giulio ercolessi
Nessun commentoUna casa brucia e sta per crollare. C’è tempo solo per salvare, alternativamente, o una coppia di bambini frignanti che implora aiuto o, all’estremità opposta dell’edificio, una provetta contenente decine di embrioni congelati. Una scelta si impone: a chi date la precedenza? Se è vostra convinzione che gli embrioni sono persone umane, la risposta è obbligata: salvate gli embrioni e vi rassegnate a lasciar bruciare vivi i due bambini, perché salvare una decina di “persone” è meglio che salvarne due soltanto.
Raramente i sostenitori della tesi secondo cui l’embrione deve essere considerato una persona umana si rendono conto o sono disposti a prendere essi stessi sul serio le conseguenze e le inevitabili implicazioni delle loro apodittiche affermazioni.
Se l’embrione è una persona umana, e per di più una persona umana del tutto incapace di difendersi e di far valere i propri diritti, la sua protezione giuridica dovrebbe essere massima, ed equiparata in tutto e per tutto a quella delle persone umane già nate. Ma quasi nessuno è disposto ad assumersi la responsabilità delle conseguenze di questa affermazione, tanto che i rimedi giuridici proposti o pretesi dai sostenitori della tesi si limitano di solito a proporre norme miranti non a proteggere l’embrione alla stregua di una persona umana, ma solo a prescrivere a tutti i cittadini regole di comportamento coerenti con la propria ideologia, la propria visione del mondo – e più spesso, alla fine, con la propria religione – e a rendere difficili le scelte di vita o penosa l’esistenza di chi non intende adeguarvisi perché sorretto da diverse convinzioni, principi e valori: soprattutto quando si tratta della loro vita sessuale. Quasi mai i sostenitori della tesi che considera persone gli embrioni si spingono a pretenderne una coerente traduzione in norme giuridiche.
Non arrivava a questo neppure la recente legge italiana sull’inseminazione artificiale, una delle più restrittive, approvata dalla maggioranza parlamentare del governo clerical-populista di Berlusconi e successivamente dichiarata in più parti illegittima dalla nostra Corte costituzionale e dalla Corte Europea dei Diritti Umani: la legge si limitava, nella sua originaria formulazione, a limitare il numero di embrioni passibili di essere distrutti nei tentativi di inseminazione e a imporre alla donna dolorose e inutili procedure e vessazioni (spingendo così chi se lo può permettere a ricorrere all’inseminazione all’estero). Ma come è possibile che chi sostiene che l’embrione è una persona ne ammetta poi, sia pure entro molto ristretti limiti, l’“assassinio”?
Questa evidente contraddizione non deve in realtà stupire, perché sarebbe proprio lo sviluppo logico della tesi a evidenziarne l’insostenibilità. Sarebbe infatti necessario trarne la conseguenza che a qualunque distruzione dell’embrione, comunque motivata, dovrebbero seguire le stesse sanzioni previste per la soppressione di una persona nata: le sanzioni penali dovrebbero necessariamente essere le stesse previste, se del caso, per l’omicidio volontario premeditato (oppure colposo, preterintenzionale, tentato, ecc.).
Dal loro punto di vista, i sostenitori della tesi che l’embrione è persona non potrebbero neppure cavarsela con l’argomento che non si può proporre di punire con una sanzione adeguata alla sua pretesa gravità oggettiva un comportamento del cui carattere criminoso è solo venuta meno la consapevolezza sociale diffusa, ottenebrata dall’eclisse dei valori tradizionali: questo argomento è stato scartato, una volta per tutte e ormai definitivamente, dai processi di Norimberga e di Tokio e da quello di Eichmann a Gerusalemme, ed è estraneo alla nostra stessa coscienza giuridica liberale contemporanea, tanto spesso tacciata di “relativismo morale”.
