Autoritarismo politico e autoritarismo religioso
L’affermazione del pontefice con la quale afferma che il cardinale Martini è stato un “uomo di Dio”, “un uomo della Chiesa”, per cui sarebbe errato utilizzarlo contro la Chiesa, risulta molto approssimativa, come una preventiva difesa, peraltro non richiesta, della Chiesa, ancor prima che l’itinerario del cardinale Martini, venisse utilizzato in alternativa all’attuale itinerario NON della Chiesa, bensì dell’attuale vertice vaticano.
La solenne promessa di Cristo “non praevalebunt” (…. le porte degli inferi non prevarranno contro di essa…) non vale solamente per gli estranei alla Chiesa, per i nemici dichiarati della Chiesa, ma riguarda prevalentemente la Chiesa stessa e le tentazioni personali di stravolgimento delle parole di Cristo, o il cedimento al fascino di un potere temporale estraneo alle parole di Cristo: “Il mio regno non è di questo mondo”.
E’ così che la figura del cardinale Martini non sarà mai, né potrebbe esserlo, utilizzata contro la Chiesa, perché Martini è stato la Chiesa, incarnando al meglio le risultanze del Concilio Vaticano II, al punto da auspicare un Concilio Vaticano III°, per dirimere troppe contraddizioni che separano sempre più la religione dalla Fede, la gerarchia vaticana dal popolo dei credenti.
Possedere l’indiscutibile potere di identificare cosa è “giusto” e poterlo imporre dall’alto del potere, vuoi che sia politico, economico o anche religioso, rappresenta il sogno più antico inseguito da quanti si sono ritrovati, o si ritrovano, a rivestire una condizione di potere.
Questo desiderio ancestrale ha forgiato le menti dei dittatori investiti dal delirio di onnipotenza, e anche degli aspiranti dittatorelli sconvolti dall’uso di un potere che sovrasta gli indiscutibili limiti intellettuali che li affliggono.
L’arte di reggere il potere pretende un esercizio di equilibrio non indifferente; il fascino di selezionare il giusto dal non-giusto, secondo una personale interpretazione, riesce a stroncare molti equilibri, specie se instabili o precari.
L’idea della democrazia o del dialogo viene utilizzata per cercare e trovare le scorciatoie di un autoritarismo di fatto, anche se ammantato da un perbenismo di facciata, come l’esaltazione della libertà di stampa per nascondere la negazione di fatto della libertà di opinione.
Fascismo, nazismo e comunismo hanno avuto queste basi culturali; hanno chiuso la loro storia ma sono rimasti i semi che hanno generato un assurdo capitalismo, sfociato nel liberismo di parte, aggressivo, egoista e avido, che sta distruggendo se stesso, non senza avere, prima, distrutto buona parte del mondo che lo circonda.
Ma questa parabola evolutiva coinvolge anche l’autoritarismo in campo religioso, con la pretesa di imporre un primato non conquistato, anzi distruttivo di tutto quanto era già stato elaborato per unire credenti di diverse fedi; un primato che rifiuta a-priori ogni ipotesi di dialogo interreligioso
Nasce da ciò la pretesa ricerca di “radici cristiane dell’Europa”, come se la fede fosse diventata un elemento antropologico distintivo, condivisa da due persone che non avrebbero alcun momento di contiguità se non nell’uso del potere, ciascuno dal proprio punto di vista avente un analogo comun divisore. Ratzinger e Berlusconi inseguono un analogo autoritarismo:
· antropologico e politico il presidente del consiglio con la pretesa superiorità culturale della genìa occidentale che disprezza le altre culture in nome di un vetero razzismo sconfitto e condannato dalla storia;
· religioso e confessionale il pontefice regnante, supportato da un triplice esercizio di potere: politico in quanto sovrano del piccolo ma potente Stato Città del Vaticano, dottrinario in quanto si ritrova a poter esigere obbedienza alle sue elaborate dottrine, confessionale in quanto capo della Chiesa di Roma; tutto in contrasto con l’evoluzione del Magistero sociale della Chiesa culminato nel Concilio Ecumenico Vaticano II che si cerca di sminuire nelle conclusioni e contraddire nei fatti.
