Rivoluzione, da cui poi il concetto di reazionario. Da quando questa divenne un evento di rottura stabilizzato dal tempo, che ha dato vita a un nuovo modo più o meno stabile delle relazioni sociali, produttive e civili, si è continuato a chiamare conservatrici pure quelle forze che in verità volevano minare questo nuovo sistema e che al più lo accettarono come una realtà cui piegarsi perché troppo forte, che quindi lasciava come unica scelta la lotta dall’interno, sfruttandone le ambiguità per liquidarla e tornare indietro nell’unico modo possibile: andando avanti in modo diverso.
Nel continente, ogni stato liberale e democratico, in quasi ogni grave crisi, a quasi ogni segno di cedimento e necessità di ripiegare per difendersi, ha trovato dietro di se torme di personaggi infedeli, conventicole di ufficiali complottisti, sanfedisti travestiti, intellettuali abbagliati dalle parole forti del comando e della gerarchia, lupi feroci vestiti da agnelli, ma solo il tanto che bastava per sfruttare le tutele democratiche alla libertà di parola. Come eserciti che – trovandosi a dover ripiegare – scoprissero dietro di loro non una pronta retroguardia, ma una masnada di mercenari un tanto al chilo. Mercenari un tanto al chilo perché, con l’andare dei decenni e dei secoli, tutte quelle forze che traghettarono assieme a loro la critica “di destra” alla rivoluzione francese persero presto la probabilmente giusta rabbia dei contadini vandeani e la nobile guida di un Conte de La Rochejaquelein, per imputridire come tutti quei gruppi che, persa la propria battaglia, si trascinano al di fuori della storia per continuare una sorta di triste o minacciosa non vita.
Questa lunga storia di defezioni al momento del bisogno e di infedeltà larvate o manifeste, ha visto il rigoglio più clamoroso nel primo dopoguerra e la sua grande conflagrazione con la seconda guerra mondiale, ma non si è conclusa. Gli anni di lotta e di rischio totalizzante, in cui l’Europa è stato uno dei campi di battaglia della guerra fredda, non hanno permesso alle guerre di liberazione intraprese dalle forze democratiche continentali di divenire momenti di completa purificazione dell’organismo europeo e dei suoi ordinamenti e hanno congelato l’Europa a mezza via tra la necessaria unificazione e un litigioso equilibrio di impotenze monopolizzato dai resti degli Stati-Nazione. Questa circostanza, oltre ad aver conservato i vecchi problemi – basti pensare ai movimenti völkisch, come la Lega in Italia, ai parafascismi francesi e via dicendo – ha avvicinato al variegato pianeta della conservazione disfunzionale anche quelle che potremmo definire correnti sane del conservatorismo europeo; la Merkel, Sarkozy, Cameron, sono il sigillo del compimento dell’ultima defezione, tutta diversa dalla defezione di coloro che più volte pugnalarono le liberal-democrazie alle spalle: la fuga dal campo.
Se il conservatorismo ufficiale del continente negli anni venti e trenta passò quasi tutto al nemico, supportando se non con l’azione, con la non azione benevolente l’eradicazione delle libertà private e pubbliche e la mobilitazione totale degli apparati statali, il conservatorismo ufficiale odierno è ormai mutato in un pervicacie struzzo, bravissimo solo a mettere la testa nella sabbia delle non soluzioni. Così - seppur non assumendo i toni, i modi e non condividendo i fini dei reazionari che hanno come scopo manifesto o meno lo sfascio degli ordinamenti attuali e la rinnegazione dei loro valori – anche questo conservatorismo diviene l’opposto di se stesso, non facendo nulla per conservare il sistema entro cui vive come corpo politico, anzi, destinandolo a travagli sempre maggiori.
Riconoscendomi nella storia e nel futuro della sinistra progressista, non posso non essere convinto di come sia necessario che questa abbia l'opportunità di smettere di dover essere, all’occasione, anche la forza conservatrice – pur nel senso giusto e migliore - di questo complesso assieme che è l’Europa e l’Occidente in genere. Krugman, nel suo saggio “La coscienza di un liberal”, ha sostenuto che è la funzione della sinistra moderna conservare gli ordinamenti democratici e liberali nella loro versione aperta alla società, personalmente credo che se la sinistra sarà da sola in questo compito, questo sarà il compito che la ucciderà definitivamente; anche a ciò servirebbe una nuova dimensione statale europea: uno spazio in cui si inseriscano certi valori, che sono i valori di liberazione individuale e collettiva che sottendono la storia dell’Occidente, che fiorirono e tutt’ora fioriscono nelle rivoluzioni democratiche, uno spazio adeguato al loro riconoscimento e alla loro tutela, in cui finalmente ci siano le dovute dimensioni e il dovuto slancio ideale per liberarsi dello stigma della conservazione infedele, figlio del 1789 e poter contare su forze che sappiano essere veramente conservatrici, ossia di tutela. Se non altro, perché finalmente ci sarebbe qualcosa di definito da conservare.
{ Pubblicato il: 10.04.2011 }