ANTICIPIAMO L'EDITORIALE DI CRITICA LIBERALE N. 204 CHE TRATTA DELLE PROPOSTA DELLA FONDAZIONE SULLA EMERGENZA DEMOCRATICA
Da tempo si sapeva che soltanto le elezioni del 2013 avrebbero concluso l'esperienza delle più disonorate assemblee parlamentari di tutta la storia unitaria rendendo evidente la vera crisi della democrazia italiana. Berlusconi non ha lasciato soltanto macerie morali e materiali, ma anche una metastasi che invade l'intero corpo democratico. Nei momenti di pessimismo lucido penso che non ci sia più nulla da fare. Solo la politica avrebbe potuto ricostruire se stessa e gli strumenti per operare. Non lo ha fatto, né mostra di volerlo fare. La malattia colpisce intelligenze e volontà. E i malati non possono curarsi da sé, soprattutto se non percepiscono neppure la malattia.
Il crollo delle ideologie si è trascinato appresso la polverizzazione delle classi dirigenti e delle idee. La crisi di Tangentopoli, che eppure ha portato al potere i ladroni di seconda fila, era una bagatella di fronte al disastro attuale. Il cittadino che non ha sullo stomaco un pelo alto un palmo si sente male nella sua quotidiana preghiera laica della lettura dei giornali. Ladri sfacciati e perfino giustizialisti ipocriti cadono in rovina sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Anche gli enti locali sono quasi tutti marci. Troppi hanno in casa i loro Trota e i loro Lusi, i loro Belsito. Interi partiti potrebbero sparire dall'oggi al domani, e nessuno li rimpiangerebbe, se non i figli e i parenti stretti dei Capi. Non si sa più dove volgere la testa.
Gli italiani sono consapevoli della realtà, provano disgusto ma non hanno strumenti politici validi per reagire- E se è ridicolo pensare che la rinascita passi per le cosiddette “persone permale” che occupano le istituzioni, ugualmente è illusorio confidare nelle “persone perbene”, che ci sono, ma che stanno dimostrando una tale mediocrità politica... I partiti politici non hanno il gradimento del 95 % degli italiani. Ma se ne disinteressano.
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La politica dei due tempi
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Si sa bene quale è la strada maestra della ricostruzione civile: poche rigorose norme di legalità e di democrazia, che diano ai cittadini la possibilità di aggregarsi sulla base di valori e di idee, e che facciano piazza pulita delle maggiori indecenze berlusconiane. Se non si ritorna a un pieno Stato di diritto ogni successivo sforzo programmatico è inutile.
Noi di “Critica liberale” abbiamo la coazione a ripeterci. Sono anni che lo diciamo e lo ridiciamo. Ci sgoliamo nel deserto. La strada virtuosa c'è. Noi la chiamiamo da molto tempo “una politica dei due tempi”: prima, unire tutte le forze di destra e di sinistra per realizzare le condizioni di base per la ricostruzione del confronto politico; e poi, una volta rifondato un ambiente dignitoso, riaprire lo scontro tra le differenti opzioni programmatiche. Sembra facile ma non lo è. Anche se abbiamo un grande precedente storico nel CLN del secondo dopoguerra, dove le idee e le distinzioni erano chiarissime. A dire il vero, l'occasione si è presentata ma ci è scorsa tra le dita. Non è stato possibile coglierla. La fase Monti avrebbe potuto vedere l'esecutivo impegnato a riacciuffare per i capelli la crisi economica e la credibilità internazionale e, nel frattempo, tutte le forze estranee al regime berlusconiano a pezzi avrebbero dovuto dedicarsi a questa ricostruzione. Ma l'inguacchio di Napolitano ha tenuto in gioco i berlusconiani e reso impossibile il risanamento civile. Anzi ha stremato ancora di più il sistema politico e addossato ad alcuni partiti la responsabilità di una inefficienza riformatrice che a dir la verità non è colpa loro. Come era possibile fare la minima riforma politica chiusi nella gabbia dell'A-B-C? E' vero, avrebbero potuto però almeno autoriformarsi, non lo hanno fatto. Ai problemi precedenti si sono così aggiunti, aggravatissimi, quello del discredito e della corruzione. Adesso il discorso si ripropone, ma tutti hanno paura di perdere o di vincere da soli, e stanno imboccando la strada maestra dell'ammucchiata. Irresponsabilmente non si rendono conto della gravità della loro crisi. Così lavorano indefessamente per l'antipolitica. Come pugili suonati si abbracciano tra di loro per non stramazzare a terra. Cadranno assieme.