Berlusconi è solo l’esecutore materiale di un itinerario disegnato altrove su misura, su progetto della P2 che rappresenta il trait-d’union anche con il Vaticano e con i residui emergenti lasciati in sonno da Marcinkus. Il 21 agosto 1967, Marcinkus entrò a far parte della massoneria, con numero di matricola 43/649 e soprannome "Marpa". Il suo nome fu trovato nella lista contenente 121 ecclesiastici massoni, fra cui Jean-Marie Villot (Cardinale Segretario di Stato), Agostino Casaroli (capo del ministero degli Affari Esteri del Vaticano), Pasquale Macchi (segretario di Paolo VI), monsignor Donato de Bonis (alto esponente dello IOR), Ugo Poletti (vicario generale di Roma), don Virgilio Levi (ex-vicedirettore de «L'Osservatore Romano») e Roberto Tucci (ex direttore di Radio Vaticana).
Ratzinger opera e decide in proprio, con finalità sovrapponibili, aventi come scopo il primato del cattolicesimo su tutte le religioni, un primato preteso, ma non conquistato, che non prevede nessuna forma di dialogo, di incontro e di confronto, alterando le conclusioni del Concilio Vaticano II; ciò è ampiamente dimostrato dalle periodiche derive di scontri con le altre religioni monoteiste.
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Carlo Maria Martini e gli altri (cardinali)
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Con la terrena dipartita del cardinale Martini si evidenzia il vuoto che domina nel concistoro, sempre più tenuto sotto controllo dal pontefice Ratzinger mediante nomine opportunamente valutate.
Negli attuali cardinali, almeno quelli più in vista che maggiormente si “allenano” per la successione al soglio di Pietro, il comune denominatore che li lega è l’esigenza di “vincere”, contro chiunque eserciti il diritto di possedere una autonoma capacità di giudizio.
D’altra parte fu lo stesso pontefice a tagliare i ponti con l’esterno, negando ogni ipotesi di dialogo interreligioso,; nella lettera-presentazione al libercolo di Pera “Perché dobbiamo dirci cristiani”, così scrive a proposito del dialogo
Non meno impressionato sono stato dalla Sua analisi della libertà e dall’analisi della multiculturalità in cui Ella mostra la contraddittorietà interna di questo concetto e quindi la sua impossibilità politica e culturale. Di importanza fondamentale è la Sua analisi di ciò che possono essere l’Europa e una Costituzione europea in cui l’Europa non si trasformi in una realtà cosmopolita, ma trovi, a partire dal suo fondamento cristiano-liberale, la sua propria identità. Particolarmente significativa è per me anche la Sua analisi dei concetti di dialogo interreligioso e interculturale.
L’ultimo intervento di Bagnasco, che stimola i cattolici ad essere più numerosi in politica, non ha suscitato l’interesse che l’autore si aspettava; ormai è fin troppo chiaro che l’interesse della Chiesa non è confessionale e cattolico, ma prevalentemente politico, in quanto chiede ai cattolici in politica di non guardare agli interessi della popolazione senza discriminazione di razza, di cultura e di religione, ma di guardare agli interessi della Chiesa, che non sempre sono di ordine spirituale.
Anche in questo campo è stato il pensiero del pontefice nel già citato preambolo al volumetto di Pera, a ispirare i toni politici, assimilando cristianesimo e liberismo:
Era per me una lettura affascinante. Con una conoscenza stupenda delle fonti e con una logica cogente Ella analizza l’essenza del liberalismo a partire dai suoi fondamenti, mostrando che all’essenza del liberalismo appartiene il suo radicamento nell’immagine cristiana di Dio: la sua relazione con Dio di cui l’uomo è immagine e da cui abbiamo ricevuto il dono della libertà.
