Fini e la mela del cavaliere
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Fra i tanti (ma anche troppi) politici che si agitano in cerca forsennata di visibilità, notiamo l’assenza di Fini, che pure ha avuto un ruolo decisivo per la debacle di Berlusconi. Fini ha voluto dare un morso alla mela proibita, così il padrone del rinnovato paradiso terrestre lo ha cacciato con l’infamante epiteto di traditore, senza, però, rendersi conto che quel gesto teatrale segnava la sua fine; si era fidato degli ex colonnelli di AN che affermavano che solo tre o quattro deputati avrebbero seguiti Fini, per cui sarebbe stato ininfluente, invece furono oltre 30, che segnarono la fine del cavaliere, rimasto nel suo paradiso terrestre in angosciata solitudine, circondato da mezze calzette interessati solo a raggranellare quanto più possibile.
Come nel precedente paradiso terrestre l’ambizione sarebbe stata quella di assimilarsi a Dio stesso, contravvenendo al perentorio ordine di non toccare quel tasto, che sarebbe poi la mela proibita.
Il tasto intoccabile era rappresentato dal divino attributo di infallibilità, che, nel primo paradiso terrestre, aveva ragion d’essere essendo il Padreterno il firmatario dell’ordinanza; nel secondo, malgrado le analogie che si vorrebbero assimilare, non fu il Padreterno il firmatario, ma solo la Sua pessima e irritante imitazione.
Questa penosa imitazione di una divinità nascosta che si palesa al gregge per guidarne le sorti, transita indifferentemente dalle pagine dei testi sacri per trarne spunti operativi; è così con le vergini che il Corano promette ai più fedeli, che vengono ripescate e riproposte, ma non nel lontanissimo paradiso del cavaliere, ma molto più materialmente nelle sontuose dimore di Arcore, La certosa, Palazzo Grazioli e, perché no, Palazzo Ghigi, in attesa di trasferirlo anche al Colle più alto dei tanti paradisi per privilegiati servitori, anche se di “vergini” neanche l’ombra.
Ma quella mela avrebbe dovuto essere fatale a Fini e ai suoi seguaci scacciati da quella Via dell’Umiltà, che non rende onore al nome che porta; ma così non è stato: “Il paradiso terrestre non è più qui…!” è la scritta che avrebbe dovuto campeggiare sul grande portone che precede l’accesso ai siti del disonore, dove bivaccano pregiudicati, imbroglioni, macellai-diventati-banchieri-senza-scrupoli, mafiosi, camorristi, lecchini e lecconi, nani e ballerine, esibizioniste e piagnucolose aspiranti al lettone di Putin, oltre ad una ben selezionata schiera di nullafacenti per incapacità.
Ora l’ex padrone dell’ex paradiso terrestre si ritrova solo e isolato nella stanza più alta di una delle sue dimore e palleggia, penosamente, quella mela morsicata, lasciatagli per ricordo da Fini, e si chiede: “E ora che c…. (snip) ci faccio con questa mela ? Dove c…. (snip) la metto ?”.
Nessuno osa fornire la risposta che, spontaneamente, emerge sulle labbra degli astanti.
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L’altro 11 settembre
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Anche quest’anno, come tutti i precedenti, ho proposto la “mia” commemorazione dell’11 settembre, perchè
nessuno parla di un altro 11 settembre, come se la Storia avesse la facoltà di procedere a salti e balzi mortali.
Così ogni anno mi prendo la briga di ricordare quell’altro 11 settembre, affinchè non venga relegato nell’oblio mentre ha segnato una svolta tragica dello sviluppo umano
Non so se fosse una bella o brutta giornata, certamente fu una giornata pregna di significati che, ancora oggi, non vogliamo ricordare, o, preferiamo ricordare a senso unico, senza neppure azzardare un parallelo utile a capire il senso della storia, che va letta a tutto tondo, senza comode selezioni.
Quel giorno, di buon mattino si levarono gli aerei, pronti a scaricare il loro carico di morte; tutto era stato preparato minuziosamente, nulla doveva essere lasciato al caso o all’improvvisazione. Anche i piloti degli aerei furono sostituiti, perché venne a mancare la fiducia che avrebbero operato secondo i piani e secondo gli ordini ricevuti.