I partiti tradizionali hanno mostrato la loro incapacità di creare le condizioni minime per un confronto democratico. Chiusi nella loro cittadella di privilegi, nella migliore delle ipotesi si sono resi conto che la partita sarebbe stata comunque perduta e quindi tanto valeva godersi gli ultimi privilegi di casta finché fossero durati. Intanto, prima o poi, sarebbero arrivate le elezioni o i carabinieri. Ma c'è anche l'ipotesi peggiore: il politichese li ha accecati e davvero non si rendono conto della loro stessa situazione.
“Critica liberale” col suo Appello sull'emergenza democratica propone un estremo disperato tentativo di far accettare a classi politiche stremate un “primo tempo” virtuoso. E' l'ultima occasione. La società civile può “ricattare” chiedendo l'assunzione di impegni soltanto nel periodo pre-elettorale, quando conta un po' più di niente. Dopo le elezioni le forze tradizionali avranno un potere delegittimato dal partito dell'assenteismo, ma sempre potere sarà. E i giochi saranno tutti chiusi.
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Va in scena la farsa
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Allora è una tragedia? Ma no. Il nostro paese (forse) sarà salvato dall'Europa, ciò che resta della nostra argenteria sarà comprato a prezzi stracciati dall'estero e torneremo vassalli.
Al posto della mancata “tragedia” abbiamo da tempo una “farsa” disgustosa. Bergson insegna: è proprio un accadimento sventurato a provocare il riso esorcizzatore di chi assiste. Come si può resistere alla vista di uno che inciampa?
Dopotutto per vent'anni ci siamo goduti - e troppi italiani hanno preso sul serio – un guitto ridicolo, contornato da macchiette fasciste, che faceva ridere tutto il mondo. E i suoi cosiddetti avversari coprivano con un machiavellismo piccolo piccolo le loro complicità e la loro ammirazione per una parodia di statista. Quindi non ci resta che continuare a ridere.
Vorrei non essere italiano per poter sghignazzare senza sensi di colpa di quel grande leader della sinistra (Veltroni) che fa finta di dimettersi da futuro parlamentare per raggiunti limiti di candidature, e tutti prendono sul serio le sue motivazioni senza ricordargli che avrebbe dovuto abbandonare da tempo non il Parlamento ma la Politica dopo i disastri epocali da lui perpetrati. A parte le responsabilità più gravi basterebbe rammentare quando si faceva imbrogliare da un imbonitore come Giuliano Ferrara sulla bontà del “partito liquido”. Senza accorgersi di che liquido fosse. Per poi uscirsene nella gag della candidatura come capolista a Roma di una ragazzetta ignara di politica che aveva ufficialmente il solo merito d'essere una ragazzetta, e quindi di rappresentare la meglio gioventù italiana, la balilla del neo-giovanilismo. (E dato che la demagogia ha le gambe cortissime, dopo poche ore si scoprì che il Simbolo era una di casa, solo una piccola Trota, figlia di un portavoti del suddetto grande leader). E giù risate amare. Con la consapevolezza che il destino che incombe ci riserva solo attori di infimo ordine.
Ma vediamo con ordine chi c'è sul palcoscenico.