Con una logica inconfutabile Ella fa vedere che il liberalismo perde la sua base e distrugge se stesso se abbandona questo suo fondamento.
Perché più cattolici in politica ?
Vorrei credere che l’auspicio sia diretta ai valori morali dei quali i cattolici dovrebbero essere portatori; ma così non è e ce lo dimostra il cattolicoinpolitica per antonomasia, Formigoni, il cui comportamento che, finalmente, emerge, nulla ha a che vedere con l’etica cattolica.
Bagnasco vuole più cattolici in politica per vincere… è solo questo lo scopo non più recondito.
Vincere…. Come quel “Vincere e… vinceremo” di mussoliniana memoria, quando alle certezze del duce seguirono mazzate da orbi.
La Chiesa vuole vincere, o meglio, vuole continuare a vincere come è abituata da quasi 2000 anni.
L’aspirazione a vincere è insita nel pensiero stesso di Ratzinger, coautore, sempre con Pera, di quel “Senza radici” che identificava nelle cristianesimo le radici dell’Europa, escludendo tutti gli altri, ma identificando il cristianesimo più come un carattere antropologico che una coerenza di Fede.
Vincere significa supremazia: la società della supremazia è merce vaticana, oggi più che mai con la pretesa di un rinnovato “civis romanus sum”, ma stavolta con la supremazia al mondo occidentale europeo, perché frutto delle “radici cristiane dell’Europa”.
Ben diverso l’insegnamento (che ha dato molto fastidio alle attuali vertici vaticani) del card. Martini, perché
«C'è molta più dignità e saggezza nell'accettare la sconfitta che nel celebrare la vittoria. Comincia a darmi fastidio il verbo "vincere" perché è diventato il mito della società della competizione, del conflitto, della supremazia, della guerra, della dialettica politica. In nome della vittoria abbiamo liquidato troppi vinti. La vittoria è l'emblema della guerra. Ha accecato dittatori, conquistatori, tiranni, ha rappresentato il sogno permanente degli imperialismi è sempre stata la condizione per l'affermazione del potere. (Da una omelia del card. Martini)
Non si tratta della inaugurazione di un presidio innovativo, sono secoli che è così; la società competitiva, che prevede una vittoria e una sconfitta, l’ha inventata la Chiesa quando entrò in competizione con l’impero, imponendo all’imperatore la benedizione papale, pena la scomunica che lo avrebbe privato del dovere all’obbedienza dei suoi vassalli.
La sconfitta, invece, è la condizione di vita dei poveri, dei deboli, degli ultimi, degli schiavi, dei perseguitati, degli oppressi, dei perdenti. In 6000 anni di storia umana abbiamo celebrato tante vittorie per dire pace, ma appena si sono pronunciate tali parole già si predisponevano le armi per celebrare una nuova vittoria sul nemico. Educare alla vittoria è educare alla guerra di competizione. Educare alla sconfitta è educare all'accettazione del limite umano. Stare con i vinti, stare con gli umili, stare con gli oppressi significa stare dalla parte dell'umanità. Perché l'unica vittoria vera è quella per gli sconfitti, ossia per dare ai perdenti la dignità dei vincenti. Educare alla sconfitta è educare alla vita. E allora forse avremo molto meno doping, molte meno lacrime, molto meno ipocrisia e molta più sapienza».
Grazie, cardinale Carlo Maria Martini, dell’insegnamento che ha posto le basi per una rinnovata civiltà della solidarietà. Riposi in PACE.
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Carlo Maria Martini, il pontefice mancato
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In questo momento prevale il dolore per la perdita di un grande testimone del cristianesimo, ma non possiamo non ricordare il prelato Carlo Maria Martini, Arcivescovo emerito di Milano, una delle voci più autorevoli del mondo cattolico, che ha voluto offrire una riflessione sulla vita e sulla malattia, pronunziando le parole che il mondo cattolico voleva sentire dopo lo sterile dibattito aperto con il caso Welby.