Era l’11 settembre del 1973, quando i primi aerei iniziarono il loro minaccioso volo contro il Palacio de la Moneda , dove Salvador Allende vigilava, insieme ad un piccolo manipolo di fedelissimi, sulla fragile democrazia cilena.
Chiamò il popolo con cinque radiomessaggi, ma non a raccolta per difendere le istituzioni minacciate, non voleva certo una guerra civile e fratricida, ma solo per scandire con esso i momenti tragici che stavano vivendo, anticipazione di quanto sarebbe poi accaduto con la criminale dittatura di Pinochet.
Il ruolo dell’America non lo mette più in dubbio nessuno, anche perché parecchi documenti sono stati resi pubblici, anche se solo a disposizione degli storici.
Nixon in quella occasione mise a disposizione della CIA denaro, mezzi, appoggi, purchè
“…si togliesse di mezzo quel figlio di puttana…”;
furono questi gli ordini che impartì a Kissinger.
Le multinazionali del rame, come ITT, Anaconda, Kennecott ed altre, che estraevano il metallo dalle miniere cilene, senza nulla riconoscere al legittimo governo e alla popolazione, premevano per una soluzione definitiva, e definitiva fu, affogata nel sangue.
Pinochet aspettava l’esito dei bombardamenti sul Palacio de la Moneda, colpita da missili, per iniziare quella che sarebbe stata la più crudele dittatura dell’America Latina.
E’ da sottolineare che l’Italia, governata allora da politici e statisti di grande levatura, insieme alla Svezia non riconobbero mai il regime di Pinochet, e per tutti i 17 anni di dittatura, ufficialmente, rimasero in carica gli ambasciatori nominati da Salvador Allende.
La viltà degli aggressori si esaltò poi nell’affermare che Allende si sarebbe suicidato per paura, quando il palazzo presidenziale venne invaso dai mercenari che avevano dato seguito ai progetti USA.
L’ultimo radiomessaggio si concluse così:
“Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole ma ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, per lo meno, ci sarà una lezione morale che castigherà la vigliaccheria, la codardia e il tradimento”.
Onore a Salvador Allende, lo impone la Storia !
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Vincono i concessionari del gioco d’azzardo
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Gratta e vinci, la fortuna bacia Roma
A Centocelle vinti 5 milioni di euro
mentre, in tutta Italia, le vincite complessive superano i 4,6 miliardi di euro.
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... contro un incasso di oltre 30 miliardi di soli gratta e vinci, (mentre l'intero circuito del gioco d'azzardo supera gli 80 miliardi) dai quali detrarre una percentuale di tasse del 5%.
E' una menzogna dichiarare 4,6 miliardi di vincite, perchè l'85% delle vincite è costituita da cifre inconsistenti, che nessun giocatore incassa, preferendo ri-acquistare un altro tagliando; con questo escamotage dall'incasso delle vendite viene detratto il montante delle vincite erogate, ai fini della quantificazione fiscale dovuta all'erario.
L'aspetto grave è la sottrazione dal circuito finanziario di oltre 80 miliardi, bruciati nel gioco d'azzardo; tale sottrazione penalizza sia gli ingenui giocatori destinati a perdere, che lo Stato tramite il fisco; la medesima somma sottratta al circuito dei consumi, avrebbe reso allo Stato il 20% di IVA e un miglioramento della qualità della vita per i giocatori.
Gli unici vincenti rimangono i concessionari di tali giochi, tra i quali uno dei più importanti è la Mondadori, casa editrice sull'orlo del fallimento, grazie alle politiche ottuse del suo padrone Berlusconi.
Intanto possiamo registrare un successo.
Abbiamo ottime notizie sulla petizione che molti degli iscritti nella mia rubrica avete firmato per bloccare gli spot ingannevoli: venerdì scorso l’AGCM ha annunciato il blocco della campagna pubblicitaria.
Solo due settimane prima Giovanna Cosenza, docente di Filosofia e Teoria dei Linguaggi all'Università di Bologna, aveva lanciato una petizione su Change.org per chiedere che venissero bloccato una serie di spot, in onda sulle reti mediaset da luglio, che dietro ad un concorso a premi celavano un abbonamento per ricevere suonerie e sfondi per il cellulare del costo di 24 euro al mese.
{ Pubblicato il: 15.09.2012 }