A destra non resta che Salò. I berlusconiani si agitano, nel loro partito davvero liquefatto risuona il “ si salvi chi può”. Il loro capo è risentito, si sente tradito, non può neppure più baciare la mano di Gheddafi, soprattutto ha perduto il “potere assoluto”. Il berlusconismo rappresenta un caso direi unico nel panorama dei regimi a cavallo dei due millenni. Essendo anacronistico un regime totalitario, il Cavaliere è riuscito a instaurare un “regime assoluto”: al Capo interessava soltanto essere “solutus, sciolto” dagli obblighi di legge che gravano su qualunque cittadino. Caduto il suo potere, la legge lo ha riagguantato e gli farà pagare (anche se purtroppo in minima parte) le sue malefatte.
La fine è ingloriosa, perché la sua figura sarà spogliata di ogni “politicità”. Il re non era che un traffichino furbastro dedito esclusivamente ai suoi sporchi affari. Sarò ricordato solo come corruttore di giudici e di avvocati, nonché come evasore truffaldino, certo in grande, ma della qualità di un qualsiasi industrialotto brianzolo. La sua Salò probabilmente sarà nei Caraibi. I suoi nel frattempo stanno già dal sarto per rigirare la casacca. Quello che ha battuto tutti sul tempo è stato Giannino. Davvero bravo! Ho un'ammirazione sperticata per l'editorialista di “Libero”. Altri ancora si dibatteranno fino all'ultimo e ci rimarranno sul campo. I fascisti torneranno là da dove sono venuti.
Nel frattempo la destra si riorganizza, ed è bene che sia così.
Un paese ha bisogno di una destra conservatrice dignitosa. Com'è tradizione nella storia italiana la destra si chiama Centro. E' un peccato, però, che non mostri di fare un grande sforzo programmatico, e si limiti a rifugiarsi nella solita triade: Dio, portafoglio e famiglia. Cercherà di vincere ed è disposta ad allearsi con chiunque. Sotto la bandiera dell'Agenda Monti. Che, a dir la verità, non si sa bene cosa sia e cosa contenga. Anche gli ammiratori più entusiasti del Presidente-tecnico da qualche settimana abbozzano i primi bilanci di quest'anno di governo e le critiche superano di gran lunga i riconoscimenti. Ormai siamo sotto elezioni, i partiti hanno le loro esigenze elettoralistiche, non sarà certo in questo scorcio di legislatura che si potrà realizzare ciò che non si è fatto finora. Noi consigliamo a Monti di affrettare la chiusura della sua esperienza, perché d'ora in poi è destinato a mangiarsi rapidamente il capitale di fiducia che aveva in partenza. Monti ha salvato l'Italia dal baratro perché gli ha restituito un'immagine di decenza, e gliene saremo grati eternamente. Ma presto si consoliderà sempre più un giudizio critico perché, nonostante l'enorme potere che gli derivava dal credito internazionale e dalla sconcezza della politica precedente, ha fallito proprio sulla sua Agenda. Confusa e velleitaria. Anche se gran merito gli va riconosciuto per avere posto all'ordine del giorno alcuni problemi improcrastinabili e irrinunciabili. Ma nella pratica abbiamo avuto troppi annunci, troppi velleitarismi, troppi precipitosi passi indietro. Nella sostanza si è affermata la percezione di una accentuata insensibilità sociale (gli indicatori, cominciando dalla disoccupazione, sono tutti peggiorati) e di una mancanza di idee o di volontà vera per l'avvio di una politica di sviluppo. Sulla pelle della gente rimane il segno di un rosario di stangate sempre più pesanti riservate esclusivamente ai cedi più deboli. Certo, alcuni ministri lo hanno danneggiato perché davvero pessimi, come Clini (un vero ministro dell'industria invece che dell'ambiente), come Fornero (sempre di più immersa nel ruolo della Franca Valeri del governo), come Terzi (un vero antieuropeista), come Passera (chiacchierone ma inconcludente). Certo, Napolitano non l'ho aiutato regalandogli una maggioranza parlamentare troppo vasta e interdittiva. Come sostenemmo subito, fu proprio il frettoloso accordo del Quirinale con Gianni Letta a bloccare l'emorragia berlusconiana e azzoppare il nascente esecutivo. Da qui la successiva paralisi. Fuori del Parlamento, poi, Monti ha ceduto a tutti i “poteri forti”, che non sono quelli che credete. Hanno vinto i burocrati di Stato, i tassisti, i gestori di videogiochi, la Chiesa cattolica. Per carità laica, facciamo solo un accenno allo scarso senso dello Stato dimostrato da Monti nei suoi rapporti con la gerarchia cattolica. Non si era mai visto neppure un presidente del consiglio democristiano andare a illustrare al papa i propri progetti pochi minuti prima di partire per un meeting internazionale.