Il Cardinale ha fatto parlare il cuore, prima che l’intelletto e lo ha fatto da malato parkinsoniano che “necessita di quotidiane terapie per reggere le fatiche” e che ha rifiutato l’accanimento terapeutico.
Nel “caso Welby” abbiamo assistito a due posizioni contrapposte; da una parte chi ha esasperato i toni, trasformando un evento umano in un “caso” alla ricerca di visibilità mediatica, e dall’altra un rigoroso cinismo dottrinale che è arrivato a negare i conforti religiosi, proiettando l’ombra di una Inquisizione che giudica, rifiutandosi di capire.
Carlo Maria Martini, il Pontefice mancato, ha invitato a capire sostenendo che:
“…di casi come quello di Piergiorgio Welby, che con lucidità ha chiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio per porre fine alla sua vita, saranno sempre più frequenti e, di conseguenza, la Chiesa stessa dovrà darvi più attenta considerazione pastorale” invitando, implicitamente, il mondo politico ad elaborare una normativa ma senza che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell’eutanasia.
Una legge in materia, riconosce Martini, è una “impresa difficile, ma non impossibile”, e indica nel modello francese una possibile soluzione, in quanto non viene legalizzata l’eutanasia, bensì, prevede che le cure mediche non debbano essere protratte con irragionevole ostinazione.
L’invito dell’alto prelato fu chiaro:
“guardando più in alto e più oltre che è possibile per valutare l’insieme della nostra esistenza e giudicarla alla luce non di criteri puramente terreni bensì sotto il mistero della misericordia di Dio e della promessa della vita eterna”.
E’ la risposta alla domanda che si è posta il mondo cattolico:
“E’ più importante l’uomo o il sabato ?” e, quindi, “Bisogna seguire la Fede o la Dottrina ?”
La Chiesa non ha bisogno di chiudersi nella torre d’avorio della Dottrina per proteggersi dalla evoluzione che, apparentemente, distoglie il mondo cattolico dalla sfera spirituale, deve proiettarsi all’interno del progresso per indicare la via dello sviluppo, esaltando l’uomo nei suoi fini, correggendo i mezzi che ne stravolgono la più intima essenza.
Una Chiesa presente e attiva nel mondo, capace, innanzitutto di capire.
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Silenzio ! Si…vota !
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In una democrazia seria e rispettosa delle regole, il momento delle elezioni dei rappresentanti è quello più significativo e, pertanto, meritevole della più grande attenzione.
Ma nelle democrazie forfettarie e approssimative, il periodo legato alle votazioni è quello spettacolare che mira a stupire e fornire le apparenze che il popolo desidera vedere, salvo poi restare deluso e gabbato nello svolgimento della legislatura.
Il silenzio favorirebbe la riflessione, la valutazione dei programmi, il dibattito costruttivo, ed è proprio ciò che si vuole evitare nell’operazione di lavaggio del cervello che ha funzionato per quasi venti anni.
Ci illudono che questa democrazia garantisce il bene supremo della libertà di stampa, ed è così che nasce la truffa culturale: quando la stampa e gli organi di informazione si ritrovano vendute ad una parte politica, e molti dei mezzi di comunicazione di massa appartengono materialmente al capo del settore politico al governo, quella decantata libertà di stampa diventa un boomerang che si ritorce contro i principi portanti della democrazia con l’affermazione strumentale della libertà di stampa, ma con la mortificazione della libertà di opinione, violentata dalla trasmissione martellante di ipotesi false.
Libertà di stampa e libertà di opinione rappresentano le due colonne portanti della democrazia, ma si integrano a vicenda e si sostengono reciprocamente; l’assenza di una delle due vanifica il concetto stesso di democrazia, facendola naufragare nella follia del pensiero unico.
{ Pubblicato il: 03.09.2012 }