La tesi qui criticata non viene quasi mai presentata come una verità dogmatica propria della fede cattolica, ma come un fatto di natura, accertato dalla scienza. Et pour cause: solo affermando che si tratta di una evidenza naturale, oggi chiara grazie alla ricerca scientifica, la gerarchia cattolica può giustificare il fatto che perfino l’aborto non fosse stato considerato un omicidio dai predecessori, teologi papi vescovi e concili, fino al XVII secolo (salvo qualche raro accenno di segno diverso), e che tale tesi non sia diventata dottrina ufficiale che ai tempi di Pio IX, per essere poi recepita nel codice di diritto canonico solo nel 1917.
Purtroppo per la gerarchia, questa evidenza “scientifica” non può essere avallata dagli scienziati, che, in quanto scienziati, possono dire che cos’è uno zigote, una morula, una blastocisti, un embrione, un feto, un individuo, ma non possono certo definire che cosa sia una “persona umana”, che non è un concetto scientifico ma filosofico, morale, giuridico o religioso; né questa pretesa evidenza è vissuta come tale dalla generalità degli stessi credenti, e neppure dei cattolici; e non corrisponde agli orientamenti chiaramente prevalenti in Europa fra cristiani e teologi protestanti. E il comune sentire si guarda bene dal considerare evento luttuoso il mancato annidamento naturale di una blastocisti nell’utero materno e la conseguente “morte” della “persona” in questione: una sorte che, riguardando circa l’80% dei concepimenti, dovrebbe far precipitare l’umanità intera, a cominciare da ogni giovane coppia, in un lutto ricorrente, ossessivo e pressoché perpetuo. Invece dovremmo giubilare: con una moltiplicazione strutturale della natalità per cinque, la vita umana sulla terra sarebbe già cessata da tempo.
Proprio quest’ultimo elemento dovrebbe imporre una valutazione più realistica del problema: è per la natura stessa che l’embrione, finché è solo tale, è solo un tentativo, che ha ancora un “valore” trascurabile. Un embrione non ancora annidato ha scarse probabilità di dar vita a un individuo, e ha così scarsa soggettività che, nelle prime fasi di sviluppo, potrebbe dar vita non a uno (o nessuno), ma anche a due o più individui. Ma un embrione che non abbia ancora sviluppato neppure un abbozzo di sistema nervoso merita anche la nostra compassione meno di quanto la meriti un animale senziente, dato che quest’ultimo, almeno dal punto di vista fisico, è almeno capace di provare dolore in modo probabilmente simile al nostro. Pretendere che addirittura un insieme di cellule della grandezza di meno di un millimetro abbia lo stesso valore di un essere umano è una pura e semplice assurdità, come credo dimostri il dilemma sull’incendio esposto all’inizio. È un punto di vista analogo alle teorizzazioni estreme di quegli animalisti, “vegani” etici, per i quali friggere un uovo equivale a tirare il collo a una gallina. A uno stadio di sviluppo inferiore a quello di un animale senziente, l’embrione non dovrebbe invece avere, né gli è stato storicamente attribuito nel passato (quando la stessa Chiesa cattolica lo considerava ancora “inanimato”), un valore in sé superiore a quello di un pollo. Ma meno approssimativo sarebbe il paragone con un celenterato.
Il costo umano della traduzione in legge dei divieti religiosi in questo campo è feroce e incalcolabile: non si tratta soltanto delle difficoltà capricciosamente create all’inseminazione artificiale per le coppie sterili. Vietando la ricerca sulle cellule staminali embrionali si impedisce alla scienza di percorrere una delle vie ritenute da molti scienziati più promettenti per il futuro della medicina e per la ricerca di cure per le malattie più letali, dolorose e invalidanti del nostro tempo. E non è compito della politica, ma solo della comunità scientifica, stabilire quali vie siano più promettenti e quali meno per la ricerca.
Troppi uomini politici, anche laici, spesso ammutoliscono di fronte a chi li intimidisce ricordandogli che tutti un tempo siamo stati embrioni. Non sarebbe tanto difficile rispondere che, se è per questo, prima ancora siamo stati anche polvere. E polvere torneremo. Ma questa non è una buona ragione per idolatrare la polvere.
{ Pubblicato il: 27.08.2012 }