Nel frattempo la sinistra si disorganizza, ed è male che sia così.
Ditemi voi come si fa a non ridere del Pd che si candida a governare il paese e non sa governare se stesso? La vicenda delle primarie è tra le più desolanti e farsesche degli ultimi anni. Negli scorsi giorni una delle persone più informate d'Italia, Eugenio Scalfari, ha equivocato scrivendo: <<Le primarie del Pd>>. Ancora adesso “repubblica.it” le definisce come tali. L'errore non è loro. E' che i dilettanti del Pd hanno dato inizio a una lotta l'uno contro l'altro armati dimenticandosi quattro regolette di buon senso che seguono un loro ordine logico e temporale. Uno, per le primarie di coalizione prima di tutto è il caso di decidere chi fa parte della coalizione e chi no. Due, le forze politiche che si coalizzano devono essere d'accordo su un programma comune e sulle eventuali alleanze post-elettorali. Tre, ogni partito presenta un proprio candidato, uno solo. Quattro, tutti i partiti decidono assieme le regole dello svolgimento delle primarie. Il Pd, non essendo un partito ma un insieme di tribù che non hanno nulla in comune, ha voluto evitare un chiarimento interno che avrebbe dovuto trovare la sua sede ovvia in un bel congresso che terminasse con la scelta di un leader e di una linea politica. E quindi ha mescolato primarie di partito e primarie di coalizione. Come abbiamo visto, non ci si raccapezza neppure Scalfari. Figuriamoci un cittadino qualsiasi. Bersani, soprattutto con il doppio turno, ha palesemente dimostrato di voler vincere lo scontro interno con il sostegno esterno dei votanti non del suo partito. Così si potrà arrivare al paradosso disastroso che Renzi vinca il primo turno e Bersani il secondo. Si dirà: questi dopotutto sono problemi del Pd. Invece è grave che nelle primarie avvenga lo scontro non tra persone tra cui gli elettori devono decidere il leader più adatto a gestire un programma comune, ma tra programmi assolutamente contrapposti. Concorre uno (Tabacci) che è Portavoce di un partito (Api) che addirittura non fa neppure parte della coalizione e ufficialmente si fa portatore dell'Agenda Monti, ovvero del programma di partiti per ora in concorrenza elettorale con la coalizione di centro-sinistra. Concorre un secondo (Renzi) che si dichiara contro Monti ma che ugualmente si colloca su posizioni di destra e clericali. Concorre un terzo (Bersani) che non fa altro che barcamenarsi, mentre alcuni dei suoi (Vacca) recuperano i vecchi metodi stalinisti e promettono l'espulsione di Renzi perdente e altri (Fioroni) tifano apertamente per Casini-Fini e - perché no? - per il purificato Alfano. Cioè per gli avversari. Concorre una quarta (Puppato) che non si capisce bene cosa ci stia fare in quella compagnia. E infine concorre un quinto (Vendola) fieramente contrario all'Agenda Monti.
Al confronto, la vecchia e criminalizzata Unione era una falange macedone. Questa Armata Brancaleone raggiunge livelli di comicità sublimi: il regolamento delle primarie (credo proprio che ora siano di coalizione, Scalfari se ne faccia una ragione...) cambia ogni giorno. Il vicesegretario Enrico Letta pochi minuti dopo l'approvazione in pompa magna di una delle tante versioni del regolamento arriva a dichiarare che se qualcuno lo viola <<certamente non faremo le barricate>>. Nemmeno i bambini che giocano a nascondino hanno una così scarsa cultura delle regole. Ma il massimo esempio di “partito alla rovescia” l'ha fornito Fassina che ha messo per iscritto la sua protesta perché Renzi ha copiato e quindi fatto sue alcune righe del programma del Pd. Ovvero del suo partito, perché Renzi è del Pd. Almeno finché Vacca non l'avrà fatto espellere (forse - perché no? - anche picconare in testa, come ai bei tempi).
