Che la calma sui mercati di queste ultime settimane fosse un po' irreale, e che molto probabilmente fosse legata alla campagna elettorale americana, penso ne possiamo convenire tutti. Ora tutto è tornato come prima con i problemi che sono sempre lì davanti a noi e non vengono mai affrontati, con la conseguenza che si aggravano ancora di più. La recessione continua, anzi si accentua tirando dentro anche la stessa Germania, e di conseguenza il rapporto debito/Pil si impenna un pò ovunque. La disoccupazione poi, sta ormai rasentando la tragedia. Ma nonostante tutto questo il mantra che viene recitato è sempre e solo "rigore!". La stessa Merkel un paio di giorni fa ha dichiarato che la crisi durerà almeno altri cinque anni (quindi forse
di più), e che bisogna insistere sul "rigore". Ma, frau Merkel, fra cinque anni la crisi avrà compiuto dieci anni, e il suo eventuale superamento vorrei dire che è quasi automatico per il semplice fatto che il sistema economico avrà ritrovato il suo equilibrio a un livello più basso (quando sarà stato distrutto tutto il risparmio eccedente gli investimenti, secondo la condizione di equilibrio keynesiano) e da
lì ripartirà, il rigore non avrà avuto alcun merito, anzi ... Il
problema è proprio quello di accorciare questa crisi per evitare che
la ripresa parta dal livello più basso, e qui il cosiddetto rigore è
di impaccio e non di aiuto. Draghi dal canto suo conferma che la
recessione sta peggiorando però dice anche (bontà sua!) che il rigore
"sta dando i suoi frutti". Non sappiamo a quali frutti si riferisca,
ma tant'è. A certi livelli si dovrebbe sapere che le bugie possono
essere a fin di bene se sono credibili, difficilmente smascherabili,
ma se sono sfacciate hanno l'effetto contrario di far rendere conto il
pubblico che la situazione deve essere ancora più grave se si avverte
l'esigenza di nasconderla con le bugie. Ad ogni buon conto
ricapitoliamo i termini della questione. I sostenitori del rigore in
Europa sono gli stessi che danno la colpa della crisi all'elevato
debito pubblico, contraddicendo ogni evidenza empirica che vede invece
salire il rapporto debito/Pil dopo lo scoppio della crisi medesima, ma
evidentemente quella tesi serve a regolare alcuni conti interni
all'eurozona fra diverse visioni generali. I paesi che si fanno
paladini del rigore sono gli stessi che in questi anni hanno affidato
le loro sorti economiche alle esportazioni deflazionando la loro
economia interna, e invitano gli altri paesi a fare lo stesso,
ignorando un piccolo particolare e cioè che intanto ci sono paesi
esportatori in quanto ci sono paesi importatori e che quindi, fino a
quando non commerceremo con altri pianeti, non si può essere tutti
eportatori nello stesso momento. La crisi globale attuale è una crisi
di domanda che viene da lontano, sin dagli anni 80, da quando si sono
compressi i redditi delle classi medie e basse. Le diverse bolle
finanziarie e immobiliari l'hanno solo nascosta creando una domanda
fittizia poggiante sul debito anzichè sul reddito disponibile.
Purtroppo questa verità fa ancora fatica ad affermarsi anche per colpa
di economisti e pensatori di sinistra, i quali pur accennandovi nei
loro commenti poi deviano sulle colpe della finanza. Ma così facendo
dimenticano che queste ultime sono il frutto e non la causa delle
distorsioni nella distribuzione dei redditi, le quali hanno
determinato quell'eccesso di risparmio che ha foraggiato la finanza e
inondato di liquidità il sistema (da qui quindi viene la liquidità di
quegli anni e non dalle fisime di Greenspan, del quale sono altre le
colpe). Quello del rapporto tra sinistra e finanza è un argomento che
meriterebbe l'attenzione di qualche psicanalista sia perchè a volte
sottintende un'inclinazione acritica verso l'imprenditore industriale
rispetto a quello finanziario e bancario, non tenendo conto del fatto
che il sistema finanziario gioca con i soldi prodotti nell'economia
reale e gestisce i profitti e risparmi lì prodotti e avidi di redditi
quando non trovano impiego nell'economia reale, e sia perchè evidenzia
spesso un rapporto di odio-amore nei confronti del mondo finanziario
che spinge certi analisti di sinistra sì alla critica ma attraverso un
indugiare eccessivo che tradisce un'attrazione fascinosa verso
l'oggetto della critica medesima. Il risultato comunque è che in
questo modo si dà agli avversari la possibilità di replicare sulla
finanza appunto, dando loro nel contempo il destro per eludere
l'argomento vero di questi ultimi decenni: l'impoverimento delle
classi medie e basse che non è l'effetto della crisi, come si vuol far
credere da parte di molti, ma la causa. Insistere sulla finanza a mio
avviso è oltre tutto alquanto vano, anche se interventi se ne debbono
fare senz'altro, per il semplice motivo che quando il risparmio è
eccessivo, turata una falla nel circuito finanziario, se ne aprirà
un'altra subito dopo da qualche altra parte. Essendo questa l'origine
della crisi, ne deriva pure che i bilanci pubblici si sono scassati
anche perché si sono dovuti accollare le conseguenze di quella
sperequazione per evitare che si versasse tutti nell'indigenza.
Allora, frau Merkel, o la politica ritrova il potere di imporre alle
parti private di riequilibrare la distribuzione dei redditi o, se
questo potere non riesce a conquistarselo, è gioco forza che debba
essere il settore pubblico a rianimare la domanda mondiale e questo
compete per prime alle nazioni che hanno bilanci meno compromessi e
che hanno spinto in maniera eccessiva sulle esportazioni, quindi in
primis Germania e Cina. Di questo si deve parlare negli incontri
internazionali e non solo di tassi, ruoli delle banche centrali e
quant'altro, cioè tutte questioni che hanno a che fare con la
"moneta", strumento sì importante di norma per l'economia reale ma che
è del tutto inservibile in presenza di un deficit di domanda come
quello attuale. Ci tocca anche sentire il presidente della Bce dire
"contro la disoccupazione servono interventi strutturali". E viene la
pelle d'oca, perché per questi liberisti "interventi strutturali" nel
settore del lavoro vuol dire altra contrazione dei diritti e di quello
che J. S. Mill chiamava "fondo salari", con la conseguenza che la
recessione si aggraverà ancora di più
{ Pubblicato il: 09.11.2012 }