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Meno male che c'è l'Altra politica...
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Ci siamo dilungati fin troppo su cose che sono davanti agli occhi di tutti. E rimane con la sua brutalità la drammaticità della crisi. L'esempio siciliano non può meravigliare. Che tutti i partiti tradizionali (di destra, di centro e di sinistra) messi uno sull'altro raggiungano solo poco più del 25% dell'intero corpo elettorale è la prova provata della delegittimazione gli attuali strumenti della democrazia italiana.
Però, dice Paolo Flores d'Arcais, esiste l'alternativa, c'è l'Altra politica.
Vediamola, quest'Altra politica, pezzo per pezzo. Stendiamo un velo pietoso sull'Idv, che tanto piaceva allo stesso Flores. Mentre scriviamo, Di Pietro sa che ha perduto la partita e non sa se offrirsi in ginocchio a Grillo o insistere con la “fotografia di Vasto”. Lasciamolo al suo destino, speriamo solo che nelle sue liste eviti questa volta di imporre i soliti cialtroni. L'Altra politica è soprattutto Grillo. Il suo è un fenomeno impressionante. Raccoglie voti abbondantissimi senza nascondere nulla. La sua ignoranza e la sua demagogia sono ostentate, ma è tale la maleducazione democratica e tale la disperazione che moltissimi italiani preferiscono farsi pecore e attendere il Comunicato politico n. xx per sapere cosa pensare e come comportarsi. Perché le regole le impone il Capo. I suoi grillini, in un grottesco comunicato sul “politicamente corretto” stampo Minculpop, prescrivono la dizione “megafono”, ma è Lui stesso a precisare con messaggio televisivo che invece no: Lui è il Capo. I suoi fedeli ignorano che Capo si traduce in tedesco Fuhrer, in spagnolo Caudillo e in siciliano Boss. E le regole del Capo, emanate con il Comunicato politico n. xx, prevedono che per candidarsi alle elezioni bisogna essere completamente digiuni di politica. D'altronde il compito futuro dei grillini eletti sarà di votare spingendo i bottoni secondo le indicazioni del Comunicato politico n. xxx deciso dal Capo. Al massimo possono mostrare la loro gratitudine al Capo e la loro ammirazione entusiasta quando Egli scalerà il Cervino in occasione delle regionali della Valle d'Aosta.
E' questa l'Altra politica? L'Altra politica è quella totalmente sottomessa alla spettacolarizzazione della politica (di cui Berlusconi fu maestro) e quindi al suo annullamento in una rappresentazione sempre più rumorosamente scomposta? L'Altra politica è gridare scurrilità a voce sempre più alta? L'Altra politica è nel trio autoritarismo & demagogia & ignoranza? E' nei laboratori in cui elaborano il nostro futuro alcuni dinosauri come Orlando e Bertinotti? Nell'ultima scena Flores, travestito da vecchio anarchico russo, vuole <<mandare tutto in frantumi>>. Senza accorgersi che tutto è già in frantumi. Unica certezza che ci consola è che nella sua vita di davvero straordinario organizzatore culturale quando si interessa di politica non ne azzecca neppure una. E fa qualche danno. Adesso – con faccia impassibilmente seria - affida la tradizione liberal-azionista nelle braccia di un Capo, anni fa scriveva che solo i Ds potevano realizzare il liberalismo gobettiano di massa, e poi vennero i tempi della “liberale” Pivetti, poi di Di Pietro e poi (penultima battuta della farsa) persino di Veltroni. Ora si faccia avanti il liberale Grillo.
Scroscianti risate. Cala il sipario
{ Pubblicato il: 11.11.2012 }